BILLY WILDER: SUL VIALE DEL GRANDE CINEMA
Il 22 giugno del 1906 – in una piccola città dell’allora impero austroungarico – nasceva Billy Wilder, destinato a diventare uno dei più influenti registi del cinema classico hollywoodiano. Oggi, in occasione di quello che sarebbe stato il suo compleanno, lo ricordiamo proponendo una lista di alcuni dei suoi film più importanti; quelli che – tra i tanti che la sua gigantesca filmografia ha da offrire – hanno determinato la sua immortalità nella storia del cinema.
Grandi occhiali quadrati, un inglese dall’accento marcato, e un rinomatissimo senso dell’umorismo: è quello che salta subito in mente quando si pensa al regista austriaco Billy Wilder. Con l’insorgere del regime nazista – che portò allo sterminio di molti dei suoi familiari nei campi di concentramento – Wilder fugge a Parigi prima e negli Stati Uniti poi; ed è a Hollywood che troverà la sua fortuna. Infatti, negli anni riuscirà ad affermarsi come uno degli sceneggiatori e registi più apprezzati e richiesti.
Ancor prima della sua bravura dietro la macchina da presa è importante sottolineare la sua straordinaria capacità di scrittura: nel corso della sua carriera, il regista si destreggia in modo brillante tra i più svariati generi cinematografici, passando dal dramma alla commedia con una facilità impressionante.
I suoi film non fanno mai soltanto ridere. Wilder va sempre oltre, sfruttando l’elemento comico per far sì che lo spettatore possa fare qualcosa di ancora più importante: pensare, riflettere.
Stalag 17 (1953)
Basato su un’opera teatrale, Stalag 17 è un intenso film di guerra che ha al suo centro un gruppo di prigionieri statunitensi rinchiusi in un campo tedesco. In seguito all’assassinio di due uomini, uccisi mentre cercavano di fuggire, viene scoperta la presenza di una spia, il cui obiettivo è quello di passare informazioni ai nazisti. Immediatamente la colpa ricade su Sefton, il prigioniero interpretato da William Holden.
Sicuramente uno degli interpreti preferiti del regista, Holden lavora con Wilder per un totale di quattro film. Oltre a Stalag 17, abbiamo Sabrina (1954) – la deliziosa commedia romantica con Audrey Hepburn e Humphrey Bogart – Viale del Tramonto (1950), e Fedora (1978).
Nonostante si tratti di un film corale, a spiccare è proprio William Holden, che grazie alla sua interpretazione vince nel 1954 l’Oscar come miglior attore protagonista. Sicuro di sé e divertente, intelligente e scaltro: Sefton ha il compito di dimostrare la sua innocenza e trovare il vero colpevole. Col carisma tipico dei divi d’altri tempi, l’attore è magnetico in ogni scena, e catalizza su di sé l’attenzione dello spettatore.
Stalag 17 è un film di guerra che ne racconta il dramma facendo ridere chi guarda, provando che Billy Wilder è un maestro del suo mestiere.
Viale del tramonto (1950)
Per Viale del tramonto il regista riporta in scena Gloria Swanson, una delle più grandi protagoniste del cinema muto. Il film è un’opera meta-cinematografica, che punta i riflettori sulla sua stessa industria, evidenziandone falle e contraddizioni.
La storia ruota attorno a Norma Desmond, una diva caduta in disgrazia che vive reclusa nella sua villa; sola e dimenticata da tutti. L’avvento del sonoro ha cancellato dal panorama cinematografico i protagonisti del passato: l’industria hollywoodiana non trae più alcun vantaggio nell’assumere i grandi attori di una volta, incapaci di adattarsi al cambiamento e – di conseguenza – privi ora di qualsiasi valore.
La storia di Norma si intreccia con quella di Joe Gillis (William Holden), uno sceneggiatore squattrinato che vede in lei la possibilità di fare carriera. Ingaggiato per scrivere un copione con la promessa di renderla protagonista, Joe scopre una Norma gelosa e paranoica, ossessionata da se stessa e dalla sua immagine. Scena dopo scena, la loro relazione diventa sempre più inquietante; e Joe non sembra destinato a liberarsene.
Il film esce nel 1950: è un’epoca caratterizzata da grandi studios cinematografici, che controllano l’intero processo produttivo di un film, e da registi e sceneggiatori alle loro dipendenze, che godono di una libertà creativa alquanto minima. Eppure, Wilder riesce nell’impresa e porta sul grande schermo un film che – senza alcuna pietà e in modo assolutamente diretto – racconta l’ipocrisia di un’intera industria: dietro il glamour della sua facciata, Hollywood nasconde una realtà spietata e violenta.
Viale del tramonto è un noir volutamente grottesco e sopra le righe, ed è per questo in grado di offrire uno dei ritratti più autentici del dietro le quinte del mondo del cinema. Memorabile.
Testimone d’accusa (1957)
Basato sul romanzo di Agatha Christie, Testimone d’accusa è un dramma giudiziario efficace e incalzante, che tiene incollati allo schermo per tutta la durata del film.
Al centro della vicenda troviamo tre personaggi: un uomo accusato di aver ucciso una ricca signora, la moglie che gli fornisce l’alibi, e l’avvocato a cui è affidata la difesa, interpretati rispettivamente da Tyrone Power, Marlene Dietrich e Charles Laughton.
Forse tra i meno citati di Wilder, Testimone d’accusa è uno dei film migliori del genere cinematografico di cui fa parte, costituendo una dignitosissima trasposizione cinematografica del libro su cui si basa: niente è come sembra; la parola di nessuno è pienamente attendibile. Scena dopo scena, il processo va avanti tra personaggi grigi e colpi di scena continui, che rendono impossibile distogliere l’attenzione e culminano in un finale inaspettato.
Una sola cosa è certa: mai abbassare la guardia.
L’appartamento (1960)
L’appartamento è il film che ha portato al regista austriaco il più alto numero di riconoscimenti della sua carriera, ricevendo dieci nomination agli Oscar del 1961 e aggiudicandosi la statuetta come miglior sceneggiatura originale, miglior regia e miglior film.
Jack Lemmon e Shirley MacLaine sono C.C. Baxter e Fran Kubelik, due impiegati della stessa compagnia di assicurazioni: contabile lui, ascensorista lei. Baxter è piuttosto famoso tra i suoi colleghi: in cambio di aumenti e promozioni, spesso lascia libero il suo appartamento, permettendo loro – uomini sposati e “rispettabili” – di passare qualche ora insieme alle rispettive amanti. Questo circolo vizioso rischia di essere compromesso nel momento in cui Fran Kubelik, la ragazza dei suoi sogni, si scopre amante del capo dell’azienda.
L’appartamento è una commedia romantica e malinconica, che mette in scena personaggi imperfetti ma realistici, ai quali è impossibile non affezionarsi. Jack Lemmon e Shirley MacLaine – che torneranno a recitare insieme in un altro film del regista: Irma la dolce (1963) – sono irresistibili. La loro è una dolcissima storia d’amore, che si scontra con le ingiustizie della vita di tutti i giorni.
Attraverso questo film, il regista racconta una società fondata su un’immagine di facciata che – contrariamente al finto perbenismo che mette in scena – si dimostra totalmente priva di valori. L’inquadratura del riflesso di Baxter sullo specchio rotto di Fran – iconica oltre che bellissima – è emblematica in tal senso.
La visione di Wilder, però, è tutt’altro che cinica: L’appartamento regala ai due protagonisti un meraviglioso lieto fine e ai suoi spettatori un confortevole senso di speranza, ricordandoci che – nonostante tutto – non è mai sbagliato credere nel bene.
A qualcuno piace caldo (1959)
È il 1929: due musicisti poveri e disillusi sfruttano ogni conoscenza possibile per ottenere ingaggi di lavoro. Dopo aver involontariamente assistito alla strage di San Valentino per mano di alcuni gangster, i due decidono di unirsi a una band in partenza per la Florida nella speranza di sfuggire ai criminali che li stanno inseguendo. Il gruppo in questione, però, ha una caratteristica particolare a cui i due dovranno adeguarsi: sono una band al femminile. Joe e Jerry, quindi, diventano Josephine e Geraldine, vestendosi, parlando e comportandosi da donna.
A qualcuno piace caldo è una commedia spassosa e intelligente. Jack Lemmon e Tony Curtis funzionano perfettamente nelle loro controparti femminili, dimostrando una chimica scoppiettante e dando prova del loro magnetico talento comico. Marilyn Monroe – qui in uno dei suoi ruoli più famosi – è incantevole.
Nel 1959, anno di uscita del film, il codice Hays è ancora in funzione. Pensato dall’industria cinematografica hollywoodiana per controllare il contenuto dei film messi in commercio, il codice Hays costituisce un vero e proprio manuale di condotta, vietando tematiche come divorzio, adulterio, omosessualità, sesso, alcolismo, violenza e tanti altri. L’obiettivo è quello di preservare il pudore e la coscienza dei suoi spettatori. Nonostante ciò, Billy Wilder scrive un film che parla di attrazione sessuale e sensualità; gioca col cross-dressing e contenuti omoerotici; e sceglie un finale provocatorio e indimenticabile, che con un intelligente escamotage normalizza una relazione omosessuale.
“Nessuno è perfetto”, dice Jack Lemmon a fine film; A qualcuno piace caldo lo è.
Il cinema deve moltissimo a Billy Wilder: commedie romantiche dinamiche e divertenti; un umorismo tagliente e mai banale; sceneggiature brillanti e personaggi iconici; il primo film del duo Jack Lemmon/Walter Matthau, che dopo Non per soldi… ma per denaro (1966) lavorarono insieme in altri sette progetti, divenendo inseparabili sul set e nella vita reale; uno dei primi noir della storia del cinema (La fiamma del peccato) e uno dei pochissimi film in grado di criticare la macchina hollywoodiana in modo assolutamente spietato. Sfruttando una comicità intelligente e mai volgare, Wilder ha saputo osservare la società dell’epoca e raccontarla, realizzando film senza tempo che – oggi come ieri – riescono a farci ridere, riflettere ed emozionare.