THE BEATLES: GET BACK
Estenuante, monumentale, imperdibile. The Beatles: Get Back è il mastodontico (8 ore) documentario dedicato da Peter Jackson ai Beatles che provano, litigano, fanno musica e si vogliono tanto bene, ritorno al futuro targato gennaio 1969. Da 60 ore di filmati e 150 ore di audio, un ritratto sfaccettato del gruppo in equilibrio tra la felicità selvaggia della creazione e il fantasma della fine dei giochi. Su Disney + dal 25 novembre 2021, il “documentario su un documentario” riesce comunque a trovare il modo di allargare il quadro, anche senza aggiungere niente di nuovo sulla storia della band.
Autobiografia dei Beatles (cit. Ringo)
Ma quindi, si amavano ancora?
Ci voleva il senso (smisurato) delle proporzioni di Peter Jackson e il suo culto palesemente estremista per l’epica in tre parti, per restituire i Beatles alla luce del giorno e viceversa; è difficile persino dare il nome all’esperienza, un carnevale di suoni e immagini stimolante come poche cose quest’anno. E non solo.
Documentario in senso stretto proprio non è, The Beatles: Get Back, su Disney+ dal 25 novembre 2021. Jackson lo inquadra come un “documentario su un documentario”, e questo è un abito cucito su misura sulla pelle ruvida di un bestione storico/mitologico in tre capitoli, distribuito su 8 ore circa, costruito prendendo di petto uno degli snodi più controversi e succulenti della storia della band. Senza, va premesso anche se forse non ce n’è davvero bisogno, aggiungere chissà che cosa alla storia così come è stata tramandata, generazione dopo generazione. Lavorando, però, ai margini del mito, qualche aggiustamento ci scappa. Nel complesso, quel gennaio 1969 per i Beatles è stato molto meno deprimente e fiacco rispetto a come ce l’ha raccontato un mucchio di gente che con il gruppo non ha mai avuto niente a che fare. Addirittura, si divertono.
Un po’ di storia, i Beatles 2.0
Nel gennaio del 1969 i Beatles non fanno concerti da tre anni. C’è un album uscito da poco (novembre ’68), ma la cosa non sembra fare molta differenza. Ispirati dalla giravolta ideologica di artisti come Dylan e la Band, decidono che è arrivato il momento di riporre i campanellini nell’armadio e tornare alle origini. Letteralmente. Allontanandosi dall’elaborata architettura psichedelica e molto arrangiata che ha caratterizzato gran parte della musica più recente, i quattro vagheggiano un rock più scarno ed essenziale. Niente sovraincisioni, e un’emozione più tendente al primordiale, come nei primi album. La mossa, per l’epoca, rovesciare il sound, poteva apparire un po’ derivativa, agganciarsi a un trend di successo in mancanza di alternative. Ma la verità è che senza volerlo, si è sempre geni all’insaputa di qualcuno, i Beatles si sono appena inventati il primo reboot della storia dell’arte popolare. I Beatles 2.0. A parte questo, l’idea non sta in piedi.
Teoricamente avrebbero 18 giorni, niente weekend perché se no che psicodramma sarebbe, dal 2 al 20 gennaio, per farsi venire delle idee, trasformarle in canzoni, imparare a suonarle decentemente davanti a un pubblico schiamazzante. Niente Abbey Road stavolta, l’esilio è autoimposto per necessità produttive negli studi cinematografici di Twickenham. Che però sono freddi assai, un mausoleo del grigiore dalla pessima acustica, problemino niente male se devi registrarci un album. Tutto è filmato: si parla di un documentario, uno special tv, un concerto, un live album. Le macchine da presa originali, su cui The Beatles: Get Back ricama il suo affresco extra-large, sono quelle di Michael Lindsay-Hogg. Da regista tirerà fuori un documentario sull’esperienza, niente special e il concerto si farà ma diversamente da come immaginato inizialmente, un anfiteatro in Libia (!). Il film si chiamerà come l’album registrato all’epoca, Let It Be (1970), e avrà una storia parecchio complicata.
Peter Jackson saccheggia gli archivi dei Beatles per consegnarci la loro umanità
Peter Jackson saccheggia gli archivi del ’69 senza mai guardarsi indietro, 60 ore di filmati, 150 di materiali sonori. Assembla un maxi collage che incastri tutto ciò che di meritevole i Beatles hanno detto, fatto o suonato in quei venti e più giorni. La prima parte di The Beatles: Get Back copre la settimana inaugurale. L’affinità spirituale con Let It Be qui è molto forte. L’atmosfera è pesantuccia: Twickenham non funziona, i ragazzi sono stravolti trasandati scocciati arruffati, le canzoni non prendono vita, George lascia. Fine dei Beatles, almeno per il weekend. La crisi rientra ma solo perché il gruppo decide di disertare l’hangar per trasferirsi negli studi della Apple a Savile Row. Più confortevoli e accoglienti, parte seconda. Billy Preston viene a dare una mano, la band risorge nell’umore e nel piglio creativo, ipotesi che si accavallano su dove (e se) fare il concerto. Dubbio risolto nella terza parte, che si raccoglie attorno al leggendario Rooftop Concert del 30 gennaio 1969, qui mostrato nella sua interezza.
L’occhio di Peter Jackson è una mosca petulante. Non capiremo mai cosa abbia significato essere i Beatles intimamente, ma possiamo accontentarci di spiare il gruppo dal buco della serratura e misurarlo in lungo e in largo, per lo meno fin dove è possibile spingersi. Mai così vicini ad afferrarne segreti e umanità varie. Quasi una collezione di archetipi: c’è quello che scherza sempre e proprio non ci puoi fare un discorso serio, ma al momento decisivo è dalla sua parte che ti giri (John Lennon). L’aspirante boss un po’ secchione che si atteggia a tiranno ma non puoi volergli male perché lui, per il gruppo, darebbe l’anima (Paul McCartney). Il tipo sarcastico, ma anche un campione di stile e l’unico che riesce sempre a inquadrare la situazione per quella che è (George Harrison). Poi c’è il santo, quello che dà ma non chiede, ha un sorriso per tutti e una pazienza infinita (Ringo Starr). È proprio Ringo, il filosofo, la guida spirituale, l’insostituibile, a riassumere il progetto in uno scambio di battute casuali. È l’autobiografia dei Beatles. Dentro c’è tutto; l’arte, l’amore, il calore e la fine, triste. Niente di sconvolgente, ma la storia funziona.
Qual è il senso dell’operazione
Let It Be, il documentario, fece una brutta fine. Uscì nel maggio del 1970, pochi giorni dopo la fine del gruppo, che nemmeno si degnò di presentarsi alla prima. Sparì dalla circolazione dopo poco tempo, affossato dal velenoso pregiudizio che in quelle sequenze si occultasse l’antipasto dello scioglimento dei Beatles, un tempo di recriminazioni, veti incrociati e musi lunghi. Non è così, non è del tutto così, e qui sta l’equilibrio emotivo e artistico che sorregge The Beatles: Get Back. Forse l’emblema di questa rivoluzione che non cambia niente è il passaggio sul film di Yoko Ono. Sta da una parte, silenziosa e discreta, è lì perché John non può fare a meno di lei, ed è evidente che gli altri non sanno bene come gestirla. Ma non fa del male, non intralcia, non comanda, non si intromette. Lo sapevamo che lei non c’entrava niente, che era solo un pregiudizio misogino e anche un po’ razzista. Comunque. Peter Jackson ha deciso di allargare il quadro, non di stravolgerlo, e nel complesso ce la fa.
The Beatles: Get Back è lungo. Troppo. Estenuante, monumentale. Faticoso, a tratti. Il sottotitolo potrebbe essere: quante volte si può ascoltare Don’t Let Me Down prima di avvertire un vago senso di disagio. Ma è vero che non c’è altro modo per capire in cosa consista la realizzazione di un album, una serie infinita di ripetizioni e aggiustamenti sulla via per la perfezione. La verità è che la lunga durata serve a riflettere in che modo vita e musica legassero i destini di questi quattro giovani uomini. Il pendolo beatlesiano ondeggia tra la felicità selvaggia della creazione e l’ombra dello scioglimento. La vita come un saliscendi di gioia e angoscia, come per chiunque altro, e la chiave è questa. La paura che precede la gloriosa esibizione sul tetto è sorella del timore di non riuscire a ritrovare la via di casa. Sono nati per fare musica insieme, senza questo che resta? L’esito, lo sappiamo, sarà trionfale, anche se l’ebbrezza durerà poco. Questa è la storia che andava raccontata. Paul McCartney disse un giorno del gruppo: non siamo stati i leader di una generazione, ma i portavoce. Portavoce anche stavolta, ma di straordinaria umanità.
Scheda
Titolo originale: The Beatles: Get Back
Regia: Peter Jackson, Michael Lindsay-Hogg
Paese/anno: Regno Unito, Nuova Zelanda, Stati Uniti / 2021
Durata: 468’
Genere: Documentario, Musicale
Cast: Paul McCartney, Billy Preston, Geoff Emerick, George Harrison, George Martin, Heather McCartney, John Lennon, Linda McCartney, Mal Evans, Maureen Starkey, Michael Lindsay-Hogg, Ringo Starr, Yoko Ono
Fotografia: Anthony B. Richmond
Montaggio: Graham Gilding, Peter Hollywood, Tony Lenny, Jabez Olssen
Produttore: Olivia Harrison, Paul McCartney, Clare Olssen, Peter Jackson, Jabez Olssen, Yoko Ono, Ringo Starr, Neil Aspinall, Jonathan Clyde
Casa di Produzione: WingNut Films, Apple Corps, Walt Disney Pictures
Distribuzione: Disney+
Data di uscita: 25/11/2021