DOCTOR SLEEP
Diretto da un Mike Flanagan che si conferma regista perfettamente affine al mondo di Stephen King, Doctor Sleep compie il miracolo di tenere insieme la fedeltà al romanzo originale con un'iconografia, quella dell'Overlook Hotel, che Stanley Kubrick consegnò alla storia del cinema. Un “sacrilegio” dichiarato e assolutamente riuscito.
L'orrore che (ri)concilia
Era stata accolta da scetticismo e scarso credito fin dal suo annuncio, l’“operazione Doctor Sleep”. Fin da quando il progetto del film di Mike Flanagan è stato rivelato, infatti, i social e le pubblicazioni specializzate sono stati invasi da una redda di dichiarazioni perplesse nella migliore delle ipotesi, grondanti sarcasmo e commiserazione nella peggiore, tutte incentrate sull’assunto (altamente discutibile, almeno limitatamente alla seconda proposizione) secondo cui “lo Shining di Stanley Kubrick è un classico, e i classici non si toccano”. Prese di posizione, queste ultime, che hanno finito per assumere una forza ancora maggiore nel momento in cui è stato diffuso il primo trailer del film, che rivelava come Flanagan avesse deciso non solo di trasporre sullo schermo l’omonimo romanzo di Stephen King (sequel dello Shining letterario del 1977, ovvero di un’opera, concettualmente e sostanzialmente, molto diversa dalla successiva versione filmata) ma anche di dirigere un film che si ricollegasse direttamente al capolavoro kubrickiano, vivendo nel suo stesso universo. Una scelta, quella del regista, che ha dato fiato alle trombe degli scettici, finendo per legittimare le prese di posizione di chi semplicisticamente vedeva in arrivo “il sequel di Shining”.
Quella di Mike Flanagan in Doctor Sleep, diciamolo subito, è stata una scommessa altamente rischiosa: un’operazione nata da un approccio al soggetto che, forse fiutando le obiezioni e l’inevitabile vulgata che si sarebbe diffusa (o forse anticipandole, con una personale, umanissima “luccicanza”) ha deciso di abbracciarne preventivamente il contenuto, consapevole che comunque l’ombra del film di Kubrick non sarebbe stata cancellabile. Così, il regista americano ha scelto di rendere Doctor Sleep anche una prosecuzione della vicenda raccontata da Kubrick, inserendo addirittura sequenze che ne riproducessero filologicamente il contenuto (ne è esempio plastico il prologo), ricostruendo il set dell’Overlook Hotel nel segno dell’assoluta fedeltà, e inserendo nel cast interpreti capaci di richiamare direttamente, per recitazione e somiglianza fisica, il film del 1980. Una scelta che ha dovuto fare i conti con le notevoli differenze di trama tra lo Shining letterario e quello cinematografico, risultanti in premesse completamente diverse per la sua prosecuzione, e soprattutto in una necessaria riscrittura di tutta l’ultima parte. È come se Flanagan avesse deciso di giocare d’anticipo, dichiarando da subito “l’oltraggio” compiuto e invitando comunque a giudicarne i risultati.
Attenendosi a grandi linee a quanto raccontato da King, il prologo di Doctor Sleep mostra un Danny Torrance fresco reduce dall’incubo dell’Overlook, ancora tormentato dai suoi fantasmi, a malapena contenuti in scatole mentali sigillate (seguendo il suggerimento del vecchio amico Dick Halloran). Presenze e incubi che accompagnano il personaggio e ne condizionano il passaggio dall’infanzia all’età adulta: qui lo ritroviamo, quarantenne, alle prese con la dipendenza da alcol e con una vita raminga, in perenne fuga da se stesso e dalla maledizione del suo dono. Quando Dan giunge in una cittadina del New Hampshire, viene contattato da Abra, una ragazzina che come lui “luccica”, ma con una potenza mille volte superiore: la ragazza si è resa conto che su di lei, e su tutti quelli come lei e Dan, grava la minaccia del Vero Nodo, una setta di semi-umani che letteralmente si nutrono del potere di chi ha la “luccicanza”. Dopo che il Vero Nodo, guidato dalla bellissima e spietata Rose, uccide orribilmente un ragazzino per rubare la sua energia, Abra decide di chiedere l’aiuto di Dan per combatterlo: ma la ragazzina non si rende conto di essere lei stessa il prossimo bersaglio, in quanto dotata di un potere di una portata mai vista prima.
Il primo, piccolo “miracolo” compiuto da Doctor Sleep è stato, come già abbiamo accennato, quello di riuscire a mettere d’accordo due letture completamente diverse (per non dire opposte) dello stesso soggetto: l’ostilità di Stephen King per la versione del suo romanzo filmata da Kubrick (ostilità ribadita anche nella presentazione dello stesso sequel letterario, nonché nella sua postfazione) non ha infatti impedito a Flanagan di cercare una conciliazione tra ciò che sembrava inconciliabile, non solo a livello di mera presentazione degli eventi, ma anche e soprattutto di atmosfere. Così, il film fa i conti in ogni singola scena con personaggi ed eventi dello Shining cinematografico, ne richiama continuamente le sequenze in flashback diretti, sogni e visioni, organizza i suoi eventi (e la sua stessa narrazione) in vista di uno showdown che tirerà direttamente le fila del passato, e che quei luoghi – e quei fantasmi – richiamerà in modo diretto. L’azzardo compiuto da Flanagan arriva alle estreme conseguenze nel momento in cui fa tabula rasa di tutta l’ultima parte della storia narrata da King, riscrivendola completamente (in una curiosa specularità col film di Kubrick) e arrivando così a “riconciliare” un approccio tipicamente kinghiano alla storia, ai personaggi e alla concezione stessa dell’orrore, con l’iconografia ormai entrata nell’immaginario collettivo dell’Overlook Hotel, così com’è stato consegnato alla storia dal film del 1980.
In Doctor Sleep, è il caso di sottolinearlo, c’è comunque un’anima intimamente kinghiana, che nel momento in cui dichiara il suo debito di riconoscenza con lo Shining filmico (insieme all’impossibilità di ignorare il posto che quest’ultimo ormai occupa, stabilmente, nell’immaginario di qualsiasi spettatore) ribadisce che la lettura scelta, l’approccio alla materia del fantastico, la consistenza stessa dei mostri e delle loro materializzazioni, derivano assolutamente da quelli dello scrittore. Tra moderni registi di cinema horror, d’altronde, Mike Flanagan è indubbiamente quello che ha mostrato una sensibilità più vicina all’opera di King: e ciò vale non solo per la sua (sottovalutata) trasposizione de Il gioco di Gerald, fedele al romanzo originale e dalla notevole tenuta narrativa e visiva, ma anche per lavori quali Somnia e soprattutto la recente serie Hill House: opere in cui si rileva una fiducia assoluta per i mezzi e gli stilemi del fantastico – persino per i suoi stereotipi – che non ne diluiscono il potere grezzo e primevo in vuote derive autoriali, ma ne dichiarano al contrario il legame con la vita, la quotidianità, e i temi di portata universale quali la crescita personale, i fantasmi del quotidiano, il confronto col lutto e l’umana incapacità di affrontare la propria mortalità. Temi, questi ultimi, che attraversano l’intera narrativa kinghiana, che informavano di sé Shining (poi sfrondato e “piegato” alle esigenze del genio kubrickiano) e che tornano in modo esplicito anche in Doctor Sleep, romanzo e film.
Di quell’anima orgogliosamente di genere, che non ha paura di apparire persino triviale nel momento in cui mette in scena il fantastico, di mostrare creature che, quando vengono uccise, si consumano lentamente come in un b-movie, di affidare le sue premesse a un concetto (vampiri moderni che si nutrono di individui speciali) che può atterrire per la sua semplicità, Doctor Sleep è impregnato in tutte le sue due ore e mezza di durata. Quelle premesse, Flanagan le sviluppa con una notevole eleganza nella messa in scena, con un susseguirsi di invenzioni che ammaliano prima ancora di terrorizzare (la lunga sequenza che mostra il primo contatto tra la piccola Abra e la sua nemica Rose è potentissima), con una cura scenografica che cattura e irretisce l’occhio dello spettatore, prima di colpire i suoi nervi. Tenendo la storia narrata da King come bussola ideale e concettuale (anche laddove è costretto a discostarsene) il regista non arretra neanche di fronte al melò, trattando con sensibilità e intelligenza il tema della morte, del trapasso e del lutto – presente e fondamentale nel romanzo – e ribadendo l’assoluta fiducia dello scrittore nell’universo infantile e nella purezza – da preservare e perpetuare – della sua visione. Compenetrando gli orrori quotidiani dell’alcolismo e i fantasmi del fallimento personale con quelli di mostri troppo umani, capaci (anche) di nutrirsi di debolezze, fallimenti e sconfitte, Ewan McGregor e Rebecca Ferguson danno vita a uno scontro che sarebbe riduttivo ricondurre alla mera dimensione del racconto di genere. Doctor Sleep è anche cronaca di una redenzione personale, che affronta senza paura (utilizzandolo a suo vantaggio) il suo ingombrante materiale. Al netto di un finale che consta forse di una scena di troppo (ma è un peccato veniale) l’emozione è praticamente inevitabile.
Scheda
Titolo originale: Doctor Sleep
Regia: Mike Flanagan
Paese/anno: Stati Uniti / 2019
Durata: 153’
Genere: Horror
Cast: Ewan McGregor, Jacob Tremblay, Rebecca Ferguson, Bruce Greenwood, Carl Lumbly, Cliff Curtis, Robert Longstreet, Violet McGraw, Alex Essoe, Emily Alyn Lind, Jocelin Donahue, Kk Heim, Roger Dale Floyd, Sadie Heim, Zahn McClarnon, Bethany Anne Lind, Carel Struycken, Catherine Parker, Chelsea Talmadge, Esteban Cueto, Kyliegh Curran, Marc Farley, Nicholas Pryor, Selena Anduze, Shane Brady, Zackary Momoh
Sceneggiatura: Mike Flanagan
Fotografia: Michael Fimognari
Montaggio: Mike Flanagan
Musiche: The Newton Brothers
Produttore: Jon Berg, Trevor Macy
Casa di Produzione: Intrepid Pictures, Warner Bros., Vertigo Entertainment
Distribuzione: Warner Bros.
Data di uscita: 31/10/2019