VERA
Presentato nella sezione Orizzonti della 79a Mostra del Cinema di Venezia, Vera è un oggetto cinematografico atipico e affascinante, attraverso il quale i registi Tizza Covi e Rainer Frimmel rendono omaggio a una figlia d’arte dall’insolito e irresistibile portamento.
Irriducibile Vera
Tra le sorprese più stimolanti di questa 79a Mostra del Cinema di Venezia c’è stato senz’altro, nella sezione Orizzonti, questo Vera, interessante oggetto cinematografico che si colloca da qualche parte tra il mockumentary e il biopic. Un film, quello diretto dall’italiana trapiantata in Austria Tizza Covi e dal suo partner produttivo e artistico Rainer Frimmel, incentrato su una figura poco nota ai più, una figlia d’arte che finora non ha praticamente mai fatto parlare di sé, almeno non in ambito mainstream. Parliamo di Vera Gemma, figlia dell’icona del cinema italiano Giuliano, una bellezza poco convenzionale (“il mio modello sono i trans”, confessa candidamente a inizio film) e una singolare mistura di portamento da star e irruento spirito naif. Quella di Covi e Frimmel è un’opera strana e atipica, un esempio di cinéma vérité bagnato nella finzione (in molti sensi); il tentativo di illuminare un personaggio decentrato, concedendogli finalmente una ribalta che al contempo ne ribadisce l’inevitabile tangenzialità. Un percorso circolare, quello di Vera, che parte dalla notte e lì torna, attraversando una singolare – ed emblematica – storia d’“amore” e d’amicizia; una storia che non fatichiamo a credere, se non vera, senz’altro verosimile.
Uno strano incontro
Lo stile documentaristico del film di Covi e Frimmel, fatto di camera a mano, fotografia naturalistica e di una regia sostanzialmente invisibile, punta a rendere in modo ottimale tanto il personaggio quanto il contesto, quello di una romanità equamente divisa tra centro e periferia, tra lusso decaduto e proletariato “coatto” che parla il linguaggio (verbale e fisico) della strada. Due facce di una stessa medaglia/città, che per una volta vengono rappresentate entrambe senza stereotipi, facendo parlare senza mediazioni i volti e i corpi dei loro esponenti; figli, da ambo le parti, di un’umanità curiosa, che si studiano, si annusano, qualche volta scontrandosi, altre volte piacendosi. È proprio quest’ultimo il caso di Vera e Daniel, incontratisi in una situazione di alta tensione, quando l’anziano autista della donna investe casualmente il figlio di lui, provocandogli una frattura a un braccio. Nonostante l’ostilità da subito mostrata da Daniel nei confronti dell’autista – con tanto di minacce di ritorsioni fisiche – tra lui e Vera si crea subito una strana simpatia, trainata dal sincero affetto che la donna mostra subito verso il piccolo Manuel, il figlio dell’uomo. Ma i mondi dei due si riveleranno presto difficili da conciliare.
Fuori e dentro
All’interno di una manifestazione improntata al glamour come quella veneziana – almeno nelle sue sezioni principali – un film come Vera si configura come un (positivo) corpo estraneo, un lavoro che sfugge alle classificazioni e si fa guidare soprattutto dalla sua irruenta e debordante protagonista. Malgrado il carattere evidentemente ragionato del soggetto (e una scrittura tutt’altro che assente, come diventerà evidente nel corso della storia) non è difficile pensare che i due registi abbiano dato ampio spazio d’improvvisazione alla protagonista, inevitabile quando il soggetto rappresentato si confonde con quello che lo interpreta. Vera è sempre, contemporaneamente, fuori e dentro, nella sua incapacità di rinunciare al lusso – negli abiti, nel look, nella stessa presenza dell’autista – e nella sua inadeguatezza nel vestirlo (nel senso più ampio), in un personaggio tanto pensato e (inconsciamente?) costruito quanto spontaneo e immediato, nel contrasto tra uno status alto borghese mai negato e il suo immergersi – fisico e non solo metaforico – nelle realtà più sofferenti della periferia. Una contraddizione che si ripercuote anche sulla voglia di emergere (come donna e non come figlia d’arte) contrapposta al sostanziale agio di una posizione decentrata e fuori dal raggio dei riflettori.
Vera, anzi autentica
Iniziato come mockumentary e trasformatosi presto in una sorta di fiaba metropolitana, Vera riflette sullo show business attraverso una figura che l’ha attraversato (o forse ne è stata attraversata) da una posizione insolita e decentrata; e lo fa raccontando di un’irriducibilità alle regole dello spettacolo – derivata da un carattere e da un portamento troppo peculiari – che diventa qui produttivo e a tratti irresistibile oggetto di rappresentazione. In una cultura pop in cui anche la figura dell’outsider è diventata oggetto di rigida codifica, fa piacere trovare ogni tanto un autentico alieno (o aliena) capace di stupire a ogni svolta di trama; di passare dalle inquietudini di un dialogo davanti a una tomba quasi anonima – con l’amica Asia Argento a fare da parallelo e inavvicinabile referente – al liberatorio canto di uno stornello romano, dalla tangibile delusione per un universo maschile che non fa che sfruttarla (praticamente in tutti gli esponenti che incontra) a un ottimismo dipinto sul volto che resiste anche con un piede – e forse qualcosa di più – nel baratro. Una finzione “più vera del vero” (perdonateci la ridondanza), disarmante nella sua capacità di parlare il linguaggio del pubblico, con un’autenticità che non possiamo che definire rara.
Scheda
Titolo originale: Vera
Regia: Tizza Covi, Rainer Frimmel
Paese/anno: Austria / 2022
Durata: 115’
Genere: Commedia, Drammatico
Cast: Asia Argento, Alessandra Di Sanzo, Annamaria Ciancamerla, Daniel De Palma, Gennaro Lillo, Giuliana Gemma, Gustav Hofer, Luca Ragazzi, Sebastian Dascalu, Vera Gemma, Walter Saabel
Sceneggiatura: Tizza Covi
Fotografia: Rainer Frimmel
Montaggio: Tizza Covi
Produttore: Tizza Covi, Rainer Frimmel
Casa di Produzione: Vento Film
Distribuzione: Wanted Cinema
Data di uscita: 23/03/2023