DAHMER – MOSTRO: LA STORIA DI JEFFREY DAHMER
Creata da Ian Brennan, Ryan Murphy
Evan Peters è l’inquietante protagonista di Dahmer - Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer, il nuovo prodotto Netflix ideato da Ryan Murphy. Focalizzandosi su un noto serial killer americano, la serie costruisce per ogni episodio un’atmosfera macabra e violenta. Se da un lato denuncia con efficacia il razzismo della società dell’epoca, dall’altro risulta eccessivamente prolissa, e fa fatica a tenere alta l’attenzione dello spettatore.
Un mostro a ruota libera
Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è l’ultimo prodotto Netflix ideato da Ryan Murphy e Ian Brennan, la cui collaborazione ha già portato alla luce Glee, The Politician e Scream Queens. Attraverso dieci episodi da un’ora, la miniserie racconta storia e vicissitudini di uno dei più famosi serial killer americani: Jeffrey Dahmer, che – complice una generale inadempienza della polizia, indifferente nei confronti di ripetute denunce e segnali – ha agito indisturbato per anni, uccidendo 17 persone tra il 1978 e il 1991.
Curiosità a freno
È una sera come le altre a Milwaukee, Wisconsin. Nel suo soggiorno Glinda Cleveland ascolta con sospetto alcuni rumori provenienti dall’appartamento di un altro inquilino. Uscito dal condominio, Jeffrey Dahmer adesca un giovane ragazzo in un bar, promettendogli del denaro qualora posasse nudo per alcune fotografie. Tornati nell’appartamento del killer, il ragazzo è subito colpito dal cattivo odore. Da qui in poi, la situazione degenera rapidamente, risultando in una colluttazione fisica che permette alla vittima di fuggire. Poco dopo Dahmer è in manette in una centrale di polizia, pronto a confessare ogni cosa. Questa è la premessa della serie.
Mostrare fin da subito quello che dovrebbe fungere da climax dell’intera vicenda è una scelta coraggiosa ma discutibile. Al primo episodio va il merito di indirizzare l’attenzione dello spettatore verso elementi che si riveleranno fondamentali nelle puntate successive: capiamo che Dahmer è omosessuale, che polizia e razzismo avranno un ruolo di primaria importanza, che denunce e richiami della sua vicina sono stati costantemente ignorati, e che il cattivo odore è sintomo di alcuni dei risvolti più macabri del suo modus operandi. Tuttavia, nel pilot viene anche mostrata la cattura definitiva di Dahmer. È una scelta narrativa che scivola nell’anticlimax e frena la curiosità dello spettatore, che ha altri nove episodi da guardare ma conosce già la conclusione del percorso omicida del serial killer.
La trappola dell’empatia
Puntata dopo puntata, scopriamo la storia di Dahmer. Il tuffo nel passato del Jeffrey bambino e adolescente è un’arma a doppio taglio. Da un lato – come ci ha insegnato David Fincher col suo Mindhunter – conoscere il contesto è fondamentale per comprendere la psicologia di un omicida seriale e ciò che l’ha reso tale. Nel caso di Jeffrey Dahmer ci viene raccontato un nucleo familiare fortemente instabile, formato da un padre assente e da una madre depressa e con tendenze suicide. A questo si aggiungono il bullismo subito, un inquietante interesse verso la dissezione degli animali – interesse incoraggiato dal padre – la repressione della propria omosessualità, la dipendenza da alcool e una generale incapacità di adattarsi alle regole della società che lo circonda. Dall’altro, però, contestualizzare significa anche aiutare a capire, avvicinando lo spettatore al personaggio. La linea che separa comprensione e giustificazione è dunque sottilissima, e in questi prodotti il rischio è sempre quello di romanticizzare la figura raccontata.
Con Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer Murphy si spinge fino al limite di quel confine. La lunghezza della serie sicuramente non aiuta: dieci episodi da un’ora sono tantissimi. La sensazione è che dedicare così tanto spazio a Jeffrey Dahmer sia in qualche modo eccessivo: non parliamo di un personaggio inventato, frutto della mente e creatività di sceneggiatori. Dahmer è una persona reale, che ha torturato e ucciso persone reali, sconvolgendo le vite di vere famiglie. Al contrario, lo screen time riservato alle vittime è davvero minimo: la maggior parte di loro appare e scompare nel giro di pochi minuti; giusto il tempo di essere adescate e uccise. Solo in pochi casi i giovani ragazzi vengono inseriti all’interno di un altro contesto, magari familiare o lavorativo. A fronte di tutto ciò, viene da chiedersi se fosse davvero necessario riservare dieci ore alla storia dell’uomo che li ha uccisi.
Il cuore della serie
La seconda metà della serie, però, aiuta Murphy a spingere l’ago della bilancia verso la direzione opposta; ed è proprio in queste puntate che Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer diventa realmente incisiva. Pian piano, una parte dell’attenzione si sposta dal carnefice ai complici passivi dei suoi crimini: un padre e una nonna indifferenti ai segnali e – soprattutto – poliziotti inadempienti. A partire dal quinto episodio la serie comincia a porre delle domande scomode: come ha fatto Dahmer a cavarsela per tutto quel tempo senza essere scoperto? Perché persone scomparivano e nessuno sembrava accorgersene? Perché testimoni denunciavano senza essere ascoltati?
Le risposte che ci vengono date sono agghiaccianti. Murphy fa luce su un sistema profondamente razzista e omofobo, volutamente disinteressato verso la scomparsa di ragazzi non bianchi e omosessuali; un sistema che non ascolta la voce di persone nere e che ancora una volta dà prova del fatto che le minoranze non hanno importanza. “Per ogni storia ci sono due versioni”, dice il poliziotto a un ragazzo nero che ha appena denunciato Dahmer per tentato omicidio. Tuttavia, la versione a cui credere è sempre quella di un uomo bianco.
Il gusto del macabro
L’interpretazione di Evan Peters aiuta chi guarda a prendere una posizione netta contro Jeffrey Dahmer. L’attore non concede nessun fronzolo carismatico al serial killer che interpreta, facendo invece trasparire gli elementi più disturbanti e repellenti. Inquietante in ogni sguardo e manierismo, Peters è irriconoscibile nel ruolo. Il risultato finale è uno soltanto: lo spettatore non può che esserne disgustato.
È proprio con l’elemento del macabro che la serie gioca benissimo. Nel tentativo di riflettere le caratteristiche principali del modus operandi del serial killer – cannibalismo, smembramento, necrofilia – ogni episodio è volutamente pervaso da un’aura quasi nauseante. I momenti più violenti hanno luogo in ambienti chiusi; e il carnefice vive in un costante stato di isolamento fisico ed emotivo. Da questo deriva una palpabile sensazione di sporcizia e claustrofobia, che rende quasi impossibile il binge watching.
Serie a confronto: Mindhunter vs. Dahmer
Quando parliamo di true-crime è inevitabile che si arrivi al confronto con Mindhunter, la serie Netflix inspiegabilmente ferma alla seconda stagione nonché uno dei migliori prodotti del genere. La serie di David Fincher si concentra su tre agenti dell’FBI che negli anni ‘70 cominciano per la prima volta a elaborare il concetto di serial killer. Intervistandone alcuni famosissimi – tra cui Edmund Kemper, Son of Sam e Charles Manson – i tre agenti mettono a punto nuovi sistemi di profilazione e indagine, che li aiuteranno a catturare i serial killer ancora in circolazione.
Il confronto con Mindhunter porta alla luce una grande carenza della serie di Ryan Murphy. Seppur scritta bene e recitata benissimo, in Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer l’uso della suspense è fin troppo limitato. Pur assistendo a molte scene di violenza e a frequenti interrogatori, inseriti di tanto in tanto per spiegare la psicologia di Dahmer, nella serie manca l’elemento avvincente; quell’elemento tipico del thriller che tiene chi guarda incollato allo schermo. Invece, David Fincher – forse inarrivabile quando parliamo di questo genere cinematografico – fa della tensione il punto cardine del suo prodotto. Il regista non ha bisogno di scene splatter o particolarmente violente per costruire la suspense. Al contrario, grazie a una sceneggiatura brillante e a un ottimo montaggio, anche interrogatori lunghissimi riescono a catalizzare completamente l’attenzione dello spettatore, che divora le puntate sempre col fiato sospeso.
Murphy e Brennan dedicano dieci episodi a un unico serial killer, del quale conosciamo biografia, modus operandi e impulsi dopo pochi episodi. Di conseguenza, nonostante l’innegabile qualità del prodotto, la bravura dei suoi interpreti e l’intelligente critica alla società americana che offre, Dahmer – Mostro: La storia di Jeffrey Dahmer è un thriller che non appassiona.
Scheda
Titolo originale: Dahmer – Monster: The Jeffrey Dahmer Story
Creata da: Ian Brennan, Ryan Murphy
Regia: Gregg Araki, Carl Franklin, Jennifer Lynch, Paris Barclay, Janet Mock, Clement Virgo
Paese/anno: Stati Uniti / 2022
Genere: Drammatico, Thriller, Biografico
Cast: Richard Jenkins, Evan Peters, Michael Beach, Molly Ringwald, Niecy Nash, Penelope Ann Miller, Shaun J. Brown, Brayden Maniago, Colby French, DaShawn Barnes, David Barrera, Dyllon Burnside, Karen Malina White, Khetphet Phagnasay, Kieran Tamondong, Matthew Alan, Michael Learned, Phet Mahathongdy, Rodney Burford, Scott Paophavihanh
Sceneggiatura: Ryan Murphy, Ian Brennan, David McMillan, Janet Mock, Reilly Smith
Fotografia: Jason McCormick, John T. Connor
Montaggio: Curtis Thurber, Stephanie Filo, Regis Kimble, Taylor Mason
Musiche: Nick Cave, Warren Ellis
Produttore: Ian Brennan, Ryan Murphy, Mathew Hart, Regis Kimble, Reilly Smith
Casa di Produzione: Ryan Murphy Productions
Distribuzione: Netflix
Data di uscita: 21/09/2022