EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE
Secondo film del duo dei Daniels, Everything Everywhere All at Once è già un’opera di culto, un oggetto ibrido e a tratti irresistibile, sospeso tra la contaminazione di linguaggi di molto blockbuster moderno e un’anima indie e anarchica. Con una parata di star dei decenni passati (Michelle Yeoh, Jamie Lee Curtis, Ke Huy Quan e James Hong) ma senza cedere al citazionismo fine a se stesso.
L’anarchia del multiverso
Girato nel 2020 a ridosso del lockdown, e distribuito negli USA con successo la scorsa primavera, Everything Everywhere All at Once arriva in Italia dopo essersi già conquistato un vasto seguito di estimatori, configurandosi come un vero e proprio instant cult. Iniziamo questa nostra recensione sottolineando che, nonostante le copie pirata già da mesi abbiano reso ampiamente visibile il film diretto dai Daniels (al secolo Daniel Kwan e Daniel Scheinert), la sua frastornante esperienza merita la sala cinematografica come luogo primo di fruizione. Discorso vecchio, ma in questo caso più che mai necessario, in quanto il film fa una ricerca sull’immagine – e sull’immaginario, principalmente quello cinefilo, sviluppatosi negli ultimi decenni, principalmente, al buio della sala – che, pur abbracciando il linguaggio televisivo, chiede una dimensione condivisa e collettiva per dispiegare al meglio la sua malìa. Anche in vista, perché no, di una successiva, spontanea discussione ed elaborazione, a seguire il ludico, “puro” piacere della visione. Perché il film dei Daniels, sotto la sua patina rutilante e la sua miscela pop di generi e atmosfere, ha un cuore autoriale e una sostanza meno scontata di quanto non possa apparire, appena celata dalla produzione dei fratelli Anthony e Joe Russo. Una sostanza che fa i conti (anche) con l’estetica da blockbuster targata Marvel, ma che la rimastica con un approccio indie e anarchico di indubbia freschezza.
La missione di Evelyn
Scandita in tre capitoli (letteralmente Everything, Everywhere e All at Once), la trama del film è incentrata sul personaggio di Evelyn Quan Wang, una donna cinoamericana che gestisce con suo marito Waymond una lavanderia a gettoni. Gli affari vanno male da anni, il negozio è sotto l’osservazione del fisco, e la coppia, da tempo in crisi, è sull’orlo del divorzio; in più, la figlia dei due, Joy, vorrebbe fare in modo che la famiglia accettasse davvero – e non solo a parole – la sua relazione con la fidanzata Becky.
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Durante un incontro con un’ispettrice fiscale, l’inflessibile Deirdre Beaubeirdre, Evelyn sperimenta un evento inspiegabile; d’un tratto, una versione alternativa di Waymond prende possesso del corpo di suo marito, rivelandole l’esistenza del multiverso e la presenza di molteplici versioni di una stessa persona, ognuna ad abitare un universo, generatesi a seconda delle scelte fatte nella vita. “Alpha Waymond” rivela alla donna che un’entità malvagia chiamata Jobu Tupaki minaccia di annientare il multiverso, con la sua ambizione di essere “tutto, ovunque e contemporaneamente”; la missione di Evelyn sarà quella di acquisire tutte le abilità dei suoi se alternativi – tra cui l’abilità nelle arti marziali – per fermare Jobu e salvare l’armonia del multiverso.
L’”altro” multiverso
Nonostante i Marvel Studios ci abbiano da tempo reso familiare il concetto di multiverso (coi film Spider-Man: No Way Home e Doctor Strange nel Multiverso della Follia, ma anche con la serie Loki) Everything Everyewhere All at Once getta uno sguardo divergente e originale su questo costrutto, puntando a un’anarchia visiva (e narrativa) che corre di pari passo col proliferare rizomatico degli universi. Laddove lo studio di Kevin Feige puntava a dare una forma strutturata al caos, allo scopo di renderlo narrativamente malleabile e accattivante, i Daniels ne abbracciano l’insensatezza, accettando la sfida di filmare (e raccontare) ciò che per sua natura non può essere racchiuso in una sequenza di inquadrature, o in un racconto strutturato. In un certo senso, quindi, Everything Everywhere All at Once è un’opera consapevole di essere destinata al fallimento, ma che nella sua ambizione punta al miglior fallimento possibile. E il film, probabilmente, riesce davvero a raggiungere questo scopo, frammentando la narrazione e ramificando i suoi spazi e tempi parallelamente alla divaricazione degli universi, sostituendo alla pura logica del salto spaziale quella del “verse-jumping” (che significa acquisizione delle capacità dei se alternativi, ma anche frammentazione dell’io), contaminando il suo linguaggio con l’animazione classica, la stop motion, e persino col disegno infantile. Un caos che il film attraversa con consapevolezza, ma che successivamente riconduce a una struttura (quasi) unitaria, riassunta dal suo ultimo, brevissimo capitolo.
Un film mutante
Quello dei Daniels è un film ibrido e “mutante” come la sua stessa protagonista (la star del cinema di Hong Kong Michelle Yeoh) che passa con disinvoltura dal fantasy alle arti marziali alla sci-fi, attraversando la commedia, il dramma romantico – che cita addirittura il cinema di Wong Kar-Wai in un suo esplicito passaggio – e (soprattutto) il melodramma familiare, vero e proprio nucleo della sua struttura. Senza fare nessuno spoiler – perché le trasformazioni di trama e personaggi meritano di essere scoperte autonomamente – diremo che il rapporto tra il personaggio di Evelyn e quello di sua figlia Joy è il vero centro tematico del film, e anche l’elemento che davvero unifica il caos (de)strutturato che i registi costruiscono. Un caos che, apprezzabilmente, non cede alla moda citazionista e nostalgica contemporanea, malgrado il cast sia infarcito di star del cinema dei decenni passati: alla protagonista si affiancano infatti Ke Huy Quan – già baby star de I Goonies e Indiana Jones e il tempio maledetto – nel ruolo di Raymond, James Hong – il malvagio Lo Pan di Grosso guaio a Chinatown – in quello del padre della protagonista, e Jamie Lee Curtis nei panni della crudelissima (o forse no) ispettrice del fisco Deirdre. La sfavillante patina pop del film non trasmette quasi mai l’idea di essere gioco fine a se stesso (anche se la dimensione del “gioco”, nel senso più alto del termine, è in realtà ben presente nel film) ma mantiene anzi al suo fondo un’anima indie e infantilmente anarchica, che a tratti avvicina il film ai lavori più riusciti di Michel Gondry. La ricomposizione del racconto nel segno di un concetto chiaro e leggibile – che impatta col nucleo familiare della protagonista, e con la sua stessa condizione sociale di famiglia immigrata – potrà forse lasciare delusi gli spettatori che si aspettavano una coerente prosecuzione sulla via del caos e del nonsense; mentre, d’altra parte, l’approccio smaccatamente autoriale e indie del film rischia di tener lontani quegli spettatori abituati a una forma di blockbuster (e anche di contaminazione di linguaggi) più standardizzata. In questa “terra di mezzo”, comunque, il film dei Daniels è già diventato di culto, e il suo seguito, ne siamo certi, crescerà ulteriormente. Segno che la scommessa dei registi, al di là di tutto, può dirsi senz’altro vinta.
Scheda
Titolo originale: Everything Everywhere All at Once
Regia: Daniel Scheinert, Dan Kwan
Paese/anno: Stati Uniti / 2022
Durata: 139’
Genere: Commedia, Avventura, Azione, Fantastico
Cast: James Hong, Jamie Lee Curtis, Anthony Molinari, Jenny Slate, Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan, Sunita Mani, Aaron Lazar, Andy Le, Audrey Wasilewski, Biff Wiff, Brian Banks, Brian Le, D.Y. Sao, Harry Shum Jr., Jonathan Ke Quan, Pablo Ramos, Peter Banifaz, Randy Newman, Tallie Medel
Sceneggiatura: Daniel Scheinert, Dan Kwan
Fotografia: Larkin Seiple
Montaggio: Paul Rogers
Musiche: Son Lux
Produttore: Joe Russo, Allison Rose Carter, Sarah Finn, Dan Kwan, Jon Read, Mike Larocca, Daniel Scheinert, Anthony Russo, Jonathan Wang
Casa di Produzione: IAC Films, A24, AGBO Production, Ley Line Entertainment, Hotdog Hands, Year of The Rat
Distribuzione: I Wonder Pictures
Data di uscita: 14/03/2023