DOGTOOTH

DOGTOOTH

Dogtooth arriva sui nostri schermi con un ritardo di ben undici anni. È il film che lancia la carriera di Yorgos Lanthimos (La favorita, Il sacrificio del cervo sacro), un po' black comedy e un po' horror, storia di una famiglia disfunzionale e del suo assurdo rapporto con la realtà. In equilibrio tra i generi e i toni, si parla anche del mondo di oggi.

Ogni famiglia disfunzionale è disfunzionale a modo suo

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La famiglia. Generazioni su generazioni di analisti, un mattoncino dopo l’altro, hanno costruito imperi andando a scavare fra le pieghe dei conflitti – delle dinamiche? delle follie? delle nevrosi? delle incomprensioni? – che ne caratterizzano l’evoluzione. Qualcosa di tutto questo è ovviamente presente in Dogtooth.

Dogtooth (sarebbe il dente canino) in effetti ma non solo è storia di figli e genitori, di pratiche educative francamente discutibili che partoriscono mondi immaginari. Un horror di formazione dal retrogusto politico, nero d’umorismo, elegante nelle forme e allucinato nello sguardo. Difficilmente i tre figli del film, due femmine e un maschio, adulti all’apparenza ma nell’animo e nei bisogni ancora dei bambini, evocherebbero chissà quale cronaca familiare su un lettino d’analista. Non hanno nomi né sentono il bisogno d’averne, analista è magari il nome con cui identificano un particolare tipo di albero. L’educazione (discutiamone) alla vita dei tre comincia prendendo il vocabolario e lanciandolo dalla finestra; la parola guadagna un senso inedito e così si pongono le basi per la nuova realtà, bugiarda e disturbante.

Nella carriera di Yorgos Lanthimos (The Lobster, La favorita) Dogtooth è il terzo film, l’ora della svolta. Premiato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes del 2009 e nominato all’Oscar 2011 (film straniero). Arriva in Italia, cortesia della Lucky Red, con più di dieci anni di ritardo e paradossalmente la cosa funziona, perché alcune sue suggestioni parlano alla nostra attualità caotica più che al mondo cui il film faceva riferimento. 2009, un’eternità fa. La forza del racconto è di sintetizzare l’idea di cinema e di vita del suo autore in maniera più coerente e efficace di alcuni recenti exploits. Una distorsione delle prospettive che vira al grottesco la realtà nuda e cruda nel tentativo di isolare e illuminare l’abc delle relazioni umane. Siano esse emotive, di potere, o entrambe le cose.

Christos Stergioglou e Michele Valley vogliono proteggere i propri figli. Ogni scelta muove da questo ineludibile imperativo morale. Da cosa precisamente occorra difendersi, non è dato saperlo. Il senso di minaccia rimane imprecisato, il nemico è aleatorio, forse la vita tutta. Spaventano a morte i ragazzi convincendoli, oggi magari chiameremmo qualcosa di simile a questo lockdown, che per nessuna ragione al mondo vale la pena di abbandonare i confini dell’elegante villa con piscina situata da qualche parte nella campagna greca. Angeliki Paoulia, Mary Tsoni e Hristos Passalis obbediscono, fiduciosi che il giorno della liberazione arriverà, il giorno in cui cadrà il dente canino ripreso nel titolo e avrà inizio, finalmente, l’età adulta. Tali assurde pretese i genitori capiscono che possono essere sostenute solo in virtù dei demeriti di un’atroce educazione tagliata su misura, una campagna di disinformazione sistematica, un cumulo di sporche bugie che all’epoca ancora si faceva fatica a chiamare fake news. L’unico elemento di contatto con il mondo di fuori è Anna Kalaitzidou, ingaggiata dal padre per intrattenere sessualmente il figlio maschio. Basterà a turbare molti equilibri.

C’è uno slittamento di senso che sta al cuore di Dogtooth e dona al film profondità e grazia. Un invidiabile gioco d’equilibrismo tra i generi (formazione, black comedy, horror) e i toni (allucinato, umoristico), cinema d’atmosfera dall’immagine ricercata e l’angolazione alienante. Per proteggersi da un mondo che si fatica a capire, un uomo e una donna tagliano i ponti con la realtà e la sostituiscono con una gigantesca nevrosi. Nutrono i figli di equivoci e ogni azione che ne risulterà è una conseguenza diretta del fraintendimento iniziale. Yorgos Lanthimos estremizza con intento palesemente provocatorio e un gran gusto per il paradosso un discorso che, volente o nolente, fa parte del bagaglio di vita di ciascuno di noi. Il suo bisturi è glaciale, implacabile e perversamente divertito, e con sottigliezza riesce a produrre lo scivolamento di senso di cui sopra.

Perché se, con un po’ d’immaginazione, si sostituisce alla Famiglia (non sottovalutate la maiuscola) una qualsiasi altra delle sante istituzioni che regolano la nostra vita, lo Stato, la Religione o quello che vi pare, oltre il gruppo di famiglia in un interno ci accorgiamo che sì, Dogtooth accenna anche a qualcos’altro. Satira sferzante sulla vita di società, amara e impietosa perché smaschera le manipolazioni e le dannate idiozie che condizionano la vita dell’uomo e regolano il suo rapporto con il mondo. Se e come sarà possibile liberarsi da queste prigioni, dipenderà in parte da ciò che siamo, in parte da ciò che crediamo di essere perché così ci è stato insegnato. Il risultato finale è volutamente ambiguo. Francamente, sembra suggerire Yorgos Lanthimos, è un po’ tutto un incubo. Ma ridiamoci sopra comunque.

Dogtooth poster locandina

Scheda

Titolo originale: Kynodontas
Regia: Yorgos Lanthimos
Paese/anno: Grecia / 2009
Durata: 94’
Genere: Drammatico
Cast: Angeliki Papoulia, Alexander Voulgaris, Anna Kalaitzidou, Christos Stergioglou, Hristos Passalis, Mary Tsoni, Michele Valley, Sissi Petropoulou, Steve Krikris
Sceneggiatura: Efthymis Filippou, Yorgos Lanthimos
Fotografia: Thimios Bakatakis
Montaggio: Yorgos Mavropsaridis
Produttore: Athina Rachel Tsangari, Yorgos Tsourgiannis, Yorgos Lanthimos, Katerina Kaskanioti
Casa di Produzione: Boo Productions, Greek Film Center, Horsefly Productions
Distribuzione: Lucky Red

Data di uscita: 27/08/2020

Trailer

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Nato a Roma a un certo punto degli anni '80 del secolo scorso. Laurea in Scienze Politiche. Amo il cinema, la musica, la letteratura. Aspirante maratoneta.

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