LA TARTARUGA ROSSA
Progetto nato da lontano, dall'incontro tra Isao Takahata e il regista olandese Michaël Dudok de Wit, La tartaruga rossa fonde alla perfezione lo stile inconfondibile dell'animazione dello Studio Ghibli con un gusto europeo, in un insieme di grande armonia e suggestione.
La sinergia tra due scuole
Un naufrago, sopravvissuto alla tempesta che ha distrutto la sua imbarcazione, viene sospinto dalle onde su un’isola deserta. Incapace di rassegnarsi alla prospettiva di restare sull’isola, l’uomo prova a costruire una zattera con cui rimettersi in mare. Quando, poco dopo la partenza, l’imbarcazione viene distrutta da una misteriosa forza proveniente da sotto il livello del mare, l’uomo non si dà per vinto, e decide di costruire una zattera più resistente. La seconda imbarcazione, appena messa in acqua, finisce però in pezzi come la prima. Dopo il terzo tentativo andato a vuoto, l’uomo si trova faccia a faccia con la creatura responsabile dei suoi fallimenti: un’enorme tartaruga marina dal guscio rosso. Il naufrago sfoga con rabbia la sua frustrazione sull’animale, inconsapevole che quell’incontro è destinato a cambiargli per sempre la vita.
Un incontro che viene da lontano
È notizia recentissima, risalente solo a poche settimane fa, quella del ripensamento di Hayao Miyazaki (il secondo nella sua carriera) alla sua decisione di abbandonare la regia cinematografica, successiva all’uscita del suo Si alza il vento (2013). Una decisione a sorpresa, quella del maestro giapponese, destinata a sparigliare ulteriormente le carte in casa Ghibli: specie in un contesto in movimento, che vede da tempo la ricerca di validi “eredi” (concetto fuorviante, nel caso specifico) del regista stesso e del suo collega e sodale storico Isao Takahata. Una decisione che in parte ridimensiona il carattere di “epitaffio” del film del 2013, ma che non arresta l’opera di ridefinizione produttiva e artistica che lo Studio sta attualmente attraversando.
Esempio emblematico di quest’opera è proprio questo La tartaruga rossa, co-produzione franco-belga-giapponese con cui lo Studio si apre all’animazione europea. Un progetto nato da lontano, dall’incontro del 2004 tra Takahata e il regista Michaël Dudok de Wit, animatore olandese di base a Londra, che si era già messo in luce con alcuni notevoli cortometraggi (tra questi, il suo Father and Daughter, insignito dell’Oscar nel 2001). La sintonia artistica tra i due, tradotta nella sinergia produttiva tra lo Studio Ghibli e la francese Prima Linea Productions, ha permesso la realizzazione di un prodotto che fonde in modo ottimale stile e suggestioni delle opere Ghibli con la sensibilità e l’estetica della migliore animazione europea.
I temi e lo stile
Un’opera dunque ibrida, quella di de Wit (qui al suo esordio nel lungometraggio) che tuttavia trova una sintesi narrativamente perfetta tra le sue due anime, oltre a un equilibrio armonico, frutto di un attento lavoro di assemblaggio tra la tecnica del carboncino, i disegni manuali e il digitale dei fondali in movimento. L’assenza di dialoghi esalta il carattere del film quasi da pittura in movimento, mentre le tematiche affrontate sono quelle da sempre care ai lavori Ghibli (la convivenza uomo/natura, l’animismo, il ciclo vitale e la morte); tematiche filtrate qui da quella sensibilità europea già presente in nuce nella formazione dei creatori dello Studio, che ora può esprimersi in una sintesi di grande armonia e suggestione.
Tecnicamente di grande fattura, visivamente suggestivo, capace di esprimere un equilibrio quasi magico tra la sensibilità orientale e quella europea, ma anche tra passato e presente, tradizione e modernità, La tartaruga rossa sprigiona lirismo ed emozione da ogni sua singola immagine. Quello che de Wit mette in scena, attraverso la potente metafora del rettile marino, è l’eterno ciclo di vita, amore e morte, raccontato con uno sguardo partecipe e privo di retorica, reso essenziale e pregnante dall’assenza di dialoghi.
Sintesi e densità
Le diverse tecniche di disegno e animazione utilizzate da La tartaruga rossa sono assemblate alla perfezione, senza che mai un singolo dettaglio appaia fuori contesto. Gli 80 minuti dell’opera, che riassumono un arco temporale pluridecennale, risultano straordinariamente densi e privi di elementi superflui, capaci di riassumere una vicenda di vita che, virata nella dimensione fantastica e privata dell’elemento verbale, assurge alla sua forma più pura e limpida. L’arioso commento sonoro, opera del francese Laurent Perez, si inserisce nel modo migliore in un’opera capace di esprimere un equilibrio e un rigore narrativo – misti ad autentica emozione – rari da trovare nel cinema moderno.
Va ovviamente sottolineata la distanza di questo La tartaruga rossa tanto dall’animazione occidentale di cassetta (anche da quella più di qualità, a cominciare dalle opere Pixar) quanto da quella giapponese maggiormente improntata al mainstream. Si tratta (ed è una sottolineatura ovvia, ma inevitabile) di un’opera lontanissima dallo stereotipo del film di animazione che ancora (disgraziatamente) pervade il pubblico italiano medio. Spiace inoltre (ma questo non è, ovviamente, un difetto) che il film venga distribuito con la formula (ormai purtroppo assurta quasi a regola) dell’evento speciale limitato a tre giornate: ragione in più per non lasciarsi sfuggire la sua visione in sala, esperienza che difficilmente sarà possibile sperimentare altrimenti.
Scheda
Titolo originale: La tortue rouge
Regia: Michael Dudok de Wit
Paese/anno: Francia, Giappone, Belgio / 2016
Durata: 80’
Genere: Avventura, Animazione, Fantastico
Sceneggiatura: Pascale Ferran, Michael Dudok de Wit
Montaggio: Céline Kélépikis
Musiche: Laurent Perez del Mar
Produttore: Pascal Caucheteux, Isao Takahata, Léon Pérahia, Grégoire Sorlat, Vincent Maraval, Toshio Suzuki, Rémi Burah, Olivier Père
Casa di Produzione: Wild Bunch, Why Not Productions, Arte France Cinéma, Studio Ghibli, Prima Linea Productions, CN4 Productions, Belvision
Distribuzione: BiM Distribuzione
Data di uscita: 27/03/2017