SERENITY – L’ISOLA DELL’INGANNO

SERENITY – L’ISOLA DELL’INGANNO

Presentato come un neo-noir, tutto basato su una svolta narrativa che provoca al più incredula indifferenza, Serenity - L'isola dell'inganno è un fiacco e pretenzioso ritorno dietro la macchina da presa per il talentuoso sceneggiatore Steven Knight.

Un inganno velleitario

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Guardando questo Serenity – L’isola dell’inganno, giunto ben sei anni dopo il precedente lavoro da regista di Steven Knight (il celebrato Locke) viene da pensare che il talentuoso sceneggiatore, nel film che fu presentato a Venezia nel 2013, abbia semplicemente avuto la fortuna di imbroccare il soggetto giusto, indovinando poi fortuitamente il registro per tradurlo in immagini. Una considerazione che già poteva essere ipotizzata dopo la visione di quello che in realtà era stato l’esordio dietro la macchina da presa di Knight (pur se giunto in Italia pochi mesi dopo), il di poco precedente – e ben più convenzionale – Redemption – Identità nascoste; ma la visione del nuovo lavoro del regista/sceneggiatore britannico lascia ancor più perplessi, principalmente per una fattura cinematografica che riesce a essere insieme pasticciata, velleitaria e stereotipata. Difetti, questi ultimi, spesso mutualmente esclusivi, ma che Knight è qui “riuscito” a condensare in un singolo film, che paradossalmente sembra avere proprio in una sceneggiatura fiacca e confusa il suo primo problema. Un paradosso non da poco, per un cineasta che nasce come autore di sceneggiature – e che proprio in questo ruolo si è conquistato un rispetto e una considerazione non da poco nel panorama mainstream più autoriale.

Si presenta sostanzialmente come un neo-noir, Serenity – L’isola dell’inganno, pur se l’ambientazione e l’introduzione del protagonista restituiscono echi (piuttosto smaccati) del Moby Dick melvilliano, e della dimensione archetipica di “sfida” che quest’ultimo aveva alla sua base. Il protagonista interpretato da Matthew McConaughey sembra incarnare abbastanza bene la figura dell’individuo tormentato e in fuga, ritiratosi a vivere in un non-luogo – un’isola caraibica separata dal resto del mondo – all’inseguimento di quella serenità che, finché non verrà soddisfatta l’ossessione della cattura di un misterioso pesce denominato Giustizia, resterà al massimo un nome stampato sul fianco di una barca. Il passato viene a far visita al protagonista nella forma della sua ex compagna, madre di suo figlio, ora succube insieme al ragazzino di un marito ricco e violento; la proposta della donna, che ha rintracciato l’ex compagno convincendo il marito a organizzare una battuta di pesca sulla sua barca, è quella di uccidere l’uomo gettandolo in mare, simulando un incidente. Il compenso promesso: 10 milioni di dollari, il suo ritorno tra le braccia dell’ex compagno, ma soprattutto la tranquillità del ragazzo, chiusosi in se stesso e incapace di comunicare col mondo a causa dell’ambiente familiare disfunzionale.

Il film di Knight punta tutte le sue carte su un plot twist che giunge a circa due terzi della sua durata, modificando in modo abbastanza sostanziale le premesse e la stessa fattura del soggetto, e dando una decisa svolta narrativa a quest’ultimo. L’effetto di spiazzamento e meraviglia ricercato dal regista, tuttavia, non arriva, o comunque non nelle forme che probabilmente lo stesso Knight aveva auspicato; questo principalmente perché la precedente preparazione del terreno narrativo, la costruzione del setting e l’organizzazione del crescendo che doveva introdurre lo spettatore alla svolta, risultano deboli e confusi. Si avverte in modo abbastanza chiaro, in tutta la prima ora di Serenity – L’isola dell’inganno, che qualcosa non è esattamente così come appare agli occhi del protagonista (non crediamo così di incappare in uno spoiler, visto che questo senso di graduale straniamento era nelle intenzioni iniziali dello script); gli elementi che spezzano la normale costruzione di un racconto noir (le reiterate apparizioni del venditore di articoli da pesca, la sovrannaturale simbiosi del personaggio di McCounaghey col lontano figlio) sono lì sotto gli occhi dello spettatore. Tuttavia, una costruzione narrativa palesemente difettosa e mal organizzata – anche nella gestione dei vari personaggi secondari – non riesce a fare di tali “crepe” narrative un vero e proprio elemento di tensione e anticipazione; al punto che, quando la svolta infine arriva, la reazione è pericolosamente vicina all’indifferenza.

Film che, al termine della sua durata, appare come poco più di una pretenziosa, disorganica e fiacca commistione di generi, Serenity – L’isola dell’inganno avrebbe potuto rappresentare (in un altro mondo cinematografico) un’interessante riflessione sui concetti di realtà e predestinazione, nonché – con uno script più attentamente preparato – una riflessione sulla stessa potenza del racconto cinematografico, e sulla sua capacità di costruire e (ri)modellare mondi. Tutto questo, però, è evidentemente presente solo nelle intenzioni di Steven Knight, che qui ha deciso di strafare, confezionando un soggetto quasi subito sfuggitogli di mano; un soggetto probabilmente – e riteniamo che in definitiva sia questo il problema principale del film – anche poco nelle sue corde. Se si pensa alle sue sceneggiature meglio riuscite (viene in mente lo stesso Locke, ma anche lavori destinati a giganti del cinema come La promessa dell’assassino e Allied – Un’ombra nascosta) si notano una classicità e una coerenza – di atmosfere, stile e registro – che mal si adattano al carattere forzatamente “sperimentale” qui ricercato. Pare proprio, insomma, che per il suo ritorno dietro la macchina da presa, Knight abbia voluto per forza ricercare lo spiazzamento e la contaminazione, invadendo territori evidentemente non suoi. Il risultato è una macedonia di generi e suggestioni indigesta e mal calibrata, fiacca e scolastica nella prima parte (quella in cui il racconto resta ancorato a una dimensione teoricamente più convenzionale) quanto affrettata e confusa nella seconda. Il botteghino americano, insieme a una critica comprensibilmente perplessa, si sono limitati – giustamente – a registrarne la scarsa riuscita.

Scheda

Titolo originale: Serenity
Regia: Steven Knight
Paese/anno: Stati Uniti / 2019
Durata: 106’
Genere: Noir, Thriller
Cast: Anne Hathaway, Jason Clarke, Diane Lane, Matthew McConaughey, Djimon Hounsou, Jeremy Strong, David Butler, Charlotte Butler, Garion Dowds, Kenneth Fok, Michael Richard, Rafael Sayegh, Robert Hobbs
Sceneggiatura: Steven Knight
Fotografia: Jess Hall
Montaggio: Laura Jennings
Musiche: Benjamin Wallfisch
Produttore: Greg Shapiro, Guy Heeley
Casa di Produzione: Starlings Entertainment, Nebulastar, Shoebox Films
Distribuzione: Lucky Red

Data di uscita: 18/07/2019

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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