#IOSONOQUI
#IoSonoQui segna il ritorno alla regia di Eric Lartigau dopo La famiglia Belier: qui, però, il regista non sembra riuscire a riproporre l’armonia narrativa del film precedente, raccontando una storia che sembra perdersi tra mille vicoli senza via d’uscita.
Dai Paesi Baschi alla Corea del Sud con amore?
Paesi Baschi esterno giorno. Stéphane ci accoglie nei giardini del suo ristorante. Tutti sono in fermento. In serata, infatti, ci sarà il ricevimento per il matrimonio del figlio Ludo. Per l’occasione gli amici e tutta la famiglia, compresa l’ex moglie e il secondogenito David, si riuniscono per i festeggiamenti. Nonostante l’atmosfera gioiosa, però, sembra che Stéphane non sia pienamente soddisfatto della sua vita. Cosi, in piena crisi di mezza età, scopre di essere coinvolto emotivamente dalla conoscenza via Instagram con Soo, una giovane donna coreana che dipinge paesaggi e gli parla dei ciliegi in fiore. Non si sono mai incontrati. La loro relazione è fatta solo di qualche messaggio e un’unica videochiamata. Nonostante questo, un romanticismo giovanile di ritorno spinge Stéphane a salire sul primo aereo in direzione Sud Corea. Arrivato a destinazione, però, ad attenderlo ci sarà solamente l’assenza di Soo e un’inaspettata popolarità su Instagram con l’hastag #IoSonoQui. La pittrice non esiste e nemmeno la loro intesa. Speriamo solo nei ciliegi in fiore.
Lost in Seoul e non solo
Quando ci si dispone alla visione di un film non sappiamo mai dove la storia e i suoi personaggi possono condurci. È come se si stringesse un patto di fiducia con il regista, affidandoci alla sua visione del racconto senza alcuna condizione. Il più delle volte questa fiducia è ripagata da un percorso emotivo o ludico degno di nota. Altre, invece, si arriva al termine del “viaggio” con la sensazione di aver girato a vuoto, perdendosi tra mille vicoli senza uscita. Ed è proprio questo l’effetto che si prova al termine della visione di #IoSonoQui. Il film segna il ritorno alla regia di
Éric Lartigau che, però, sembra non riuscire a riproporre l’armonia narrativa che aveva caratterizzato La famiglia Belier.
Ancora una volta al centro del racconto c’è il piccolo mondo della gente comune, fotografata nelle attività quotidiane lontane dai grandi centri metropolitani. Questa volta, però, la visione è dispersiva. Lartigau, infatti, sembra provare ad aprire e seguire diversi spunti narrativi, per poi abbandonarli improvvisamente senza alcun preavviso. La sensazione è che, alla ricerca della direzione giusta per portare a termine la sua storia, tenti di percorrere molte strade senza sceglierne una con decisione. Ma se l’intenzione di Lartigau fosse quella di farci perdere costantemente l’orientamento? Qualunque sia il suo vero proposito, l’effetto finale è disorientante e si finisce per sentirsi intrappolati con Stéphane in un labirinto in cui l’unico elemento effettivamente chiaro è la sua crisi di mezza età.
The Terminal diciassette anni dopo
Nel momento stesso in cui il protagonista atterra all’aeroporto di Seoul si viene travolti da un déjà-vu cinematografico. Dopo aver passato i controlli e constatato la prevedibile assenza di Soo, Lartigau lascia che il personaggio viva esclusivamente all’interno del terminal per oltre una settimana. A differenza del Viktor Navorski di Tom Hanks, però, Stéphane non sembra avere alcuna intenzione di uscire. Dietro la sua decisione di attendere l’arrivo sempre più improbabile della donna si nasconde il timore di non saper affrontare la realtà; ossia la costruzione irreale di un sogno romantico dettato solamente dalla sua crisi personale.
E, cosi, si finisce per girovagare per l’aeroporto seguendo i passi di un uomo disorientato e costruendo un bizzarro tour turistico del Sud Corea tutto indoor. In questo modo il regista costruisce un rapporto empatico con un personaggio indebolito dalle sue piccole inquietudini e dall’incapacità di comprendere e maneggiare nel modo giusto i rapporti virtuali. Un legame che, però, interrompe cambiando, ancora una volta, il piano narrativo. L’intera vicenda di #IoSonoQui, infatti, viene trasformata in un viaggio catartico grazie al quale riscoprire il ruolo paterno e aggrapparsi alla forza della famiglia con tutta l’intenzione di imparare a conoscere i suoi figli, ormai adulti. A questo punto la crisi è sventata e il viaggio è finito. Non rimane che prendere il prossimo volo per tornare a casa senza aver capito, però, fino in fondo il senso di questo girovagare.
Scheda
Titolo originale: #jesuislà
Regia: Eric Lartigau
Paese/anno: Francia, Belgio / 2019
Durata: 97’
Genere: Commedia
Cast: Alain Chabat, Blanche Gardin, Camille Rutherford, Bae Doona, Ilian Bergala, Vincent Nemeth, Allan Debs, Christian Duplaissy, Delphine Gleize, Guillaume Etchegorry, Jules Sagot, Lazare Lartigau, Lisa Maumy, Nathalie Lacroix, Nicolas Santos, Thomas Le Borgne, Éric Lartigau
Sceneggiatura: Thomas Bidegain, Éric Lartigau
Fotografia: Laurent Tangy
Montaggio: Juliette Welfling
Musiche: Evgueni Galperine, Sacha Galperine
Produttore: Sidonie Dumas, Alexis Dantec, Fabrice Delville, Edouard Weil, Christophe Toulemonde, Alice Girard
Casa di Produzione: Gaumont, Rectangle Productions, Quarante 12 Films, France 2 Cinéma, Belga Productions
Distribuzione: Officine UBU
Data di uscita: 14/10/2021