PROMISES
La scrittrice Amanda Sthers firma la sua prima regia adattando per il grande schermo il suo romanzo Les Promesses. Non riuscendo, però, a gestire fino in fondo il linguaggio cinematografico, finisce con il lasciarsi andare a dei salti temporali formali che non definiscono in nessun modo la tridimensionalità dei personaggi. Già alla Festa del Cinema di Roma 2021, in sala dal 18 novembre.
La circolarità del tempo
Siamo abituati a pensare che il tempo scorra attraverso una sua consecutio lineare, ma se così non fosse? Al contrario potrebbe muoversi in modo concentrico creando un vortice in cui sarebbe possibile incrociare i fantasmi di chi siamo stati nei diversi momenti della vita. In questo modo, dunque, il racconto della nostra esistenza non si muoverebbe in avanti attraverso una progressione ma vivrebbe un continuo salto temporale tra passato e presente. Ovviamente si tratta di una possibilità inattuabile nella realtà ma, nel mondo letterario, rappresenta una soluzione narrativa utilizzata con una certa frequenza.
Anche Amanda Sthers ha utilizzato questo escamotage nel suo libro Les Promesses, prima di trasformarlo in sceneggiatura e nel film Promises con lo scopo di seguire le evoluzioni, o involuzioni, di Alexander, un uomo inglese dalle origini italiane. Sposato con Bianca e padre della piccola Penelope, incontra l’amore della sua vita a una festa di amici. Da quel momento Laura diventa un sentimento dal quale è impossibile prescindere ma che non è mai espresso chiaramente. In particolare Alexander, per gli amici Sandro, è affetto da una sorta d’immobilità sentimentale che lo porta a non agire o a farlo con un ritardo fuori tempo massimo. Il risultato è una melanconia cronica che affligge il personaggio, interpretato da un Pierfrancesco Favino in versione anglosassone, sfuggente e poco comprensibile.
La ricerca del libro perduto
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Con Promises la Sthers firma la sua prima regia ma, attraverso le soluzioni narrative scelte, sembra voler rimarcare molto il suo essere scrittrice. In effetti, fin dal primo fotogramma, è chiaro che per Alexander i libri abbiano un ruolo di primo piano. Nei suoi ricordi infantili, infatti, c’è un romanzo perduto, legato alla figura del padre scomparso troppo presto. Si tratta de Il barone rampante che, per sostenere le sue convinzioni, finirà per vivere tutta la sua esistenza su di un albero. Alexander, però, non riesce a utilizzare la disobbedienza come una via per autodefinirsi e finisce con l’inseguire, più o meno consciamente, l’ultimo romanzo letto da suo padre prima di morire.
Per creare i ritmi di questa ricerca inconsapevole, intramezzata da una vita personale caratterizzata da occasioni perdute e promesse non mantenute, la Sthers si fa prendere la mano, costruendo un impianto chiaramente ispirato alla ben più famosa Ricerca di Marcel Proust. Perché il tempo perduto ritorni a noi, però, è necessario il profumo di una madeleine che, in questo caso, ha la consistenza dei libri. Da questa ispirazione deriva l’organizzazione del continuo salto temporale vissuto dal personaggio che, pur volendo essere un tocco sofisticato, finisce per rendere la vicenda altalenante e fin troppo elementare.
La Sthers, infatti, cede alla tentazione di rendere il suo film esplicativo quanto il romanzo, dovendo fare i conti, però, con l’aspetto sintetico del linguaggio cinematografico. Così, saltando da un libro all’altro e incontrando le diverse versioni di Alexander e Sandro, finiamo per non amarne veramente nessuna, avendo tutte la stessa consistenza di un fantasma lontano, di un’immagine che nasce dal riflesso di un ricordo sempre più impreciso.
Parole e immagini
Fino a ora l’attenzione è stata rivolta esclusivamente alla sceneggiatura e alle scelte di drammaturgia applicate al grande schermo per un motivo ben preciso: ci troviamo di fronte a un film che vive soprattutto di scrittura. Il fatto, però, che derivi da un romanzo e che a realizzare il suo adattamento sia la stessa autrice, non è garanzia di successo. O, quanto meno, di buona riuscita sul grande schermo. Il linguaggio letterario e quello cinematografico, infatti, vivono di tempi e rappresentazioni diverse. Questo vuol dire che adattare un romanzo presenta delle insidie ben precise come, per esempio, la semplificazione dell’impianto emotivo a favore di una sintesi narrativa che, però, tende a livellare qualsiasi tentativo di approfondimento.
Un problema che si riscontra anche in Promises, nonostante Pierfrancesco Favino e Kelly Reilly siano perfettamente calati in questo gioco d’amore silenzioso. Così, persa all’interno del virtuosismo dei suoi salti temporali, l’autrice e regista non riesce a rendere i personaggi tridimensionali dal punto di vista emotivo, lasciandoli vivere una vita lontana che potrebbe essere riflesso delle nostre ma che non riesce a creare empatia e riconoscibilità. Al termine della visione, dunque, si ha la sensazione che le promesse fatte in partenza siano state disattese e che si sia vissuto un quieto amore invece di una bruciante passione.
Scheda
Titolo originale: Promises
Regia: Amanda Sthers
Paese/anno: Francia, Italia / 2021
Durata: 113’
Genere: Drammatico
Cast: Pierfrancesco Favino, Alessandro Riceci, Freddy Drabble, Douglas Dean, Gaia Scodellaro, Jean Reno, Kelly Reilly, Cara Theobold, Deepak Verma, Ginnie Watson, Giulia Gabriele, Giulio Corso, Kris Marshall, Leon Hesby, Marie Mouté
Sceneggiatura: Amanda Sthers
Fotografia: Marco Graziaplena
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Produttore: Benedetto Habib, Marco Cohen, Fabio Conversi, Amanda Sthers, Daniel Campos Pavoncelli, David Unger, Fabrizio Donvito, Alvaro R. Valente
Casa di Produzione: Barbary Films, Vision Distribution, Indiana Production
Distribuzione: Vision Distribution
Data di uscita: 18/11/2021