CIP E CIOP AGENTI SPECIALI, LA COPPIA TORNA CON UN REBOOT TRA NOSTALGIA E CITAZIONISMO
Insieme ad altri personaggi del mondo Disney, i due scoiattoli rilanciano la loro immagine in un film che riesce a riassumere diverse tecniche di animazione, strizzando l’occhio alla stop motion, alla più moderna CGI, passando per la plastilina e gli intramontabili Muppets. A guidarci in questo mondo, le voci di Francesca Chillemi, Raoul Bova e Giampaolo Morelli.
Chi ricorda la prima volta in cui la coppia di scoiattoli più famosi del mondo Disney, meglio conosciuta come Cip e Ciop, si sono incontrati per la prima volta? Niente paura, se non lo sapete, potete sempre contare su di loro per rinfrescare la vostra memoria. Cip e Ciop agenti speciali, ultimo lungometraggio prodotto dalla Disney e distribuito sulla sua piattaforma dal 20 aprile, prende il via proprio da un passato lontano, riportando il calendario addirittura al 1982. In questo anno eccezionale due scoiattolini di otto anni fanno la loro conoscenza nella mensa scolastica durante la pausa pranzo. Per loro è amicizia a prima vista e, immediatamente, si crea un legame che sembra indissolubile, anche se hanno delle personalità diverse. Ciop, infatti, sembra essere più protagonista e sicuro di se, mentre Cip svolge il ruolo di eterna spalla. Ma sarà sempre così? Dopo aver conquistato la ribalta del mondo dello spettacolo grazie alla serie di successo Agenti Speciali, il duo invincibile si separa a causa proprio di Cip che, dopo tanto tempo, sente l’esigenza di ritagliarsi uno spazio unico e personale.
Come spesso accade nella storia di Hollywood, però, le separazioni artistiche non portano mai grande fortuna. È così che i due si ritirano dalla scena perdendosi di vista. Nonostante questo, però, un’amicizia e un successo come il loro sono destinati a durare nel tempo. Per questo motivo, dopo molti anni, si troveranno nuovamente a vestire i panni di agenti speciali ma, questa volta, non nella finzione scenica. A dare la voce a questa coppia, nella versione italiana, sono Raoul Bova, nei panni di Cip, e Giampaolo Morelli in quelli di Ciop. Accanto a loro anche Francesca Chillemi, che presta la voce all’agile Scheggia, e Jonis Bascir, ingrassato per interpretare localmente il corpulento Monterey Jack. Scopriamo com’è stata la loro esperienza nel doppiaggio e, soprattutto, il loro rapporto con il mondo Disney.
Confrontarsi con il doppiaggio non è mai semplice, soprattutto quando si viene coinvolti in un progetto Disney che richiede un alto livello di prestazione. Come vi siete confrontati con i vostri personaggi, trovando la voce giusta, e, soprattutto, cosa vi ha attratto di questo film?
Giampaolo Morelli: Per quanto mi riguarda sono stato scelto dalla produzione proprio grazie alla mia chiara e netta somiglianza con Ciop. Non ve ne siete accorti? A parte gli scherzi, è stata un’avventura impegnativa ma molto gratificante. Io mi sono già confrontato con il doppiaggio di un’animazione con Rapunzel. Nonostante questo, però, ogni volta è un’esperienza diversa. In questo caso si doveva parlare più velocemente e, soprattutto, trovare la giusta tonalità. All’inizio pensavo che Raoul e io avremmo dovuto recitare per tutto il tempo con un tono un po’ da falsetto, molto da cartone animato. Fortunatamente, invece, è stato scelto uno stile decisamente naturale. Per quanto riguarda, poi, le caratteristiche del film, credo che tutti i riferimenti a un certo cinema tra gli anni ottanta e novanta rappresentino un quid in più.
Nel film spesso si ripete che il più grande rischio nella vita è non rischiare mai. Cosa ne pensate e, soprattutto, quali rischi avete affrontato nella vostra vita e nel lavoro?
Francesca Chillemi: Sono perfettamente d’accordo. Non rischiare non fa altro che farti restare ferma, senza progredire mai. Per questo motivo è fondamentale sempre tentare il tutto per tutto. Personalmente ho rischiato molto per conquistare, passo dopo passo, la mia carriera. Pensate che io sono cresciuta in un piccolo centro e in una famiglia tradizionale molto rigida. Fin da ragazzina ho sempre desiderato entrare nel mondo dello spettacolo e iniziare a fare l’attrice. Per realizzare il mio sogno, dunque, non ho potuto fare altro che accettare il rischio. Però, a essere sincera, non ho dovuto farmi troppo coraggio. Di natura, infatti, io sono una persona molto propensa al rischio, essendo un’istintiva. Spesso, infatti, faccio dei passi quasi in modo incosciente, come se non considerassi troppo i rischi. Devo dire, però, che finora è andato tutto alla perfezione, considerando che, oltre al lavoro, sono riuscita a costruire anche una vita e una famiglia.
Raoul Bova: Anche secondo me il rischio è essenziale nella vita. Rimanere fermi sulle proprie posizioni e sicurezze, infatti, non fa crescere. Ma con rischio s’intende anche affrontare qualche cosa di nuovo, un’avventura che, magari, ci fa sentire un po’ insicuri ma che è destinata a farci fare un passo avanti verso delle caratteristiche che non sapevamo di avere.
Giampaolo Morelli: Per me il rischio ha fatto parte della mia vita e continua a essere un elemento essenziale che non mi abbandona. D’altronde il mestiere dell’attore è quanto di più precario si possa scegliere. Un vero e proprio azzardo, soprattutto per un ragazzo come me, cresciuto all’interno di una famiglia borghese napoletana. Immaginate la difficoltà nel far capire ai miei genitori questa passione e, soprattutto, il mondo che avrei affrontato. Però, se ripenso al passato, credo di aver scelto la recitazione come un gesto disperato. Considerate che io ero e sono dislessico. Questo vuol dire crescere tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli ottanta in una società dove non si conosceva minimamente il significato di questo termine. In poche parole, dunque, ho passato gran parte della mia infanzia e dall’adolescenza a sentirmi stupido, dovendomi confrontare sempre con la mia incapacità di apprendere. Da qui è nata la mia esigenza di trovare un lavoro dalla natura pratica, in cui non mi sarei mai dovuto confrontare con troppe carte, numeri e memorizzazioni di concetti.
Questa animazione punta l’attenzione su una tendenza del cinema americano degli ultimi anni come una produzione intensa di remake o reboot. Come interpretate queste scelte ?
Giampaolo Morelli: Quando ho iniziato questo lavoro ho cercato di trovare un punto d’incontro tra la mia cultura partenopea e il cinema americano tra gli anni ottante e novanta. In quel periodo, infatti, credo che siano stati prodotti dei progetti veramente speciali diventati dei cult. Oggi trovo che la situazione sia cambiata anche nell’industria hollywoodiana. È come se questi remake e reboot mettessero in evidenza un periodo di crisi dal punto di vista creativo, un’assenza di idee narrative. Oltre a questo, però, non penso che si debba essere pessimisti. Dopo un periodo poco produttivo, infatti, inizia sempre uno più fertile.
Raoul Bova: Per quanto mi riguarda non interpreto questo andamento in modo negativo. Ovviamente stiamo vivendo degli anni non semplici ma riprodurre un film o una serie tv del passato vuol dire che erano dei progetti validi, di successo. Oltre a questo, poi, i remake sono sempre stati fatti. Anzi, permettono alle nuove generazioni di conoscere storie e personaggi con cui, altrimenti, non sarebbero mai venute a contatto. In fondo, credo che sia un modo interessante per imparare qualche cosa sul nostro cinema, come su quello internazionale.”
A questo punto non può mancare una domanda di rito: qual è il vostro rapporto con le animazioni Disney?
Francesca Chillemi: Direi ottimo. Considerate che sono tornata da poco da un weekend a Disneyland con mia figlia. Il che vuol dire che abbiamo fatto un’immersione completa. Se devo trovare un’animazione che mi ha rubato il cuore, però, le mie preferenze vanno sicuramente a Il re leone e a La Bella e la Bestia. Ogni volta che li guardo è come se tornassi bambina. La loro magia si ripete, anche nei progetti nuovi. Penso, ad esempio, a Encanto. Sono delle storie nuove che si aprono al mondo attuale con dei messaggi diversi, meno tradizionali e più efficaci.
Raoul Bova: Con le animazioni Disney ho un rapporto trentennale. Ho iniziato con i miei primi figli, che ora sono ventenni, ed ho ricominciato con le più piccole. Praticamente un ciclo continuo. Il vero piacere, poi, è scoprire come queste storie non invecchino mai. Probabilmente molto dipende dal fatto che dietro c’è uno studio sociologico molto attento. Per non parlare del fatto che sono molto più stimolanti di tanti programmi che vengono prodotti in televisione. All’interno della loro narrazione ci sono più elementi, il sogno, la vita, l’amore e la morte.