X-MEN – DARK PHOENIX
In X-Men - Dark Phoenix, penultimo film dell’ormai ventennale saga dei mutanti Fox/Marvel, si avverte lo sforzo del regista Simon Kinberg nel salutare i suoi personaggi con un episodio degno: uno sforzo in parte coronato da successo, malgrado qualche forzatura e schematismo di troppo.
Dopo l'Apocalisse
Esce quasi “in sordina” – per quanto l’espressione possa essere adatta a un cinecomic hollywoodiano – questo X-Men – Dark Phoenix. In sordina perché gli appassionati del genere sparsi per il globo stanno ancora discutendo, guardando, riguardando e dissezionando ogni singolo particolare del recente Avengers: Endgame; e perché il film di Simon Kinberg (sceneggiatore di molti capitoli della saga, qui al suo esordio alla regia) segna il definitivo avvicinamento al capolinea del franchise sui mutanti, inaugurato nell’ormai lontano 2000 da Bryan Singer col suo X-Men. Ci sarà ancora un ultimo spin-off intitolato New Mutants, previsto per il 2020 e diretto da Josh Boone, prima del previsto passaggio degli X-Men nel Marvel Cinematic Universe; ma è indubbio che l’ultimo episodio realmente importante, quello che si inserisce direttamente nella storyline principale della serie (pur piegata e modificata dal sequel/prequel X-Men: Giorni di un futuro passato), sia proprio questo. Una realtà di cui il regista mostra di avere consapevolezza, visto che nel film si coglie lo sforzo di costruire un’epica e un pathos un po’ da “ultimo capitolo”, malgrado il film sia in realtà il terzo prequel della saga; anche il già discusso spoiler, che non riveliamo, trapelato dal trailer – poi confermato dallo stesso regista – si inserisce probabilmente nella precisa strategia di creare hype.
Il film di Kinberg è incentrato, com’è ormai noto, sul personaggio della Fenice/Jean Grey interpretata da Sophie Turner, reintrodotto nella sua versione giovane dal recente X-Men: Apocalisse: il prologo mostra infatti un evento-chiave dell’infanzia della ragazza, quello che la portò, sola e sperduta, a essere ospitata nella scuola del professor Charles Xavier. In seguito, l’azione si sposta nel 1992, con la squadra degli X-Men ormai pienamente inserita nelle istituzioni americane, e i suoi membri considerati eroi nazionali. Quando una missione di salvataggio nello spazio si rivela più pericolosa del previsto, a farne le spese è proprio Jean: investita da una tempesta solare che avrebbe dovuto ucciderla, la giovane ne esce apparentemente illesa, ma con poteri accentuati e sempre più difficili da controllare. Nel frattempo, una misteriosa donna si mette sulle sue tracce, apparentemente interessata alla straordinaria energia che la ragazza sembra aver incamerato dentro di sé.
Seconda saga fumettistica della storia per longevità e incassi, dopo l’irraggiungibile MCU, il franchise degli X-Men ha mantenuto nel corso degli anni una sua coerenza di tono, ma anche un’attenzione ai personaggi che – finanche negli episodi meno riusciti – le hanno conferito un’identità forte consolidatasi di film in film. L’idea dei “supereroi con superproblemi”, che fu un po’ la base di partenza per l’universo Marvel, si declina qui in una più approfondita riflessione sulla diversità e sulla chiusura delle società occidentali verso l’elemento deviante, con la creazione di un gruppo di antagonisti (capitanati da Erik Lehnsherr/Magneto) che sarebbe riduttivo definire “villains”. Proprio per questo, probabilmente, la saga inaugurata da Bryan Singer ha concesso poco, nei suoi quasi vent’anni di vita, a quell’umorismo scanzonato e smitizzante che in seguito – mutuato dalle tavole originali – avrebbe fatto la fortuna del Marvel Cinematic Universe; qui, la decostruzione della figura del supereroe, pur innegabile, si sposta sul piano di un’allegoria sociale – i fumetti, è bene ricordarlo, risalgono agli anni ‘60, periodo di grande fermento per i diritti civili – e quindi di una dimensione collettiva che lasciano poco spazio per l’umorismo pop e gli scherzi sui singoli superpoteri. Il tono è inevitabilmente più “serio” – ma comunque lontano dalla seriosità muscolare espressa dai rivali della DC.
In questo X-Men – Dark Phoenix, comunque, Kinberg si sforza come può – in parte riuscendoci – di salutare i “suoi” mutanti con un episodio degno, capace di chiudere idealmente un cerchio. Guardando il film, in effetti, viene quasi da ritenere superflua la visione del prossimo spin-off, mentre la mente va piuttosto – inevitabilmente – all’annunciato reboot, e alla possibile, difficile convivenza dei personaggi con i “colleghi” Avengers. Sia quel che sia, il film si giova di una scrittura che appare più pregnante ed equilibrata rispetto a quella del precedente X-Men: Apocalisse: se quest’ultimo era in parte appesantito da quella febbre nostalgica per gli eighties che troppo spesso è diventata, negli ultimi anni, vuota esibizione di feticci, qui il decennio successivo (i meno celebrati – almeno per ora – anni ‘90) resta abbastanza sullo sfondo, evitando di giocare slealmente con la memoria dello spettatore. Inoltre, il focus prevalente del soggetto su un singolo personaggio, e sulla sua evoluzione, ha evitato quella dispersività di scrittura, e superficialità di gestione di alcune sottotrame, che avevano influito negativamente sul risultato del film precedente. Qui, anzi, la sceneggiatura dello stesso Kinberg sembra trovare maggiori ispirazione ed equilibrio, mostrando anche le prime crepe nella squadra capitanata dal Charles Xavier interpretato da James McAvoy, e introducendo una problematizzazione del personaggio di quest’ultimo che risulta inedita nel contesto della saga. Così, anche l’amico/nemesi Erik Lehnsherr/Magneto (con cui, ancora una volta, Michael Fassbender sembra trovarsi più che mai a suo agio) trova il suo giusto spazio e peso narrativo nel plot, seppur in una posizione più defilata rispetto ai film precedenti.
Non mancano, ovviamente, gli schematismi e le forzature, nel film di Simon Kinberg, non mancano i passaggi affrettati e poco funzionali, spesso riguardanti proprio il personaggio di Magneto, come la sua evoluzione nella seconda parte del film; mentre convince poco, paradossalmente, la gestione dell’autentico villain della storia, l’inquietante assassina col volto di Jessica Chastain. Proprio lei, e la sua squadra, protagonisti di un confronto a bordo di un treno che a tratti rimanda (un po’ nostalgicamente, questo sì) al morphing di Terminator 2 – Il giorno del giudizio, meritavano probabilmente un approfondimento maggiore, e un diverso sguardo sul proprio background; anche in considerazione del fatto che sicuramente – almeno nella veste in cui li abbiamo visti qui – questa resterà la loro prima e ultima apparizione sullo schermo. Lo stesso confronto finale appare leggermente pretestuoso nel modo in cui viene risolto; ma quest’ultimo resta un limite in fondo perdonabile, in qualche modo fisiologico all’idea di partenza del film e alla “morale” che sottende. La sequenza che conclude X-Men – Dark Phoenix, probabilmente, provocherà un po’ di emozione ai vecchi spettatori della saga, rinforzando l’idea – fortemente ricercata – di un cerchio che si va a chiudere. E vogliamo specificarlo, anche se in virtù di quanto appena detto può risultare intuibile: anche qui, così come nell’ultimo “rivale” di casa Marvel, non vi è nessuna sequenza post-credits.
Scheda
Titolo originale: Dark Phoenix
Regia: Simon Kinberg
Paese/anno: Stati Uniti / 2019
Durata: 114’
Genere: Avventura, Fantastico, Fantascienza, Azione
Cast: Jessica Chastain, James McAvoy, Michael Fassbender, Nicholas Hoult, Kodi Smit-McPhee, Alexandra Shipp, Evan Peters, Jennifer Lawrence, Tye Sheridan, Ato Essandoh, Daniel Cudmore, Hannah Emily Anderson, Kota Eberhardt, Sophie Turner, Summer Fontana
Sceneggiatura: Simon Kinberg
Fotografia: Mauro Fiore
Montaggio: Lee Smith
Musiche: Hans Zimmer
Produttore: Lauren Shuler Donner, Stan Lee, Hutch Parker, Todd Hallowell, Josh McLaglen, Simon Kinberg
Casa di Produzione: 20th Century Fox, Bad Hat Harry Productions, Donner s Company
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Data di uscita: 06/06/2019