HILL OF VISION, I GIOVANI PROTAGONISTI LORENZO CIAMEI E SOFIA D’ELIA RACCONTANO LA LORO ESPERIENZA

HILL OF VISION, I GIOVANI PROTAGONISTI LORENZO CIAMEI E SOFIA D’ELIA RACCONTANO LA LORO ESPERIENZA

I due ragazzi sono la sorpresa del film Hill of Vision di Roberto Faenza, in cui l’infanzia e l’adolescenza viene messa a dura prova da eventi distruttivi come una guerra. Nonostante questo però, Mario Capecchi rappresenta un simbolo di resistenza e vittoria su tutto. Una personalità che i due giovani attori sono ben decisi a prendere come esempio per costruire il loro futuro. Il film uscirà al cinema il prossimo 16 giugno.

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Vittorio De Sica diceva che lavorare con i bambini era infernale. Roberto Faenza, però, non è dello stesso parere. Anzi, per lui si tratta degli attori migliori, purché si trovi l’interprete giusto e non gli si faccia fare quello che non vuole. In effetti gli attori più giovani si lasciano guidare senza protestare, affidandosi alle direttive del regista. Attenzione, però, questo non vuol dire mancanza di carattere e personalità. Due doti di cui fanno bello sfoggio Sofia D’Elia e Lorenzo Ciamei, due dei protagonisti più giovani della pellicola Hill of Vision, ultima fatica di Faenza. Il film è incentrato completamente sugli anni più giovani di Mario Capecchi, ricercatore che, nel 2007, ha ricevuto il premio Nobel per la Medicina. La sua vicenda è tanto straordinaria che sorprende non sia stata narrata e resa nota prima.

Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, infatti, Capecchi si trova a vivere, poco più che bambino, in completa solitudine imparando a difendersi dalle insidie della strada e da un mondo che lo vedeva solo come un disturbo. Figlio di un fascista convinto e di una madre americana attivista nella resistenza, quando questa viene imprigionata in un campo di concentramento, si ritrova a vagare per le strade del nord Italia insieme all’amica Frank e a un tenero e misterioso ragazzino senza voce e senza nome. La vita, però, riserva sorprese. Riuscita a sopravvivere al campo, la madre Lucy ritorna, i due partono per gli Stati Uniti e iniziano a vivere con lo zio Edward e sua moglie.

Due figure essenziali per il futuro di Mario che, oltre a credere nelle sue possibilità contro l’opinione di tutti, lo sostengono di fronte all’inevitabilità fragilità della madre. Una storia vera che, soprattutto per quanto riguarda il periodo della guerra, viene interpretata proprio da Sofia D’Elia nei panni della scaltra Frank, e da Lorenzo Ciamei in quelli di Capecchi. Ciò che stupisce veramente, però, è la maturità e la preparazione che questi ragazzi mostrano nonostante la giovane età, 15 anni lei e 14 lui, mostrando già di avere un’opinione precisa riguardo a un argomento così complesso come la guerra e le sue vittime.

Hill of Vision, Lorenzo Ciamei e Sofia D'Elia in una scena del film
Hill of Vision, Lorenzo Ciamei e Sofia D’Elia in una scena del film di Roberto Faenza

Voi siete molto giovani e generazionalmente lontani dagli eventi vissuti da Mario Capecchi. Cosa pensate però di questa storia e dell’esperienza che avete avuto sul set?
Sofia D’Elia:
È stata un’esperienza splendida che credo porterò con me per sempre, come tutti i consigli e le parole che mi sono state dette sul set. Il personaggio di Frank è molto forte, pronta ad affrontare il mondo e a sopravvivere alle sue difficoltà. Io, invece, mi sento decisamente più fragile. Nonostante questo, o proprio per questo, interpretare un personaggio tanto diverso da noi diventa un processo di crescita grazie al quale scoprire qualche cosa di se stessi o a superare dei limiti. Al di là di tutto, però, quando ho ottenuto la parte per me si è avverato un sogno, visto che ho sempre desiderato interpretare una ragazzina durante la guerra.
Lorenzo D’Elia: L’esperienza sul set è stata speciale. Roberto ci ha aiutatI a capire cosa dovevamo mettere in evidenza dei nostri personaggi, tracciando perfettamente la direzione del film. Oltre a questo, poi, quando ho letto la sceneggiatura e ho incontrato di persona Mario Capecchi sono rimasto affascinato dagli eventi della sua vita. Credo che sia un peccato che sia rimasta sconosciuta fino a questo momento. Anzi, penso che dovrebbero parlarne proprio nelle scuole a noi ragazzi.

Sofia, mi ha molto colpito il tuo desiderio di aver sempre voluto interpretare una ragazza in tempo di guerra. Da dove nasce questo sogno?
Sofia D’Elia:
Alla base c’è un motivo molto bello, se vogliamo. Prima di fare il provino io ho perso mio nonno. Lui ha vissuto la guerra quando era bambino e ha conosciuto dei ragazzini ebrei nascosti all’interno di un bunker. Io, ascoltando i suoi racconti, ho sempre detto, tra me e me, che avrei voluto interpretare un ruolo del genere per capire cosa abbia provato realmente. Quando io gli chiedevo di raccontarmi tutto, a un certo punto scoppiava a piangere e non voleva andare avanti. Quindi io non oso immaginare quali ricordi accompagnino queste persone. Quando ho fatto il provino ero sicura che non sarei stata presa, ma il giorno dopo mi hanno chiamato per dirmi che sarei stata Frank. Sono rimasta scioccata ed emozionata. Tanto che quando riguardo il film, e questa è la quarta volta che lo faccio, provo sempre un grande piacere perché rappresenta per me l’inizio di un sogno. Inoltre penso che l’aver interpretato una ragazzina in tempi molto duri ci possa essere d’insegnamento per ritrovare un nuovo sentimento di coesione tra di noi, senza per forza utilizzare dei mezzi di comunicazione che, a oggi, stanno rovinando i rapporti interpersonali. Per finire, per me è stato un onore interpretare questo ruolo non per aver aggiunto una nuova voce al mio curriculum, ma per aver scoperto qualche cosa di me stessa, un nuovo aspetto che mi porta verso la crescita e la maturità anche come artista. Perché è questo che voglio essere nella mia vita, e credo proprio che farò di tutto per riuscirci. D’altronde se Mario Capecchi c’è l’ha fatta, possiamo riuscirci anche noi.”

Hill of Vision, una scena del film
Hill of Vision, una scena del film di Roberto Faenza

Questo vuol dire che, rispetto ad una generazione che interpreta il racconto di guerra solo in modo bidimensionale, ossia attraverso i libri di scuola, hai la consapevolezza della sua parte emotiva e personale?
Sofia D’Elia:
Credo che quest’abitudine sia assolutamente sbagliata. Quando andiamo a scuola, prima d’imparare una data, che sia il 1939 o il 1945, bisogna capire cosa è successo e che tipo di differenza abbiamo con quell’epoca. Io penso che ora non c’è una guerra come quella del passato con il fascismo e le diverse correnti politiche in opposizione. Abbiamo, però, una guerra tra noi. Quando usiamo questa parola, infatti, non la dobbiamo affiancare solo ed esclusivamente a uno scenario bellico ma anche alla discriminazione all’interno dei rapporti umani, al sabotaggio che applichiamo pur di riuscirci. Ecco, io credo che sia una guerra allo stesso modo. Poi, ovviamente, abbiamo il conflitto tra Russia e Ucraina in questo momento.

Aver interpretare questi ragazzi protagonisti di un conflitto passato vi aiuta capire effettivamente cosa sta succedendo oggi? Le immagini che voi vedete al telegiornale hanno un senso diverso?
Lorenzo Ciamei:
Guarda, questa domanda è particolare perché proprio qualche giorno fa, vedendo il telegiornale, ho visto le immagini di questi ragazzini in arrivo dall’Ucraina in cerca di salvezza e mi è venuta immediatamente in mente una scena del film. Precisamente mi riferisco a quella in cui noi rubiamo da una bancarella dei soldi per sopravvivere, e mi ha fatto al tempo stesso tenerezza e tristezza il pensiero che questi ragazzini possano essere costretti a fare questo per sopravvivere.

Hill of Vision, Jake Donald-Crookes in una scena del film
Hill of Vision, Jake Donald-Crookes in una scena del film di Roberto Faenza

Sul set Roberto Faenza come vi ha racconto la sua visione della guerra, che oltretutto è quella narrata in prima persona a lui da Mario Capecchi?
Sofia D’Elia:
Roberto è un maestro con la lettera maiuscola che ti insegna tanto. Chiaramente per poter affrontare certe scene, come quelle in cui dovevamo rubare o quando eravamo nell’orfanotrofio, ci ha dovuto spiegare ciò che accadeva effettivamente. Perciò noi siamo partiti dalla realtà per metterlo in scena. Chiaramente non è semplice considerare quello che è veramente successo e provare a pensare come immedesimarsi. Roberto, però, è una persona immensa, che se ti vede sbagliare qualche cosa te lo dice immediatamente. È diretto e non cerca modi alternativi per fartelo capire. E credo che questo sia stato un grande vantaggio per me come per tutti gli altri attori. D’altronde l’importante è essere chiari. Certo, poi ci ha spiegato cosa lui desiderava. D’altronde noi conosciamo la realtà ma in un film non sempre la si racconta per com’è. Si trova spesso un modo diverso, per colpire di più.
Lorenzo Ciamei: Anche io la penso come Sofia. Roberto, in effetti, è una persona molto precisa e chiara. Ti fa capire immediatamente quello che vuole e, grazie a questo, si riesce a mettere tutto in atto molto velocemente. C’erano molte scene da girare e abbiamo impiegato quasi tre mesi, un lasso di tempo che ci ha dato il tempo di curare in particolare la realizzazione artistica senza alcuna fretta.

Faenza ha parlato della solitudine che vivono i ragazzi della vostra generazione. Vi ritrovate in questa analisi?
Sofia D’Elia:
Quando parliamo di solitudine si apre un concetto molto importante, immenso. Ribadisco, però, che i mezzi di comunicazione, per chi non li sa utilizzare, hanno distrutto la socialità. Penso che ognuno di noi nell’adolescenza ha vissuto questi momenti. Io, oer esempio, a volte mi sento sola perché non tutti condividono le mie passioni e i miei punti di vista. Però riesco sempre a vedere i lati positivi e cerco un confronto. Certo, la solitudine, insieme ad altre situazioni come la pandemia e la guerra, ci ha un po’ distrutti. Però credo che, staccando qualche ora dai cellulari e dal computer, sia necessario tornare a parlare con le persone e a chiederci come stiamo l’un l’altro. Ecco, io sono convinta che in questo modo riusciamo a vincere la solitudine. Ricordiamoci, per finire, che Capecchi ha raggiunto i suoi scopi senza avere a disposizione questi famosi mezzi di comunicazione. Questo vuol dire che anche noi possiamo fare altrettanto. Dobbiamo apprendere molto dalla sua storia perché è di grande ispirazione.
Lorenzo Ciamei: Nel film si vede poca solitudine perché per la maggior parte del tempo Mario è accompagnato da altri ragazzi. Anzi, la mia critica è che se ne sarebbe dovuta vedere di più. Quando abbiamo conosciuto Capecchi, infatti, noi abbiamo avuto la possibilità di fargli varie domande, e lui ci ha raccontato di tanti momenti in cui si è sentito profondamente solo. Una condizione che nel film non è stata molto sviluppata: ma Mario l’ha vissuta. Quindi dobbiamo ricordarci che ha trascorso dei momenti orribili, e imparare a trarre forza dal suo istinto di sopravvivenza.

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Fin da bambina, ho sempre desiderato raccontare storie. Ed eccomi qui, dopo un po’ di tempo, a fare proprio quello che desideravo, narrando o reinterpretando il mondo immaginato da altri. Da quando ho iniziato a occuparmi di giornalismo, ho capito che la lieve profondità del cinema era il mio luogo naturale. E non poteva essere altrimenti, visto che, grazie a mia madre, sono cresciuta a pane, musical, suspense di Hitchcock, animazioni Disney e le galassie lontane lontane di Star Wars; e un ruolo importante l’ha avuto anche il romanticismo di Truffaut. Nel tempo sono diventata giornalista pubblicista; da Radio Incontro e il giornale locale La voce di Roma, passando per altri magazine cinematografici come Movieplayer e il blog al femminile Smackonline, ho capito che ciò che conta è avere una struggente passione per questo lavoro. D’altronde, viste le difficoltà e le frustrazioni che spesso s’incontrano, serve un grande amore per continuare.

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