THE VELVET UNDERGROUND
Presentato come evento speciale della Festa del Cinema di Roma, e in poi in sala nelle giornate del 13, 14 e 15 dicembre per Nexo Digital, Caterina Caselli – Una vita, cento vite è il resoconto in musica, immagini e parole di una carriera originale e da riscoprire. Certo, lo sfondo e il contesto potevano essere approfonditi meglio, ma il documentario di Renato De Maria raggiunge senza grossi affanni gli scopi che si era prefisso.
Italian Beat Generation
Tra i ritratti finora prodotti delle star della musica leggera italiana, ne mancava ancora uno dedicato a una personalità longeva e poliedrica come quella di Caterina Caselli. Cantante, musicista, produttrice discografica, attrice: la Caselli ha attraversato con la sua presenza circa 60 anni di storia della musica (e della cultura popolare) italiana, facendosi uno dei suoi simboli e uno dei suoi marchi più riconoscibili. In questo senso, è particolarmente indovinato il titolo del documentario di Renato De Maria, Caterina Caselli – Una vita, cento vite: e ciò non solo per le tante vesti e incarnazioni attraversate dal personaggio in questi decenni, ma anche per le molte altre vite e carriere da lei incrociate, da quella di Adriano Celentano a quella di Francesco Guccini, per finire con l’amico di vecchia data Ennio Morricone: proprio alla scomparsa di quest’ultimo, qui, l’artista dedica un commosso ricordo. Alcuni di questi personaggi (tra cui lo stesso Guccini e Paolo Conte, autore del brano Insieme a te non ci sto più, certamente tra i più noti della cantante) sono presenti nel film di De Maria, a dar vita a intensi dialoghi con la stessa Caselli a commentare un gran numero di immagini di repertorio.
I limiti della struttura
Proprio a una struttura da documentario classico (verrebbe da dire televisivo) si rifà tutta la prima parte di Caterina Caselli – Una vita, cento vite, con una lunga intervista frontale all’artista, ripresa all’interno della sua casa, inframezzata da un corposo materiale di repertorio: quest’ultimo è fatto soprattutto di vecchie esibizioni della cantante (dalla prima metà degli anni ‘60 in poi) unite a qualche stralcio di interviste d’epoca. A spezzare questa struttura, solo qualche dialogo tra la Caselli e i già citati amici e colleghi, sempre sullo sfondo dell’interno dell’abitazione dell’artista: una formula che invero mostra qualche limite, specie laddove si limita a raccontare – in modo sintetico, a tratti un po’ sommario – la ricca carriera da cantante di Caterina, in una narrazione equamente divisa tra parole, musica e immagini. Manca, in tutta questa prima parte – probabilmente per una precisa scelta del regista – la capacità di allargare lo sguardo a un periodo cruciale per la cultura di massa italiana come quello degli anni ‘60, di cui la musica (oltre alla televisione e al cinema) ha rappresentato uno degli aspetti più importanti. In particolare, limitata è la portata del discorso sulla più generale scena del beat italiano, filone musicale d’importazione anglosassone che fu tipica espressione di una società (e di una cultura) dei consumi che proprio in quel decennio assumeva una sua precisa fisionomia.
Una fine e un inizio
Il documentario di Renato De Maria si fa più vario, e certamente più interessante, quando nella sua seconda parte esplora la “seconda” carriera di Caterina Caselli, quella da produttrice discografica: un’esplorazione che inizia col racconto del matrimonio col produttore Piero Sugar, passando per il ritiro dalle scene canore e approdando alla fondazione dell’etichetta discografica Ascolto, scopritrice di un gran numero di nuovi talenti musicali (tra questi, un ancora giovane Pierangelo Bertoli). Un’attività, quella da produttrice discografica, che ben sintetizza il connubio tra arte popolare, e di consumo, e ricercatezza canora e musicale, un mix che dal prodotto musicale della Caselli si è fatto cifra caratterizzante della sua stessa attività produttiva: prodotto autoriale e (nazional) popolare si fondono senza soluzione di continuità – com’è capitato con altre, importanti personalità della scena pop italiana di quegli anni – con Mauro Pagani e gli Area a convivere serenamente con i pezzi sanremesi di Tozzi, Morandi e Ruggeri e con quelli successivi di Andrea Bocelli. In questa fase, lo sguardo di Caterina Caselli – Una vita, cento vite si fa per forza di cose più ampio, impattando (seppur in maniera sommaria) con le trasformazioni nel modo di produrre, distribuire e fruire la musica che hanno caratterizzato il periodo: dalla nascita delle radio libere all’avvento dei compact disc e di un consumo sempre più allargato, fino alla crisi di un’industria discografica che non aveva saputo rinnovarsi con sufficiente prontezza e velocità.
Questa nuova incursione nel documentario di Renato De Maria, quindi (arrivata dopo il poco riuscito esperimento di recupero del cinema di genere che fu, con Lo spietato) riesce comunque a farsi racconto accattivante e pregnante di un percorso artistico e umano: certo, la scelta del taglio documentaristico classico ne limita in parte la resa, e sul personaggio c’era probabilmente di più da dire e da mostrare. Nonostante questo, la singolarità del percorso raccontato, il suo spessore e la sua estensione temporale, ne riscattano in parte la confezione un po’ anonima. In fondo, per quello che si era proposto, Caterina Caselli – Una vita, cento vite raggiunge abbastanza bene il suo scopo.
Scheda
Titolo originale: Caterina Caselli – Una vita, cento vite
Regia: Renato De Maria
Paese/anno: Italia / 2021
Durata: 96’
Genere: Documentario
Cast: Caterina Caselli, Francesco Guccini, Giorgio Moroder, Paolo Conte
Sceneggiatura: Renato De Maria, Pasquale Plastino
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Clelio Benevento
Produttore: Elisabetta Biganzoli, Ludovica Damiani, Filippo Sugar
Casa di Produzione: Rai Cinema, The New Life Company, Sugarmusic
Distribuzione: Nexo Digital
Data di uscita: 13/12/2021