DIABOLIK: I MANETTI BROS. E IL CAST PRESENTANO IL FILM ALLA STAMPA
Il nuovo film sul personaggio creato dalle sorelle Giussani è stato presentato a Roma dai Manetti Bros., registi, insieme a Luca Marinelli, a Miriam Leone e Valerio Mastandrea, e al resto del cast.
L’attesa sta per finire, e il film dei Manetti Bros. su Diabolik, da tempo annunciato e rimandato di un anno a causa del Covid-19, sta finalmente per approdare in sala. Un lavoro che, insieme al già uscito Freaks Out, ha rappresentato senz’altro l’uscita italiana di punta di questo ormai morente 2021, oltre che un’attesa nuova prova per un duo ormai affermato come quello composto da Marco e Antonio Manetti.
Dopo la proiezione del film per la stampa, i fratelli registi, i protagonisti Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea, il resto del cast e i produttori, hanno risposto alle domande dei giornalisti, in un incontro collettivo in cui si è parlato della genesi del film, del suo legame col fumetto delle sorelle Giussani, e dell’approccio che registi e cast hanno avuto a un soggetto così classico e radicato nell’immaginario collettivo. Diabolik, distribuito dalla 01 Distribution, arriverà in sala giovedì 16 dicembre.
Questo film potrebbe in futuro diventare anche una serie tv?
Marco Manetti: Ancora è presto per dirlo. Certo, i personaggi hanno molta forza. Vedremo.
Questo è un po’ un film “sorprendente perché non sorprende”. Il linguaggio è molto classico. Come mai questa scelta?
Marco Manietti: Beh, il regista fa il film che si sente di fare: noi abbiamo fatto la versione di Diabolik che ci siamo immaginati. È vero comunque, ci piaceva l’idea di fare un film classico.
Le maschere indossate da Diabolik come sono state realizzate?
Marco Manetti: È stato un misto del lavoro al trucco di Sergio Stivaletti e di digitale. Il digitale abbiamo cercato di limitarlo, ma è comunque presente.
Per il cast, quali albi del fumetto avete dovuto leggere, per interpretare i personaggi?
Valerio Mastandrea: Io a dire il vero non mi sono documentato, ma ho mantenuto l’immagine che avevo dell’ispettore Ginko da bambino, quando parteggiavo per Diabolik e lui era il nemico. Per il resto, me lo sono inventato. Ho avuto poco a che fare con personaggi iconici, finora: laddove li ho interpretati, me li sono sempre inventati. Per me il personaggio di Ginko si regge un po’ sul fatto che in realtà non vuole prendere Diabolik. Usa la legge per non prenderlo; perché per prenderlo dovrebbe violarla, la legge.
Luca Marinelli: Trovo molto sano quello che ha appena detto Valerio. I personaggi vanno sempre inventati. L’ideale è raccogliere più informazioni possibili, ma poi crearsi una propria idea del personaggio.
Miriam Leone: Io mi sono ispirata in generale al lavoro delle sorelle Giussani: il mio lavoro è tutto dedicato a loro. Loro erano donne, ed Eva è una donna che non è al servizio di nessun uomo: lei e Diabolik sono complementari. È come se loro fossero state sul set con me, mi hanno accompagnato. È un personaggio femminile che non ha nulla a che vedere con quelli classici del noir. Poi, ovviamente ho preso ispirazione anche dall’albo numero 3 del fumetto, che è quello da cui è tratto il film.
Alessandro Roja, cosa si prova a fare il “cattivo” in un film in cui il protagonista è un criminale?
Alessandro Roja: Beh, il mio personaggio non è proprio cattivo, poi è questione di giudizi: alla fine lui e Diabolik sono due sfumature diverse di cattivo. Per me, il mio Caron è più uno incapace di fare il bene se non in modi malvagi: lui e il protagonista sono entrambi cattivi, in modi diversi.
Serena Rossi, il suo, quello della inconsapevole compagna di Diabolik, è un ruolo che prescinde un po’ da tutti gli altri personaggi…
Serena Rossi: Sì, lei è una donna che sta dietro le quinte, è soggiogata. È una donna che in questo film è succube di quest’uomo. Lui praticamente la ipnotizza.
Claudia Gerini, lei nel film fa un ruolo breve ma ben scandito.
Claudia Gerini: Per me è stata una festa lavorare con loro: sono appassionata di Diabolik da sempre. Tutta la pantomima che fa il mio personaggio mi ha fatto molto divertire. Il contesto di fine anni ‘60 lo trovo davvero incantevole.
Il fumetto per voi è stato un po’ come uno storyboard?
Marco Manetti: Abbiamo cercato di essere fedeli al fumetto, ma poi abbiamo scoperto che la fedeltà in realtà non esiste: metti sempre in scena il modo in cui vedi una cosa, che è diverso da quello in cui la vede qualcun altro. In realtà è un lavoro soggettivo, anche se sì, alcune inquadrature le abbiamo proprio copiate dal fumetto.
Antonio Manetti: Non a caso abbiamo scelto proprio l’albo numero 3, visto che è lì che appare per la prima volta Eva. Prima era l’altra compagna, che era una donna classica, soggiogata. Serviva una compagna che fosse forte come lui.
C’è qualche similitudine tra il vostro cinema e quello di Gabriele Mainetti?
Marco Manetti: Siamo amici, lui lo abbiamo anche diretto una volta come attore. Non so se ci sia proprio un’analogia di stile, ma di sicuro c’è un’analogia nei film che guardiamo.
Antonio Manetti: Un’altra analogia è nel coraggio. O meglio, di noi non parliamo, ma lui è sicuramente un regista coraggioso, che propone i suoi film e non ha paura di come verranno accolti.
Carlo Macchitella, come mai lei, come produttore, ha deciso di fidarsi di un soggetto del genere? Non è la prima volta che le propongono un film su Diabolik.
Carlo Macchitella: In precedenza avevo avuto varie proposte ma le avevo tutte scartate. Loro invece volevano fare non un film su Diabolik ma “di” Diabolik. Da parte degli altri c’era sempre la volontà di riportarlo in qualche modo negli schemi, ma la sua forza invece è quella di essere fuori dagli schemi. In passato, per questo, sono saltate proposte anche molto interessanti economicamente.
Parlateci del commento musicale, composto da Pivio e De Scalzi.
Pivio: Noi veniamo già da varie esperienze coi Manetti, siamo un po’ loro “fratelli”. Ciò ci ha reso le cose sempre molto facili: è un piacere lavorare con loro, e ogni volta è un esercizio di stile diverso. Questo poi è un lavoro molto diverso dai precedenti.
Aldo De Scalzi: La cosa è stata complicata perché avevamo già scritto tutto prima del Covid, ma poi abbiamo dovuto fermarci; e pure in seguito non abbiamo potuto usare tutta l’orchestra nel suo complesso. Abbiamo dovuto parcellizzare l’orchestra in gruppi di poche persone alla volta; ma alla fine il risultato è stato proprio ciò che volevamo.
Nel film, inoltre, ci sono ben due canzoni di Manuel Agnelli, da solista.
Manuel Agnelli: Io lavoro con loro per la prima volta, ma è stato facile: ci siamo confrontati sul personaggio, e io ho elaborato due canzoni. La prima è sul Diabolik che conosciamo tutti, privo di ipocrisia e criminale in pieno, privo di giustificazioni etiche o morali; l’altra invece riguarda il Diabolik più interiore, quello che parla di fiducia quando conosce Eva. Mi sono divertito molto a cantare in stile anni ‘60, comunque, magari lo rifarò.
Marco Manetti: Siamo amici e anche fan di Manuel. Lui a una certa età ha deciso di esordire da solista, e ha deciso di farlo con delle canzoni ispirate da noi: non per noi, ma ispirate da noi. È un grande onore. Noi avevamo pensato solo alla prima canzone, quella del Diabolik più classico: poi però ci è venuto in mente un lato più morbido del personaggio, e abbiamo pensato che potevamo chiedergli di farci una canzone.
Dal punto di vista produttivo cosa potete dirci del film?
Carlo Marchitella: Si è scelto di fare un film di Diabolik ambientato in luoghi che davvero richiamassero gli anni ‘60, e quindi si sono scelti luoghi come Milano, perché quella era la vera città di Clerville per le Giussani, e anche Trieste e Courmayer. Tutto doveva ricordare gli anni ‘60. I Manetti sono capaci di essere anche grandi produttori esecutivi, scenografi e costumisti: il loro lavoro ci ha permesso di contenere i costi, cosa importante in un film dal budget già alto. Volevamo portare il fumetto finalmente al cinema, facendo un’operazione seria anche a livello industriale.
Paolo Del Brocco: Il film è stato un percorso lunghissimo che abbiamo seguito da molto vicino: da noi c’è stata una partecipazione creativa insieme ai registi. È un film particolare perché non contiene altri mondi, soli che esplodono o gente che vola. È un film fortemente italiano, che riscopre la dimensione del tempo: è un film non sugli anni ‘60, ma proprio fatto come se fossimo negli anni ‘60. I suoi personaggi sono a misura d’uomo.
A sentirvi, sembra che parliate di un film “facile da fare”…
Marco Manetti: Per noi, fare cinema dev’essere facilissimo: è un piacere farlo, e cerchiamo di renderlo più facile possibile. Riguardo alle location, aggiungo che noi usiamo sempre anche Bologna, che è una città a cui siamo moltissimo affezionati: gli interni li giriamo quasi sempre lì.