APOLLO 10 E MEZZO
Dopo l’ingiusto flop di Che fine ha fatto Bernadette?, Richard Linklater si immerge nella sua infanzia e nel clima della fine degli anni ‘60, intrecciando in modo mirabile storia, memoria e sogno. L’animazione fotorealistica, lungi dal rappresentare un limite, era forse l’unico mezzo espressivo possibile per un film come questo Apollo 10 e mezzo. Un mezzo potente e duttile, che il regista texano dimostra di saper maneggiare alla perfezione.
Volere la Luna
Negli ultimi anni, Hollywood sembra subire una fascinazione particolare per il periodo che va dalla fine degli anni ‘60 all’inizio dei ‘70, quello in cui la fase matura della società del benessere si sovrapponeva ai grandi movimenti di massa che (complice la disgraziata avventura americana in Vietnam) avrebbero segnato a fondo la storia della seconda metà del secolo. Una fascinazione spesso esplorata coi colori cangianti della memoria e dell’autobiografia, che ha finora coinvolto due protagonisti del cinema americano come Paul Thomas Anderson (prima con Vizio di forma e poi con Licorice Pizza) e Quentin Tarantino (col suo ultimo C’era una volta a… Hollywood). Una fascinazione che non poteva non toccare anche un regista come Richard Linklater, che col concetto stesso di tempo (e col suo scorrere, fuori e dentro lo schermo) ha sempre giocato con consapevolezza: lo ha fatto costruendo archi narrativi lunghi anni, ripresi di film in film (la trilogia composta da Prima dell’alba, Before Sunset – Prima del tramonto e Before Midnight) o esplorati con tenacia ultradecennale all’interno dello stesso film (il lungo coming of age di Boyhood). Proprio Linklater, dopo l’ingiustamente massacrato Che fine ha fatto Bernadette?, ha scelto di immergersi con questo Apollo 10 e mezzo – prodotto e distribuito da Netflix – nella sua personale versione della fine degli anni ‘60, puntando l’obiettivo sull’evento-cardine dell’allunaggio. Un evento raccontato qui con toni a metà tra realtà e sogno, resi più malleabili (e fluidi) dalla tecnica dell’animazione fotorealistica.
L’affabulatore in erba
Già dal titolo, si può capire come Apollo 10 e mezzo si ponga proprio in quella terra sospesa a metà tra realtà e mondo onirico, tra concretezza storica, e materiale, e immaginazione: la stessa (per fare un paragone proveniente da un diverso ambito) del “binario nove e tre quarti” della saga di Harry Potter. In quel 1969 filtrato dalla memoria e dal sogno, e rievocato dalla voce narrante del protagonista adulto doppiato da Jack Black, si muove Stan, un ragazzino di nove anni che vive nella periferia di Houston, in una zona residenziale nata sull’onda della presenza della sede della NASA. Qui lavora suo padre, che però non è un astronauta, come piacerebbe pensare al ragazzino: è un grigio impiegato amministrativo, uno che alla prossima impresa storica, da tutti attesa, darà un contributo oscuro, da dietro le quinte. Ma a Stan piace fantasticare, e anche acconciare a suo uso e consumo (e gusto) la realtà: è un affabulatore, o se si preferisce un bugiardo seriale, come lui stesso si definisce. Così, seguiamo il racconto di uno Stan che viene contattato a scuola dalla NASA, che deve sperimentare in gran segreto l’allunaggio prima della missione ufficiale di Neil Armstrong; e che – complice una cabina di pilotaggio risultata più piccola del previsto – ha scelto proprio il piccolo Stan per questa segretissima missione.
Un lirico intreccio
È un Linklater atipico nella confezione, Apollo 10 e mezzo, che sceglie una vicenda in cui le dimensioni della memoria storica, di quella personale e del sogno si intersecano in modo così fitto (e inestricabile) da rendere forse impossibile una loro resa tramite il cinema live action. Forse, l’animazione in rotoscope (già sperimentata da Linklater nei precedenti Waking Life e A Scanner Darkly) era l’unica forma che davvero potesse rendere quell’impasto così peculiare e personale, che della realtà si nutre ma la trascende, liricizzandola. Non a caso i colori del mondo più prossimo al giovane protagonista sono pieni, caldi, così come le linee del disegno che ritraggono lui e i personaggi a lui vicini; mentre, al contrario, la resa degli eventi storici è più stilizzata, essenzializzata; forse perché appartenente a un libro diverso, che comunica con quello autobiografico del piccolo Stan, ma al contempo si svolge fuori di esso. Un mondo che il protagonista scruta attraverso la televisione, la stessa che gli rimanda le immagini di un numero incredibile di film (La cosa da un altro mondo, Fluido mortale, Radiazioni BX: Distruzione uomo, tra i tanti) e serie tv (Dark Shadows e Bonanza, su tutte). Un mezzo televisivo che laddove rimanda le immagini della tragedia del Vietnam appare lontano e sfuggente, ancora “alieno” al mondo ad altezza di bambino di Stan; mentre si avvicina quando racconta dell’imminente impresa lunare, ipotizzando scenari di colonizzazione dello spazio che avvicinano la sua narrazione a quella di tanta fantascienza ottimistica.
La Luna è vicina
La narrazione di Apollo 10 e mezzo è quella di un protagonista e di una nazione che erano mossi dallo stesso sentire infantile, da un ottimismo (in realtà, su larga scala, tragicamente illusorio) che pareva voler proiettare oltre i confini terrestri il concetto stesso di sogno americano. Un sogno che, nella sua dimensione collettiva, si era già ampiamente scontrato col duro bagno di realtà dell’omicidio di JFK, di quello di Martin Luther King e della tragedia del Vietnam; ma questo, nel film, per Stan è ancora qualcosa di lontano, separato dal mondo autosufficiente – e un po’ avulso dalla realtà – del suo quartiere residenziale ai confini di Houston. Lì, paradossalmente, il cosmo e la Luna sono più vicini delle tragedie che stanno scuotendo l’America (e il mondo). Lì il protagonista ha lo spazio e il tempo per sognare, per addormentarsi davanti alla scena di Neil Armstrong che calca il suolo lunare, perché lui, pochi giorni prima, quel suolo l’ha già calcato coi suoi piedi, in una missione top secret che ha i colori del sogno (e del cinema). Quel cinema che torna a più riprese come vero e proprio imprinting culturale per il piccolo protagonista, sia nelle già citate immagini dei film divorati davanti alla televisione – magari tra una rissa e l’altra coi fratelli e con le sorelle, per il dominio della scatola magica – sia soprattutto nella sala cinematografica del quartiere, che si chiama Majestic e, malgrado il suo aspetto dimesso, è maestosa davvero agli occhi di Stan.
Storia, sogno, memoria
È un’opera illuminata dai toni (cromatici e umorali) della memoria e del sogno, Apollo 10 e mezzo, di una nostalgia che consapevolmente si esplica sul terreno della struggente idealizzazione, che si nutre dell’opera incessante di un affabulatore (il protagonista, e il suo alter ego, che è lo stesso Linklater) che, mentre la narra, “inganna” con gioia – e piena consapevolezza – anche se stesso. Come in molto del cinema del regista texano, la narrazione è episodica, unita dall’unico filo conduttore della vita vissuta (costantemente alternata, anche nel montaggio, al sogno lucido vissuto dal protagonista), di quei rituali quotidiani che trasposti sullo schermo acquistano una consistenza speciale e poetica; di quello scorrere del tempo, insomma, che unisce mirabilmente la dimensione storica a quella personale. Dimensioni qui entrambe passate sotto il filtro dell’immaginazione di un bambino che è già futuro narratore di storie, bugiardo seriale i cui racconti sono capaci di ricostruire la verità meglio di tanti altri che mirano (inutilmente) al realismo. Un tributo alla memoria propria e a quella ingenua – colpevole della sua ingenuità, ma impossibile da non guardare con benevolenza – di un’intera nazione; tributo dalle dimensioni piccole e prosaiche, e proprio per questo epiche nella loro capacità di intercettare (attraverso un percorso tutto proprio) la storia e la memoria condivisa. Un compito in cui, nel cinema contemporaneo, riescono in pochi.
Scheda
Titolo originale: Apollo 10 1/2: A Space Age Childhood
Regia: Richard Linklater
Paese/anno: Stati Uniti / 2022
Durata: 97’
Genere: Drammatico, Animazione, Fantascienza
Cast: Glen Powell, Jack Black, Zachary Levi, Bill Wise, Danielle Guilbot, Jessica Brynn Cohen, Josh Wiggins, Lee Eddy, Mia Gonzalez, Milo Coy, Natalie Joy, Natalie L'Amoreaux, Reese Armstrong, Sam Chipman, Suzanne Deal Booth
Sceneggiatura: Richard Linklater
Fotografia: Shane F. Kelly
Montaggio: Sandra Adair
Produttore: Bruno Felix, Femke Wolting, Mike Blizzard, Tommy Pallotta, Richard Linklater
Casa di Produzione: Detour Filmproduction, Soundcrafter, Submarine, Minnow Mountain, Netflix Animation
Distribuzione: Netflix
Data di uscita: 01/04/2022