UNA STORIA D’AMORE E DI DESIDERIO, LEYLA BOUZID RACCONTA L’AMORE GIOVANE
La regista tunisina trae ispirazione dalla tradizione letteraria araba più antica, per mettere in evidenza le difficoltà che accompagnano i ragazzi nella scoperta e gestione della propria sfera sessuale, quando l’amore diventa sia sentimento che esaltazione dei sensi.
Dopo la sua opera prima Appena apro gli occhi, con Una storia d’amore e di desiderio la regista tunisina Leyla Bouzid ci ha consegnato un’altra storia dedicata al mondo giovanile e alle sue lotte interiori per affermare se stesso. In questo caso, però, al centro della vicenda c’è una coppia, formata da Ahmed e Farah. Entrambi studenti alla Sorbone, il primo è un parigino con origini algerine, mentre la seconda arriva direttamente da Tunisi. Il loro incontro ha lo scopo di mettere in evidenza le differenze personali dei due, la chiusura di Ahmed nei confronti di una intimità fisica e, soprattutto, gli aspetti meno prevedibili di una cultura araba più moderna e volta al piacere dei sensi di quanto si possa immaginare. Il veicolo narrativo è la letteratura cortigiana e le poesie a tema erotico, risalenti al X secolo, in cui amore e desiderio diventano due elementi essenziali per raccontare l’amore. Il film, presentato alla Settimana della Critica all’ultima edizione del Festival di Cannes, sarà nelle sale dal 25 marzo distribuito da Cineclub Internazionale.
Attraverso i due giovani protagonisti, il film evidenzia una visione della cultura araba sicuramente più avanzata e moderna rispetto a quella integralista, spesso rimandata dall’informazione. Da cosa nasce questa scelta così netta e imprevista?
Leyla Bouzid: In realtà la situazione della cultura araba è tutt’altro che omogenea. In questo caso, però, abbiamo un ragazzo di prima generazione francese molto chiuso e introverso, nonostante suo padre sia un ex giornalista algerino fuggito dal regime. Dall’altra parte, invece, c’è Farah, una tunisina dalla mentalità moderna arrivata a Parigi per studiare alla Sorbone. Il loro incontro mette in evidenza proprio le differenze caratteriali e quelle culturali. Si tratta di un escamotage narrativo efficace, dunque, per poter raccontare nel migliore dei modi un aspetto del mondo e delle tradizioni arabe poco note ai molti, come la letteratura e le poesie a sfondo erotico del X secolo.
La vicenda è costruita interamente intorno a due ragazzi e alle loro difficoltà nel gestire un rapporto d’amore e di passione. Nonostante questo, però, è il personaggio maschile che determina il ritmo di tutta la vicenda, mostrando una personalità complessa. Com’è stato scelto il protagonista e come hai lavorato sui suoi blocchi emotivi?
Trovare il giusto interprete non è stata una missione molto facile perché doveva racchiudere in se sia l’aggressività delle banlieue parigine che una sensualità trattenuta. Quando ho incontrato Sami Outbali, dunque, gli ho spiegato nel dettaglio cosa desideravo da lui per il personaggio di Ahmed, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto legato al sesso. Dopo il casting, però, ho capito che era l’unica persona giusta in grado d’interpretarlo. Per quanto riguarda il personaggio di Farah, invece, ho scelto Zbelda Belhajmor, anche se alla sua prima esperienza sul grande schermo. La prima volta ci siamo incontrate proprio in Tunisia. Quando è arrivata sul set, poi, ho visto immediatamente una grande sintonia con Sami. Per questo motivo li ho spinti a provare e fare molte esercitazioni insieme. Sfruttare la naturale chimica tra di loro, infatti, non poteva che giovare proprio alla veridicità della storia.
Ahmed sembra essere cristallizzato all’interno delle sue paure. Si tratta di un’immobilità che deriva dalla sua timidezza o dal retaggio famigliare?
Ahmed ha una personalità complessa e questo deriva da diverse motivazioni. Una di questa, ad esempio, è lo stesso quartiere dove vive, a cui però non appartiene fino in fondo. In effetti, è diverso da tutti i suoi coetanei grazie a un talento naturale per la scrittura che lo ha aiutato a vincere una borsa di studio alla Sorbone. Come se non bastasse, poi, non ha mai incontrato una ragazza come Farah, al suo stesso livello culturale ma molto più libera. Per quanto riguarda la sua famiglia, invece, è caratterizzata dal senso di fallimento del padre che, arrivando dall’Algeria, non è riuscito a trovare un’identificazione all’altezza delle proprie aspettative. Per tutte queste motivazioni, dunque, si delinea una personalità veramente complessa che il film ha lo scopo di mettere in evidenza senza dare, però, una spiegazione specifica.
Un elemento che caratterizza questo film, come la tua opera prima, sono le musiche. In questo caso, però, è stata fatta una scelta più acustica e particolare. Com’è stato costruito tutto l’impianto musicale? Dopo Appena apro gli occhi ho pensato che anche per questo film la musica dovesse essere fondamentale. In particolare sono tre i momenti della narrazione sottolineati con enfasi proprio dalle scelte musicali. Si tratta della scena del concerto di Ghalia Benali, del sassofonista, incontrato lungo le vie notturne di Parigi, e del matrimonio arricchito dai musicisti di darbouka. Era importante che ogni momento musicale fosse inteso come una specie di erranza che accompagna i personaggi, non stonata rispetto a tutto il film. Per questo motivo ho scelto i brani particolari e semi sperimentali di Lucas Gaudin. Melodica e ripetitiva allo stesso tempo, la musica crea un circolo ipnotico dentro al quale i suoni risuonano con le emozioni del protagonista, portandoci direttamente all’interno delle sue sensazioni e del suo viaggio personale alla scoperta di se.