OXYGÈNE
Via via più complesso e problematico, parallelamente allo sviluppo dell’opera di detection della protagonista, Oxygène è un piccolo, pregevole per quanto imperfetto saggio di tensione; Alexandre Aja gioca a spiazzare lo spettatore, prendendosi i suoi rischi e uscendone con un insieme di suggestioni dal sicuro fascino. Su Netflix.
La memoria intrappolata
Dopo l’esperimento più “ludico” e all’insegna del popcorn horror di Crawl – Intrappolati, divertissment estivo prodotto da Sam Raimi, Alexandre Aja torna con Oxygène a quello che fu il suo genere d’esordio, la fantascienza. Proprio con un film di science fiction il regista francese aveva infatti debuttato dietro la macchina da presa nel 1999, col dimenticato Furia; là c’era all’origine un romanzo di Julio Cortázar, e un futuro distopico come setting, qui le coordinate sono molto più sfumate. Quello che sappiamo dell’ambientazione di Oxygène, infatti, viaggia parallelo ai ricordi ballerini della protagonista Elizabeth (interpretata da Mélanie Laurent); questa si risveglia intrappolata in una capsula criogenica, senza memoria e con l’ossigeno in esaurimento. In grado di comunicare solo col computer interno (che ha la voce originale di Mathieu Amalric), Elizabeth deve tentare di ricostruire la sua storia e il motivo per cui è finita lì dentro, se vuole avere una chance di sopravvivenza prima che l’aria si esaurisca. Gradualmente le tornano alla mente flash della sua vita passata, ma non sarà facile ricostruire il puzzle con l’indicatore di ossigeno che scende inesorabilmente.
Un dove e un quando da scoprire
Viene inevitabilmente in mente il thriller del 2010 Buried – Sepolto, guardando Oxygène, con l’ovvia variante dell’ambientazione; lì c’era un Ryan Reynolds intrappolato in una bara da qualche parte nell’Iraq in guerra, qui Mèlanie Laurent è chiusa in una capsula criogenica in un imprecisato futuro, e del setting non ci vengono dati che frammenti. Il film di Alexandre Aja, scritto da Christie LeBlanc, vive dapprima proprio della sua indeterminatezza, offrendo la trasparente metafora del labirinto – nel quale vediamo un topo muoversi, nella sequenza del prologo – come plastica rappresentazione della mente della protagonista. Il fuori è un luogo indeterminato, richiamato solo dalle confuse e precarie comunicazioni telefoniche che Elizabeth riesce a stabilire, a volte contraddittorie tra loro. Nel film siamo chiamati a un percorso di ricostruzione del background della storia che è tanto più radicale quanto più la regia sposa l’ottica della protagonista; l’ambientazione, e se vogliamo lo stesso genere dell’opera, sono svelati poco a poco. In questo senso, Oxygène cambia pelle più volte, nel corso della sua durata, parallelamente alla definizione del personaggio principale e alla sua opera di detection attraverso i pochi strumenti che ha a disposizione.
Una guida nel labirinto
L’essenzialità dello spunto di base si problematizza progressivamente, in Oxygène, ovviamente narrato in tempo reale, e tutto concentrato nell’unica, angusta location della capsula. Aja indovina la durata del film – che raggiunge un’essenziale estensione di 101 minuti – e offre una regia dinamica nonostante la costrizione spaziale, che gioca coi flashback rendendone progressivamente più estesa la durata. Il “realismo” della messa in scena viene occasionalmente spezzato da visioni, incubi a occhi aperti forse innescati da frammenti di memoria, forse semplicemente provocati dall’esaurimento di ossigeno. L’ambiguità del tono si riflette nel personaggio del computer M.I.L.O., incorporeo ostacolo alla libertà ma anche unico, limitato ponte che la protagonista può stabilire con l’esterno; la voce di Amalric è a tratti quella di un alleato, a tratti quella del villain più odioso. Comunque, una presenza con cui la protagonista deve fare i conti. La stessa fiducia di Elizabeth nelle sue percezioni sensoriali – e nel suo senso del tempo – si fa col progredire della trama più incerta; la guida del computer, tanto carceriere quanto potenziale salvatore, diventa sempre più necessaria.
Rischi calcolati
Rischia in più punti di saturarsi, la sceneggiatura di Oxygène, sfidando la credibilità e non avendo paura di complicarsi e di invitare lo spettatore (insieme alla protagonista) a ricostruire un puzzle che si rivela via via più elaborato. L’impressione è che il regista abbia dilatato oltremodo i tempi della frazione finale (in cui l’indicatore di ossigeno sembra scendere in modo via via più lento); ma la gestione della tensione non risente più di tanto di questo espediente narrativo (almeno laddove si sia disposti a stare al gioco e a sospendere l’incredulità). La ricostruzione a ritroso del background prosegue praticamente fino all’ultimo minuto; la conclusione può lasciare perplessi, ma ha l’indiscusso pregio di spiazzare e di non cedere all’ovvio. Non tutto funziona in modo perfetto, in Oxygène, qualche volta il meccanismo rischia di incepparsi, eppure il fascino del tema – e la sua capacità di mutare nel tempo parallelamente alla memoria della protagonista – riesce a mettere sullo sfondo i pur presenti limiti. Gli essenziali inserti del commento musicale aiutano l’immersione in un lavoro che è un piccolo saggio di tensione, imperfetto quanto capace di imprimersi nella mente dello spettatore, tanto per i temi quanto per l’insolito modo di raccontarli.
Scheda
Titolo originale: Oxygène
Regia: Alexandre Aja
Paese/anno: Francia, Stati Uniti / 2021
Durata: 100’
Genere: Drammatico, Fantascienza, Thriller
Cast: Mathieu Amalric, Malik Zidi, Anie Balestra, Cathy Cerda, Eric Herson-Macarel, Laura Boujenah, Lyah Valade, Marc Saez, Marie Lemiale, Mélanie Laurent, Pascal Germain
Sceneggiatura: Christie LeBlanc
Fotografia: Maxime Alexandre
Montaggio: Stéphane Roche
Musiche: Robin Coudert
Produttore: Alexandre Aja, Brahim Chioua, Noémie Devide, Grégory Levasseur, Vincent Maraval
Casa di Produzione: Getaway Films, Wild Bunch International Sales, Echo Lake Entertainment
Distribuzione: Netflix
Data di uscita: 12/05/2021