THE PROJECTIONIST
di Abel Ferrara
Documentario in grado di riflettere sul potere aggregante della sala cinematografica, attraverso il ritratto di chi, di quel potere, ha fatto una (redditizia) ragione di vita, The Projectionist è un’opera seria e divertita insieme, ennesima prova dell’eclettismo di un cineasta come Abel Ferrara. In anteprima al 37° Torino Film Festival.
Il buio aggregante
La visione, uno dopo l’altro, di due lungometraggi come Tommaso e The Projectionist, ultimi lavori di Abel Ferrara, facenti parte entrambi del cartellone del 37° Torino Film Festival, dà un’idea della poliedricità e dell’ecletticità del cineasta americano. Due opere in certo qual modo speculari. Se l’illusoria solarità della Roma di Tommaso, infatti, celava il buio e il travaglio di un regista, padre e marito, in The Projectionist è il buio di una sala cinematografica, come concetto prima ancora che luogo concreto, a farsi emblema di una passione che è esplosiva, divorante, “solare” per definizione. La passione è quella di Nicolas “Nick” Nicolaou, immigrato cipriota nella New York degli anni ’70, per il cinema, e in particolare per il luogo della sala cinematografica. Una volta giunto in città dalla sua residenza cipriota, da adolescente, Nick inizia a lavorare come maschera nei cinema di Manhattan, ma il suo fiuto per gli affari lo porta presto ad avviare una propria, redditizia attività. Nel giro di pochi anni, Nicolaou diventa uno dei più ricchi proprietari di sale indipendenti di New York, con una proposta che spazia dal porno al cinema d’autore. La sua cocciutaggine lo porta a sfidare lo strapotere delle multisala, a partire dagli anni ’90, spingendolo a tenere in vita molti dei suoi cinema; l’amico Ferrara ne documenta qui il percorso attraverso l’ultimo quarantennio di storia newyorchese (cinematografica e non).
Documentario dall’impianto classico, che muove dal racconto dell’infanzia di Nicolaou a Cipro fino al lavoro di esercente cinematografico nella New York attuale, The Projectionist mostra innanzitutto una vicinanza, umana prima ancora che lavorativa, per l’“oggetto” rappresentato, che risulta rara in un documentario. Ferrara, che appare nel film in poche, significative scene (simpatica, tra queste, quella di un dialogo con un gruppo di studenti usciti da uno dei cinema dell’amico) evita sia l’agiografia che il mero racconto cronachistico, mostrando di Nicolaou anche il lato un po’ guascone, quello di scaltro uomo d’affari abituato a valutare un’azione dal suo possibile rendimento, ma anche quello di chi si emoziona come un bambino vedendo le sue sale popolate di pubblico partecipe ed emozionato. Ferrara fa così una riflessione sul consumo cinematografico quale rito sociale, sul modo in cui questo si è modificato negli anni includendo altre dimensioni (Nicolaou, a questo proposito, fu tra i primi a introdurre in un suo cinema uno spazio dedicato esclusivamente ai bambini), sulla tendenza omologante delle multisala e la resistenza – apparentemente priva di speranza – delle sale indipendenti.
Nel racconto lungo quattro decenni di The Projectionist viene così messa in risalto sia la dimensione sociale del consumo cinematografico, quella di scambio e condivisione (anche con chi un cinema lo gestisce), sia l’importanza del luogo stesso della sala, il suo valore culturale, il suo caricarsi di storia e racconti: è significativa, in questo senso, la narrazione del recupero di due sale cittadine storiche, risalenti rispettivamente all’inizio del secolo scorso e agli anni ’50. Nicolaou, loquace e a ruota libera nello sviscerare i tanti aspetti del suo lavoro, sembra tenere particolarmente a sottolineare la non rilevanza della tipologia di pubblico, laddove questo è composto da utenti (prima che consumatori) tutti ugualmente da rispettare: che si tratti di colti spettatori entrati in sala per vedere un film indipendente di produzione europea, o di uomini arrivati per assistere a un film pornografico, la considerazione dovuta è la stessa; anche perché il rito sociale sotteso alla visione, e il suo potenziale intrinsecamente aggregante, sono in parte gli stessi. In questo senso, pur senza nominare le piattaforme di streaming che hanno invaso il mercato nel corso dell’ultimo decennio, Ferrara sembra prendere una posizione netta in favore della sala cinematografica, luogo che, per il suo essere (primariamente) spazio di condivisione, risulta anche l’unico in grado di offrire un’esperienza davvero completa del medium cinematografico.
Giocoso e serio, caricato di uno sguardo lieve e ricco di humour che tuttavia non elude le trasformazioni (anche drammatiche) che il tessuto sociale newyorchese ha attraversato nel corso dei decenni, né le ricadute delle decisioni politiche sulla dimensione del consumo cinematografico (c’è, in questo senso, un attacco piuttosto esplicito alla politica dell’ex sindaco Rudolph Giuliani), The Projectionist è celebrazione di un lavoro che “forma” (in tutti i sensi) il tessuto sociale, che produce sogni ma crea anche cittadinanza, nel senso più onnicomprensivo del termine. La guerra contro le multisala, e la loro collusione (oggetto nel film di un’esplicita denuncia) con la politica distributiva delle major, ha certamente lasciato sul campo le sue vittime: ma, nonostante lo sguardo realistico e la consapevolezza che, nonostante tutto, quella guerra non è stata ancora vinta, il ritratto che ne fuoriesce è quello di un uomo che “tiene botta” con apprezzabile (e giustamente sfrontata) tenacia. Con la scaltrezza del navigato imprenditore, ma anche la sempiterna emozione per quella sala buia e quel fascio di luce produttore di sogni e visioni.
Scheda
Titolo originale: The Projectionist
Regia: Abel Ferrara
Paese/anno: Grecia, Stati Uniti / 2019
Durata: 81’
Genere: Documentario
Cast: Abel Ferrara, Nicolas Nicolaou
Sceneggiatura: Abel Ferrara
Fotografia: Ken Kelsch
Montaggio: Fabio Nunziata
Musiche: Joe Delia
Produttore: Michael M. Bilandic, Joshua Blum, Christos V. Konstantakopoulos, Katie Stern, Michael Weber
Casa di Produzione: Faliro House Productions, Washington Square Films