TRAPPOLA DI CRISTALLO
Cult movie che ha lanciato un’icona – quella del poliziotto “proletario” John McClane – capace di incarnare una delle tante facce dell’action movie anni ‘80, Trappola di cristallo resiste alla prova del tempo grazie a una struttura narrativa pressoché perfetta, e alla regia di grande tenuta spettacolare dell’allora giovane John McTiernan.
Working Class Cop
Rivedere oggi un film come Trappola di cristallo significa misurare l’effetto del tempo, e dei cambiamenti nel modo di intendere l’action movie, su quello che resta uno dei simboli di tutto il filone nel corso dell’amato/odiato decennio degli eighties. Un epigono del genere, il film di John McTiernan, atipico nella sua genesi come nella scelta dell’interprete principale: la sceneggiatura del film, inizialmente scritta da Jeb Stuart e poi rielaborata dall’esperto Steven E. de Souza (suoi gli script di 48 ore e Commando), nasce infatti da un romanzo di Roderick Thorp intitolato Nulla è eterno, Joe, sequel letterario del precedente The Detective, a sua volta portato sullo schermo nel 1968 col titolo (italiano) Inchiesta pericolosa, con Frank Sinatra protagonista. E fa un po’ sorridere, oggi, pensare che (da contratto) proprio all’allora settantenne Sinatra fu offerto per primo il ruolo del poliziotto John McClane: ruolo che avrebbe visto una serie di rifiuti eccellenti, tra cui quelli delle star Arnold Schwarzenegger, Sylvester Stallone, Richard Gere, Clint Eastwood e Harrison Ford (solo per citarne alcuni). La scelta finale di Bruce Willis, all’epoca noto soprattutto per la serie televisiva Moonlighting, era circondata da molto scetticismo, ma aiutò in realtà in modo decisivo a definire i tratti principali del personaggio: non un eroe invincibile come voleva il “canone” dell’action del decennio, ma un individuo presentato anche fisicamente come vulnerabile, un uomo comune che tira fuori l’eroismo – e una buona quantità di autoironia – in una situazione straordinaria. La smitizzazione e decostruzione del genere, già iniziata da titoli come il di poco precedente Arma letale (1987) di Richard Donner, arrivava così a compimento.
È abbondantemente noto, il plot di Trappola di cristallo (in seguito rinominato, seguendo la titolazione originale, Die Hard – Trappola di cristallo: qui seguiremo tuttavia la titolazione italiana “storica”), ma riassumerlo in poche righe non fa sicuramente male: il detective John McClane della polizia di New York si reca a Los Angeles durante la vigilia di Natale, per far visita alla moglie Holly, che sta festeggiando un importante successo professionale nell’enorme grattacielo sede della compagnia per cui lavora, la Nakatomi. I due stanno attraversando un periodo di crisi matrimoniale, ma sperano di riconciliarsi trascorrendo le festività natalizie in famiglia insieme ai due figli. Proprio quando John ha raggiunto Holly nella struttura, un commando di organizzatissimi criminali, guidati dallo spietato Hans Gruber, fa irruzione nel grattacielo, sequestrando tutti i partecipanti al party e uccidendo il titolare della compagnia, il vecchio Takagi. I sequestratori si fanno credere terroristi, ma puntano in realtà al caveau del palazzo, dove sono custoditi 640 milioni di dollari in titoli al portatore. McClane, riuscito a sfuggire al sequestro, si nasconde nei dedali dell’enorme grattacielo e inizia un personale confronto coi malviventi, cercando di salvare sua moglie e tutti gli altri ostaggi.
Ha tutti i crismi dell’action del periodo, Trappola di cristallo, irrobustiti dalla regia di solida efficacia spettacolare di McTiernan (che già aveva dato buona prova di sé in Predator), ed esaltati da un’ambientazione claustrofobica che non fa che rendere più teso il confronto che si consuma nell’enorme struttura di cemento e cristallo tra i due antagonisti principali. Tuttavia, le declinazioni più ironiche e autoironiche del genere (al già citato Arma letale vanno aggiunti almeno il 48 ore di Walter Hill e la serie di Beverly Hills Cop) non erano passate senza lasciare traccia; declinazioni che tornano nello script di Stuart e de Souza, andando a impattare direttamente con la costruzione del personaggio del protagonista, spesso prodigo di battute – in gran parte auto-riferite – e soprattutto presentato fin dall’inizio come individuo vulnerabile e capace di sfruttare la sua ferrea determinazione più che un fisico tutt’altro che esplosivo. Willis non ha la fisicità dei colleghi Stallone e Schwarzenegger, ma fa sfoggio di un look da working class hero (canottiera e piedi scalzi) che lo contrappone all’aspetto “borghese” e benestante dei suoi nemici. McTiernan sembra divertirsi a rendere sempre più malconcia e claudicante la figura di McClane, che sanguina copiosamente e fin dall’inizio basa il suo confronto coi nemici più sull’intelligenza che sulla mera forza fisica. In questo, McTiernan è molto abile nel non tradire i canoni del genere (nel film sono presenti comunque un gran numero di esplosioni, di scontri a fuoco e confronti corpo a corpo), introducendo però quell’elemento smitizzante e “umanizzante” che si traduce sia nell’attenta costruzione del background del protagonista – marito e padre in crisi, ma anche poliziotto che mal sopporta l’autorità e segue il suo personale istinto – sia nella messa in evidenza della sua fisicità vulnerabile.
Accolto con freddezza dalla critica dell’epoca (che poi, come per tante pellicole del periodo, avrà modo di rivedere il suo giudizio) ma capace di realizzare un ottimo risultato al botteghino – e di lanciare tanto la carriera di Bruce Willis quanto quella del villain Alan Rickman – Trappola di cristallo è un prodotto di genere perfettamente congegnato, capace di mantenere viva l’attenzione dello spettatore per tutti i suoi 132 minuti (durata insolita per l’epoca) e di creare un’icona – quella del poliziotto John McClane – che nei film successivi finirà per accentuare la sua concezione autoironica e la natura quotidiana e “proletaria” del suo eroismo. Il film di McTiernan concede la giusta attenzione anche ai personaggi di contorno (a cominciare dal sergente Al interpretato da Reginald VelJohnson, “spalla” a distanza del protagonista per tutta la storia) sviluppandosi su un plot di genere capace di tenere sempre d’occhio la credibilità dei suoi personaggi – ivi compresa quella del villain, un Rickman parimenti perfetto. Se lo si confronta con molti degli action movie contemporanei, visivamente più aggressivi quanto spesso fragili nella costruzione narrativa, si capisce quanto il genere avesse raggiunto, proprio in quel periodo, il giusto equilibrio tra meraviglia visiva e costruzione delle storie, capacità di intrattenere e attenzione nel delineare caratteri credibili e capaci di suscitare empatia nel pubblico. Un equilibrio che i decenni successivi – e anche gli stessi, tardivi sequel del film di McTiernan girati nel nuovo millennio – si sarebbero purtroppo incaricati di mettere in crisi.
Scheda
Titolo originale: Die Hard
Regia: John McTiernan
Paese/anno: Stati Uniti / 1988
Durata: 131’
Genere: Azione, Thriller
Cast: Bruce Willis, William Atherton, Andreas Wisniewski, Clarence Gilyard Jr., Robert Davi, Al Leong, Alan Rickman, Alexander Godunov, Bill Marcus, Bonnie Bedelia, Bruno Doyon, De’voreaux White, Dennis Hayden, Gary Roberts, Gérard Bonn, Hans Buhringer, Hart Bochner, James Shigeta, Joey Plewa, Lorenzo Caccialanza, Matt Landers, Paul Gleason, Reginald VelJohnson, Rick Ducommun, Wilhelm von Homburg
Sceneggiatura: Jeb Stuart, Steven E. de Souza
Fotografia: Jan de Bont
Montaggio: John F. Link, Frank J. Urioste
Musiche: Michael Kamen
Produttore: Lawrence Gordon, Beau Marks, Joel Silver, Lloyd Levin
Casa di Produzione: Silver Pictures, Twentieth Century Fox, Gordon Company
Distribuzione: 20th Century Fox
Data di uscita: 27/10/1988