DRACULA
Creata da Mark Gatiss, Steven Moffat
Giocando col classico in modo sornione, muovendo dall'aderenza filologica all'esplorazione di un territorio completamente nuovo, Mark Gatiss e Steven Moffat reinterpretano Dracula in modo intelligente e accattivante, sfruttando al meglio le potenzialità della forma seriale. Su Netflix.
Il viaggio del Conte
C’era una certa curiosità riguardo a questa nuova, già chiacchieratissima versione di Dracula, annunciata già dal 2018 e concepita in forma di miniserie televisiva (distribuita dalla BBC e da Netflix) da Mark Gatiss e Steven Moffat. L’immarcescibile Conte, icona rivisitata dal cinema e dalla televisione – senza dimenticare narrativa e fumetti – praticamente in qualsiasi chiave possibile (da quelle più filologiche a quelle contaminate coi più svariati generi, dalla commedia alla fantascienza) sembrava ormai aver esaurito molto del suo potenziale espressivo, o comunque – pur restando intatto il suo magnetismo, e la sua espressione di un compendio di umane paure/pulsioni primordiali – della sua capacità di “rivivere” e dire davvero qualcosa di nuovo nel panorama del fantastico moderno. Le sue ultime incarnazioni (dal Dracula 3D di Dario Argento alla serie omonima, ad ambientazione contemporanea, prodotta dalla NBC nel 2013) non avevano certo lasciato nei rispettivi ambiti un segno significativo. Eppure, una rivisitazione del romanzo di Bram Stoker a opera di Gatiss e Moffat era in partenza un’operazione da non sottovalutare, o peggio bollare come mero riciclo; la capacità mostrata dai due, nel loro celebrato Sherlock, di far rivivere un soggetto classico nel contesto della cultura di massa moderna imponeva una certa attenzione per questa nuova operazione. Un’operazione che, a differenza della serie dedicata al personaggio di Arthur Conan Doyle, muove qui dallo stesso setting del romanzo di Stoker.
Partendo con una narrazione in flashback, per opera di un Jonathan Harker appena scampato alla prigionia del Conte e interrogato da due suore in un convento, il nuovo Dracula segue dapprima, in apparenza, la timeline del romanzo di Stoker. Tutto appare nel segno della filologia, dall’arrivo nel castello col rifiuto del cocchiere locale di avvicinarsi, alla lugubre cena col Conte e alla progressiva scoperta, da parte del protagonista, di essere prigioniero. Le scelte scenografiche e di fotografia, a riprodurre un gusto vintage che fa poche concessioni all’odierna estetica digitale (la storia si giova in parte di location slovacche, in particolare di quel castello di Orava che fu già teatro del classico Nosferatu il vampiro di F.W. Murnau) parlano chiaramente a chi conosca le precedenti incarnazioni cinematografiche del personaggio; pensiamo in particolare a quelle della lunga serie Hammer (introdotta da Dracula il vampiro di Terence Fisher del 1958, e andata avanti per circa un ventennio). L’illuminazione degli interni, con la predominante cromatica del giallo, è concepita nel segno della citazione/omaggio ai classici del passato, ma anche la figura del protagonista – interpretato con un certo gusto dall’attore danese Claes Bang – appare come un compendio delle sue precedenti incarnazioni: c’è l’iniziale, respingente senilità del Gary Oldman del Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola, c’è il magnetismo nello sguardo (con l’esplicita, diretta reazione alla vista del sangue) del Conte di Christopher Lee, c’è il portamento aristocratico che rimanda a una via di mezzo tra il Bela Lugosi della versione di Tod Browning del 1931 e il Frank Langella del suo remake del 1979 di John Badham.
La sceneggiatura di Gatiss e Moffat insinua tuttavia, tra le maglie del racconto, dei piccoli scarti, deviazioni dal soggetto originale che anticipano – e in qualche modo preparano – la direzione che verrà poi intrapresa dalla storia. Il nuovo Dracula sembra portare dapprima lo spettatore su un terreno noto e familiare (e quindi, per definizione, ben poco “orrorifico”) riproducendone i tratti con un’aderenza smaccata, per poi disseminare il racconto di piccole crepe, di digressioni ironiche, di tradimenti apparentemente insignificanti che acquisteranno un senso, e una specifica sistemazione, solo nel prosieguo. In questo senso, la struttura seriale della storia – ma anche la sua forma in fondo abbastanza contratta, con tre episodi da circa 90 minuti l’uno – favorisce una scansione temporale che segni anche una progressiva presa di distanza “concettuale” dal materiale di partenza: se il primo episodio è concepito nel segno di un’apparente filologia – filologia tuttavia tradita in modo esplicito nella seconda parte, laddove l’azione si trasferisce all’interno del convento – il secondo si sposta sulla nave destinata a portare Dracula nel Regno Unito, per un viaggio/transizione che segnerà anche l’allontanamento più deciso dal soggetto originale e l’esplorazione, nell’ultimo episodio, di un territorio completamente nuovo. Proprio in questo senso, la forma seriale – in particolare quella di miniserie in tre episodi – si rivela una scelta decisamente ragionata ed efficace, capace di far interagire trama orizzontale e verticale e di scandire le tappe di un viaggio capace di riservare più sorprese di quante non fosse lecito aspettarsi.
Il viaggio – e la lenta trasformazione del soggetto che, in modo deciso e un po’ sornione, i due sceneggiatori operano lungo tutte le quattro ore e mezza di durata, è accompagnato anche dalla progressiva evoluzione/rivelazione del personaggio del Conte stesso; una figura che, da mostro e incarnazione del complesso di paure e pulsioni ancestrali descritto da Stoker, viene arricchito man mano di nuove e diverse sfaccettature, che ne problematizzano (senza tradirla) la figura di partenza. Proprio in quest’ottica, i due sceneggiatori riescono laddove – a parere di chi scrive – il pur ottimo Coppola aveva fallito; se infatti il film del 1992 introduceva nella tessitura della storia un elemento romantico del tutto estraneo alla sua formulazione originale, qui si parte dalla base di quest’ultima per dare al personaggio una coloritura più in linea col gusto moderno, esplorandone nel contempo, su un terreno completamente vergine, le zone ancora da riempire. Una scommessa difficilissima, giocata costantemente sul crinale che separa la reinterpretazione libera dal consapevole tradimento, capace di tener conto del gusto degli esegeti ma anche di quello, ipercontaminato e postmoderno, del pubblico attuale. In questo senso, anche il dualismo tra Dracula e la sua nemesi storica (qui riprodotta in un cognome, Van Helsing, che sopravvive in forma di marchio) si arricchisce di nuove angolazioni, fino a una conclusione tanto imprevedibile quanto (a suo modo) fedele e dalla forte carica ironica. Una conclusione capace di chiudere il viaggio di questo nuovo Dracula – che comunque, a ripercorrerlo mentalmente, ha rispettato tutte le tappe del romanzo originale – senza chiudere del tutto la porta a una sua ipotetica prosecuzione. Segno di una capacità di giocare col classico, riplasmandone la forma, che Gatiss e Moffat hanno qui portato a un nuovo, invidiabile livello.
Scheda
Titolo originale: Dracula
Creata da: Mark Gatiss, Steven Moffat
Regia: Jonny Campbell, Paul McGuigan, Damon Thomas
Paese/anno: Regno Unito / 2020
Durata: 270’
Genere: Horror, Drammatico
Cast: Morfydd Clark, Mark Gatiss, Phil Dunster, Lujza Richter, Alec Utgoff, Claes Bang, Lily Dodsworth-Evans, Lydia West, Youssef Kerkour, Clive Russell, Dolly Wells, John Heffernan, John McCrea, Jonathan Aris, Millicent Wong, Nathan Stewart-Jarrett, Anthony Flanagan, Catherine Schell, Chanel Cresswell, Corrina Wilson, Joanna Scanlan, Lyndsey Marshal, Matthew Beard, Patrick Walshe McBride, Paul Brennen, Petra Dubayova, Polly Kemp, Sacha Dhawan, Samuel Blenkin, Sarah Niles
Sceneggiatura: Mark Gatiss, Steven Moffat
Fotografia: Tony Slater Ling, Julian Court
Montaggio: Colin Fair, Tom Hemmings, Paulo Pandolpho
Musiche: David Arnold, Michael Price
Produttore: Larry Tanz, Louise Say, Ben Irving, Sue Vertue
Casa di Produzione: Hartswood Films, British Broadcasting Corporation (BBC), Netflix
Distribuzione: Netflix
Data di uscita: 04/01/2020