CORRO DA TE, RICCARDO MILANI RACCONTA L’AMORE CHE ABBRACCIA I DIFETTI DELL’ALTRO
Il regista, insieme ai protagonisti Pierfrancesco Favino e Miram Leone, presenta una commedia capace di andare oltre i buonismi e i pietismi per raccontare la nascita di un sentimento nella realtà dei disabili.
“Nei miei film cerco sempre di raccontare i lati peggiori del paese. Gianni, il protagonista di questa storia, rappresenta il peggior italiano possibile. Nonostante questo, però, nutro sempre una sopita speranza che ci sia in ogni persona una sacca di positività cui attingere per migliorare. Perché questo aspetto venga a galla, però, è necessario incontrare qualcuno in grado di tirarlo fuori”. In questo modo Riccardo Milani presenta il suo Corro da te, prodotto da WildSide e distribuito nelle sale dal 14 marzo con 500 copie. La pellicola, in realtà, è un adattamento della commedia francese Tutti in piedi di Franck Dubosc. Al centro della vicenda c’è Gianni, un uomo di successo, fondatore di un’azienda di calzature sportiva, scaltro, sbruffone e amante delle donne.
A caratterizzare il suo carattere è soprattutto un chiaro cinismo, un’attenzione eccessiva per la cura della propria persona e una evidente superficialità per quanto riguarda i rapporti umani, soprattutto con il gentil sesso. Un atteggiamento che, però, passo dopo passo, è destinato a scomparire grazie al suo incontro con Chiara. Musicista, intelligente e dotata di rara bellezza, la ragazza appare immediatamente diversa da tutte le sue conquiste, in particolare perché è costretta su una sedia a rotelle dopo un incidente stradale. Per conquistarla e vincere una scommessa con i suoi amici del circolo, Gianni si finge a sua volta disabile. Ma, come spesso accade, proprio quando si pensa di avere tutto sotto controllo, la vita crea degli imprevisti sconvolgenti come l’amore. In questo modo, dunque, grazie alla coppia Pierfrancesco Favino e Miriam Leone, Riccardo Milani consegna una commedia dai toni irriverenti che ha il sapore della realtà, cavalcando i toni ruvidi della classica commedia all’italiana.
Il personaggio di Gianni rappresenta chiaramente il cinismo che caratterizza i nostri tempi. Come hai lavorato per la sua costruzione?
Pierfrancesco Favino: Credo che il cinismo sia un elemento rappresentativo molto diffuso in questi anni. Il più delle volte, però, è mascherato da pietismo e buonismo, anche se il film non lo è assolutamente. In questo caso, infatti, abbiamo avuto il privilegio di chiamare le cose esattamente come sono. Per quanto riguarda Gianni, poi, lui rappresenta alla perfezione le caratteristiche del nostro mondo. Narcisista, ossessionato dal successo e con una chiara paura d’invecchiare. Per tutte questa persone la disabilità è uno specchio da non guardare con attenzione perché riflette chiaramente le proprie paure. Questo vuol dire che quando guardiamo gli altri non facciamo altro che vedere noi stessi, spesso nei lati più fragili. In questo senso, dunque, il film parla della capacità di vedere al di la di ciò che siamo.
Chi rappresenta Gianni con tutti i suoi difetti?
Pierfrancesco Favino: Parliamoci chiaro, chi non ha detto, almeno una volta nella vita, una balla per sedurre qualcuno? Alla fine, dunque, Gianni è uno di noi. Certo, il suo atteggiamento è seriale e questo preoccupa. È come se provasse eccitazione quando non è se stesso. La questione cambia completamente quando trova una persona che, invece, non si perde mai di vista. Anche io sono stato una persona che ha detto tante cavolate per conquistare. Ripeto, Gianni è uno di noi.
Nel film c’è il prezioso cameo di Piera degli Esposti. Com’è stato lavorare al suo fianco?
Pierfrancesco Favino: Con Piera ho lavorato due volte ed è sempre stata un’esperienza incredibile. Quando eri sul set con lei non rischiavi mai di fare una cosa sbagliata. Era dotata di una spietata leggerezza e bastava guardarla negli occhi per entrare in parte. Ho sempre provato per lei una grande ammirazione come per tutti quelli che riescono a essere se stessi facendo questo mestiere. Di fronte a lei mi sono sempre sentito pieno di cose inutili. Recitarle accanto era come ballare con una persona che danza molto bene. Alla fine, balli meglio anche tu.
Chiara, invece, sembra essere un personaggio più centrato e solido, nonostante l’apparente fragilità fisica. Quali sono le sue caratteristiche?
Miriam Leone: Credo che, attualmente, ci sia un grande equivoco. Si crede, infatti, che la forza e il potere siano rappresentati essenzialmente attraverso l’espressione della fisicità, la prepotenza e l’imposizione sugli altri. Il personaggio di Chiara, invece, cambia completamente la prospettiva da cui osservare la questione. La sua intelligenza emotiva, l’apertura verso gli altri e la coscienza di se rappresentano le sue armi più importanti. Grazie a lei ho avuto la possibilità di indagare nell’altro e, così facendo, scoprire anche chi sono. Non bisogna mai dimenticare che, in questo gioco di riflessi, giungiamo alla conclusione che gli altri siamo noi.
Quali sono stati gli elementi fondamentali da raccontare e quelli, invece, da evitare?
Riccardo Milani: In realtà non ci siamo imposti dei parametri da rispettare. Posso dire, con sicurezza, di aver voluto chiaramente evitare pietismo e buonismo. Ormai, infatti, ci riempiamo la bocca di frasi accondiscendenti non riuscendo, però, a mostrare mai un briciolo di pietà. Il film, invece, cerca di raccontare un’umanità che fa finta che non ce ne sia un’altra. Nonostante questo, però, ho voluto mettere in evidenza anche una certa positività, pensando che ci sia sempre la possibilità di una realtà diversa. Per quanto riguarda la realizzazione del film, però, ho puntato tutto sulla credibilità della messa in scena. Per questo motivo abbiamo lavorato con delle associazioni specifiche. Lì abbiamo incontrato ragazzi disabili che non solo ci hanno spiegato com’è vivere affrontando le loro difficoltà ma, allo stesso tempo, ci hanno investito con la loro feroce autoironia. E questo ci ha fatto sentire più liberi di trattare come desideravamo un argomento importante e insolito per il cinema italiano.
Visto che il film è la trasposizione della commedia francese Tutti in piedi, come avete lavorato sullo script originale per adattarlo al pubblico italiano?
Furio Andreotti: Il lavoro più importante ha riguardato proprio l’adattamento della comicità. In modo particolare ci siamo concentrati sul cinismo di Gianni e sull’accentuare i suoi lati negativi. Per poter fare questo senza alcun timore è stato importante avere dalla nostra parte Pierfrancesco Favino. Nemmeno per un minuto, infatti, ha avuto timore di vestire i panni un personaggio così chiaramente scorretto. Per quanto riguarda il resto del cast, poi, un’intuizione vincente è stata quella di aggiungere, rispetto all’originale, anche il personaggio di Piera degli Esposti. Questa incredibile attrice, infatti, ci ha fatto dono della sua ultima interpretazione.
Giulia Calenda: Per quanto mi riguarda, uno dei privilegi più importanti è stato poter scrivere e tratteggiare i personaggi direttamente sugli interpreti. Al momento della stesura della sceneggiatura, infatti, già sapevamo di dover adattare Chiara e Giorgio a Miriam e Pierfrancesco. In questo modo l’effetto è stato sicuramente più credibile. Parlando, invece, dell’atmosfera e del tono della narrazione, non abbiamo mai perso di vista una regola fondamentale; fuggire la retorica al primo accenno. In questo modo ci siamo aggrappati proprio alla tradizione della nostra commedia che, appena sente l’arrivo di una lacrima o del pietismo, immediatamente diventa sanamente cattiva.