BAD ROADS – LE STRADE DEL DONBASS
Prodotto nel 2020, esordio della regista Natalya Vorozhbit, Bad Roads – Le strade del Donbass racconta un conflitto – quello che dal 2014 scuote il sudest dell’Ucraina – lasciando i suoi eventi quasi totalmente fuori campo: lo fa mettendo in scena con grande rigore quattro storie distinte, che vedono protagonisti individui che da quel conflitto sono stati a vario titolo toccati.
Strade di fuoco
È il 2020, l’anno di produzione di Bad Roads – Le strade del Donbass, appena distribuito esordio dietro la macchina da presa della regista Natalya Vorozhbit. Un anno in cui l’Ucraina non era ancora precipitata nell’attuale situazione, ma in cui già da tempo un’altra guerra, meno illuminata dai riflettori ma non per questo meno dolorosa di quella corrente – per molti versi sua anticamera – scuoteva una parte del suo territorio. Proprio sul conflitto armato in corso nel sudest del paese dal 2014, che vede tuttora coinvolti l’esercito ucraino e i gruppi separatisti filorussi, è incentrato il lavoro d’esordio della Vorozhbit, adattamento della sua omonima pièce teatrale.
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Una trattazione della guerra che tuttavia, nello specifico, sceglie di lasciare il conflitto stesso fuori campo, mettendo in scena piuttosto le vite di chi, a vario titolo, ne è stato toccato. Vite riprese in luoghi di passaggio, strade reali (come nell’episodio che apre il film, ambientato in un checkpoint) o metaforiche: punti di snodo di esistenze che il conflitto ha già irrimediabilmente cambiato, direttamente e non, immortalate in quattro storie che vedono i ruoli di vittima e carnefice alternarsi continuamente. La violenza fisica e psicologica e la sopraffazione – reale o auspicata – sembrano essere il loro minimo comune denominatore.
Storie di guerra, fuori dal campo di battaglia
Sono appunto quattro, i racconti che compongono la narrazione del film di Natalya Vorozhbit, in apparenza senza collegamenti tra loro. Un preside scolastico, di ritorno da una festa coi suoi studenti, viene fermato a un checkpoint; l’uomo, senza documenti, viene trattenuto con fare intimidatorio dai due soldati presenti, che minacciano di arrestarlo. Una ragazza adolescente, i cui genitori sono morti a causa della guerra, è seduta su una panchina ad aspettare il suo fidanzato, un giovane militare; la ragazza discute violentemente prima con le sue compagne di scuola, poi con sua nonna, che non approva la sua relazione col giovane. Una giornalista è prigioniera di un guerrigliero separatista, che la sottopone a ogni forma di angheria fisica e psicologica; ciò almeno fin quando la donna non sembra far emergere (forse) un lato più umano del suo carceriere. Infine, in una strada di campagna, una donna investe casualmente una gallina, e cerca in ogni modo di scusarsi coi suoi proprietari; questi ultimi, tuttavia, sembrano intenzionati ad approfittarsi della buona fede della donna. A legare le storie, rimandi tematici, eventi evocati in un racconto che poi ritroviamo – con un diverso protagonista – in quello successivo. Assonanze, più che collegamenti, atte a evocare un substrato sociale comune, e forse un destino analogo.
Interazione come ricerca di potere
Già presentato alla Settimana della Critica della Mostra di Venezia 2020, poi scelto dall’Ucraina per rappresentarla agli Oscar 2022, Bad Roads – Le strade del Donbass si caratterizza per un rigore, nella scrittura come nella messa in scena, che volutamente accentua la tensione dei suoi contenuti. In questo senso si rivela emblematico l’episodio iniziale, raccontato in uno spazio aperto che si fa psicologicamente claustrofobico, e che vede rapidamente mutare i tratti dell’interazione tra i suoi tre personaggi: dallo scambio asimmetrico alla sopraffazione, fino all’esplicita minaccia dell’integrità fisica. Un crescere della tensione raggiunto senza artifici spettacolari, col quasi esclusivo uso della camera fissa, demandato nel suo sviluppo alla recitazione – oltre che alla precisione della scrittura nel cogliere le linee di tensione tra i personaggi. Un climax emotivo che, pur laddove sembra aver trovato il suo culmine e la sua successiva composizione, torna a increspare la superficie del racconto, nella consapevolezza che la risoluzione di una storia non annulla il dramma di tutte le altre: quelle meno visibili, forse scrutate nella forma (poco importa che nello specifico sia reale o immaginata) di una ragazza prigioniera. Tutti e quattro gli episodi del film della Vorozhbit si caratterizzano per l’inesorabilità – e l’ineludibilità – della violenza che evocano: quasi che il normale contatto umano, persino quello tra familiari, sia stato ormai avvelenato e ridotto a mera ricerca del potere e della sopraffazione dell’altro.
Essenzialità e verità
In tutto questo, la guerra resta praticamente sempre fuori dal quadro: ma la sua presenza, anche quando non vediamo i cieli cittadini direttamente illuminati dai razzi della contraerea, resta più che mai concreta nelle storie dei singoli personaggi, e nel modo in cui queste collidono. Persino nell’ultimo episodio, racconto di un banale incidente, assistiamo a una logica che, più che alla “normale” riparazione di un torto subito, sembra mirare alla rappresaglia militare, evocando addirittura la prigionia come conseguenza. Il conflitto pare aver scavato un solco tra individui tanto fisicamente vicini quanto segnati da distanze culturali radicate in decenni di storia, che la propaganda delle parti in causa ha radicalizzato: ma Bad Roads – Le strade del Donbass non vuole essere in alcun modo manifesto politico, quanto piuttosto esaminare le ricadute sociali di un conflitto – e soprattutto quelle psicologiche – sulla quotidianità di chi (direttamente e non) lo subisce. L’approccio non fa mistero della sua origine teatrale, proprio nell’”invisibilità” della regia, nell’unità di luogo e tempo delle quattro storie, e nella scarnificazione stessa del racconto: ma proprio quest’essenzialità, complice una scrittura di grande equilibrio, fa emergere il cuore delle storie messe in scena e la dolorosa concretezza dei personaggi. È difficile non avvertire un disagio palpabile, alla fine della visione; impossibile non cogliere la verosimiglianza (meglio: la verità) di quanto appena visto.
Scheda
Titolo originale: Pohani dorogy
Regia: Natalya Vorozhbit
Paese/anno: Ucraina / 2020
Durata: 105’
Genere: Drammatico
Cast: Oksana Cherkashyna, Anastasia Parshina, Andrey Lelyukh, Anna Zhurakovskaya, Ekaterina Zhdanovich, Igor Koltovskyy, Maryna Klimova, Oksana Voronina, Sergei Solovyov, Volodymyr Hurin, Yuliya Matrosova, Yuri Kulinich, Zoya Baranovskaya
Sceneggiatura: Natalya Vorozhbit
Fotografia: Volodymyr Ivanov
Montaggio: Alexander Chorny
Produttore: Yuriy Minzyanov, Sergei Neretin, Dmitriy Minzyanov
Casa di Produzione: Kristi Films, Ukrainian Cultural Foundation
Distribuzione: Trent Film
Data di uscita: 28/04/2022