IL SESSO DEGLI ANGELI, LEONARDO PIERACCIONI PRESENTA LA SUA COMMEDIA TRA SACRO E PROFANO
Il regista toscano, dopo essere arrivato a quota quattordici film, sembra aver deciso con Il sesso degli angeli di cambiare sguardo. A quasi sessant’anni, infatti, non perde la sua verve da bischero, ma decide di appendere al chiodo gli abiti da conquistatore romantico ed un po’ imbranato. Al suo posto indossa, a sorpresa, una tonaca.
“I preti si devono sposare. Magari il matrimonio arrivasse anche per loro”. Ad affermarlo con decisione è un Leonardo Pieraccioni che, nonostante il suo immancabile tono da “bischero” e una giacca verde smeraldo che, a suo dire, ha rubato direttamente dal guardaroba di Rod Stewart, si mostra più chiaro e sicuro del solito nelle sue dichiarazioni. Almeno per quanto riguarda alcuni contenuti importanti come la fede e la prostituzione. Questi, infatti, sono i due argomenti che definiscono l’ossatura della sua nuova commedia Il sesso degli angeli, dimostrando che, con lievità e una certa grazia, è veramente possibile parlare di tutto. Oltre a questo, poi, con il suo quattordicesimo film Pieraccioni cambia la prospettiva della narrazione. Arrivato quasi a sessant’anni, infatti, ha deciso di smettere i panni del conquistatore romantico un po’ imbranato per vestire quelli di un prete.
Certo, si tratta di un sacerdote alternativo ma pur sempre votato alla sua missione, nonostante i perfidi scherzi dello zio Waldemaro da cui riceve un’imprevista eredità in Svizzera capace fatturare una certa fortuna. Una volta arrivati a Lugan, però, Don Simone e il sacrestano Giacinto (Marcello Forte) vengono accolti dall’affascinante Lena, interpretata da Sabrina Ferilli, e da uno stuolo di ragazze dalla bellezza unica. Ben presto i due capiscono di non trovarsi in un albergo di lusso o in un locale alla moda ma in uno dei migliori casini della zona. Come reagirà Don Simone di fronte a questa beffa dello zio che, di tanto in tanto, si ripresenta sotto forma del fantasma di Ceccherini? Impossibile dirlo ora per evitare qualsiasi tipo di spoiler. Per scoprirlo bisognerà attendere il 21 aprile, data in cui il film verrà distribuito in sala da 01 Distribution.
Dove nasce l’idea di vestire gli abiti talari interpretando per la prima volta un prete? Forse hai sentito la competizione con Raoul Bova e con Don Matteo?
Leonardo Pieraccioni: Guarda, ormai sono vicino alla sessantina e questo fatto cambia un po’ il modo di vedere la vita. Per questo motivo ho deciso di scrivere una storia, sempre utilizzando i toni leggeri, in cui s’inizia a fare un po’ i conti con i risultati della propria vita. Il fatto è che quando intravedi l’età della pensione cominci a chiederti se hai fatto bene o male. Una domanda che a vent’anni, come a trenta, quaranta e cinquanta, proprio non ti sfiora lontanamente. Per questo motivo, dunque, mi ha divertito scrivere la storia di Don Simone, un parroco di una piccola parrocchia di Firenze che, ereditando improvvisamente un casino in Svizzera, si trova a fare i conti con il dubbio. Altro tema centrale, poi, è anche la redenzione. Perché, se c’è una cosa che ho capito facendo le ricerche per il film e parlando con il proprietario di alcune attività legate al lavoro sessuale proprio in Svizzera, è che queste ragazze hanno sempre un piano B. Ed è proprio questa la parte migliore del film. Ossia quando le ragazze prendono coscienza di loro stesse e dei sogni che custodiscono. Il tutto, però, senza falsi moralismi.
A gestire questo casino di lusso è Lena, una tenutaria di grande fascino interpretata da Sabrina Ferilli. Come sei riuscito a coinvolgerla in questo progetto?
Leonardo Pieraccioni: Mentre scrivevo il personaggio di Lena mi è subito venuta in mente Sabrina. D’altronde doveva essere molto bella ma anche elegante. Quando ci siamo incontrati perché le proponessi il progetto, però, abbiamo parlato di altre mille cose. Solo alla fine sono riuscito a consegnarle il copione sperando che riuscisse a divertirla. Altrimenti, non avrebbe mai accettato.
Sabrina Ferilli: Guarda, in realtà la mia adesione è stata immediata e si deve soprattutto alla persona. Leonardo, infatti, è conosciuto per le sue commedie che mantengono sempre delle note leggere ma hanno un tocco elegante e romantico. Questi due elementi mi sono sempre piaciuti ed è per questo che ho accettato.
Una presenza inaspettata per la commedia è quella di Marcello Fonte nel ruolo del sacrestano Giacinto. Come sei riuscito a convincerlo dopo film completamente diversi come Pinocchio e Dogman?
Leonardo Pieraccioni: Con lui è stato un incontro surreale. Quando ci siamo sentiti al telefono per organizzare un incontro Marcello non era convinto di essere adatto a una commedia, era dubbioso di non avere le note giuste. Appena l’ho visto arrivare all’appuntamento, però, non ho avuto dubbi di aver fatto la scelta giusta. Indossava una giacca talmente multicolor che la mia di oggi verde smeraldo passa inosservata. Ho immediatamente amato il suo stile, quella follia tipica dell’uomo di teatro. E non mi sbagliavo perché il suo Giacinto è straordinario, diviso tra innocenza e saggezza. In effetti, quello che per Simone è l’inferno, per lui rappresenta la vera e propria incarnazione del Paradiso.
Nel film Don Simone è un prete alternativo. Veste t-shirt, utilizza Lady Gaga come colonna sonora per i battesimi, fa prediche inaspettate e mette alla prova le litanie delle fedeli signore durante il rosario. Più di tutti, però, cerca di riportare i ragazzi a un rapporto diretto con l’altro. Faccia a faccia e non solo attraverso le videochat. Ma è possibile riuscire in questo intento?
Leonardo Pieraccioni: Io sono nato alla fine degli anni sessanta e credo che la mia sia una delle ultime generazioni ad aver frequentato attivamente gli oratori. Ed è stata un’infanzia meravigliosa. Ora i ragazzi fanno fatica a trovare luoghi dove incontrarsi fisicamente. Lo vedo in modo diretto con mia figlia. Hanno Instagram e le videochat ma non riescono a scambiarsi degli abbracci fisici, reali.
Ci troviamo in un periodo culturalmente particolare in cui il linguaggio, soprattutto, si è adattato al politicamente corretto. Com’è cambiata la comicità sotto questi impulsi esterni?
Leonardo Pieraccioni: Parliamoci chiaro, in passato non c’erano troppi limiti e, probabilmente, spesso si è ecceduto. Ora, invece, si rischia esattamente di esagerare in senso contrario. Credo, comunque, che tra due o tre anni riusciremo a trovare una sana via di mezzo. Certo, se avessi scritto Il ciclone oggi, probabilmente non me lo avrebbero mai fatto fare. Il problema, però, non è tanto la battuta quanto la sua contestualizzazione. Ovviamente ci deve essere una distinzione tra il linguaggio che usiamo in una cena con gli amici e quello che portiamo a teatro. Nonostante tutto, però, si deve essere anche onesti e dire che, dal punto di vista comico, sostituire un’espressione un po’ colorita con un sinonimo anonimo non ottiene lo stesso risultato. Spesso non si comprende che il pubblico è il primo a non premiare l’eccesso. Questo vuol dire che se una battuta è brutta non è premiata con la risata. E non c’è punizione peggiore per un comico. Per quanto mi riguarda, però, non ho mai ricevuto nessuna critica riguardo il linguaggio usato. Alla fine, io sono un bischero con la patente da Pierino.
Il cinema, soprattutto in sala, sta vivendo un momento difficile dovuto a vari fattori come i due anni di pandemia. E ora la guerra in Ucraina non contribuisce certo a migliorare la situazione. Non senti di avere una responsabilità importante con l’uscita del tuo film, in questo momento? Come pensi di affrontare la crisi delle sale?
Leonardo Pieraccioni: Fino a questo momento il pubblico mi ha sempre premiato con una grande partecipazione, ma io continuerei a fare questo mestiere anche se dovessero rimanere quattro spettatori. Perché la sala deve essere difesa sempre. Si tratta di un piccolo grande rito che abbiamo ereditato e che dobbiamo tentare di continuare a trasmettere. Per quanto mi riguarda, io ci sarò fino a quando mi daranno la possibilità di raccontare delle storie per divertire le persone e, magari, sollevarle dai loro pensieri. D’altronde siamo tutti dei guitti, dei giullari, e facciamo tutto questo per un semplice oplà.
Chiudiamo con una domanda personale. Nel film la questione della fede è centrale, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Don Simone. Qual è, invece, il tuo rapporto con questo elemento?
Leonardo Pieraccioni: Guarda, io come atteggiamento mi trovo tra San Tommaso e Margherita Hack, donna che ho adorato. In sostanza, tutto si traduce in un grande boh. Nonostante questo, da guitto quale sono, se oggi mi dovessi trovare di fronte a Dio, mi butterei a terra e gli confesserei di averci sempre creduto.