GUILLERMO DEL TORO’S CABINET OF CURIOSITIES
Creata da Guillermo del Toro
Serie antologica in otto episodi, diretti da alcuni dei protagonisti noti e meno noti del fantastico odierno, Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities è un’affascinante raccolta di visioni e orrori assortiti, informata – pur nella varietà degli stili – della singolare concezione del genere del suo ideatore.
Casa di bambole stregata
Da qualche anno, sul piccolo schermo, la formula della serie antologica – contrassegnata da episodi slegati l’uno dall’altro – sembra aver ritrovato una certa fortuna. Ciò è vero, in particolare, per il genere fantastico, da sempre terreno d’elezione preferito per racconti audiovisivi dalla breve/media estensione, capaci di dispiegare su questa dimensione tutto il loro potenziale di tensione e/o meraviglia: su Netflix, in particolare, la formula ha contrassegnato la fortunatissima Black Mirror (acquisita dalla piattaforma a partire dalla terza stagione) e la quasi altrettanto popolare Love, Death & Robots (serie animata contrassegnata da episodi brevi – a volte brevissimi – tra la sci-fi, l’action e l’horror).
Questa attesa Guillermo del Toro’s Cabinet of Curiosities si va quindi a innestare su un terreno particolarmente fecondo (e attualmente ben recepito dal pubblico), contando sulla creazione e la supervisione di un cineasta dalla forte impronta personale. È proprio il regista de La forma dell’acqua – The Shape of Water e La fiera delle illusioni – Nightmare Alley ad accompagnare lo spettatore attraverso gli otto episodi, attraverso il metaforico filo conduttore della casa di bambole stregata. Un riferimento visivo forte che permette a Del Toro di presentare le sue storie con un approccio a metà tra l’Hitchcock della storica Alfred Hitchcock presenta e il Rod Serling dell’altrettanto indimenticata Ai confini della realtà, conferendo al tutto un approccio vintage che per una volta non guarda (solo) agli onnipresenti anni ‘80.
Nella varietà degli stili presentati dalle otto storie, firmate da alcuni protagonisti noti e meno noti del fantastico degli ultimi decenni (in ordine: Guillermo Navarro, Vincenzo Natali, David Prior, Ana Lily Amirpour, Keith Thomas, Catherine Hardwicke, Panos Cosmatos e Jennifer Kent), Cabinet of Curiosities mantiene una buona compattezza e coerenza di atmosfere, recuperando in generale un approccio essenziale e privo di sovrastrutture al genere fantastico; un approccio capace tanto di dare nuova linfa a storie concepite originariamente per il medium letterario (ci sono racconti scritti da autori come Henry Kuttner, Michael Shea, e persino H.P. Lovecraft) quanto di sfruttare al meglio soggetti elaborati ex novo. Su tutto, il gusto – favolistico e grandguignolesco in parti uguali – di un cineasta come Del Toro, la cui peculiare visione del genere (insieme “esplosiva” e intimista) informa di sé l’intera antologia.
Analizziamo dunque queste otto storie, una per una.
Lotto 36
Questo primo episodio, basato su una storia originale scritta da Del Toro, vede in regia un suo storico collaboratore, Guillermo Navarro (già direttore della fotografia per film come Hellboy e Il labirinto del fauno, per cui ricevette l’Oscar). Al centro della trama, ambientata poco dopo l’inizio della guerra in Iraq del 1991, troviamo un meschino redneck e rigattiere (col volto di Tim Blake Nelson), ex veterano di guerra, che acquista in un’asta un vecchio magazzino, appartenuto a un anziano da poco deceduto. Il nuovo proprietario, frugando tra gli oggetti contenuti nel box, trova una tavola per le sedute spiritiche e alcuni antichi libri; l’uomo pensa di rivendere questi oggetti, inconsapevole del loro potere malefico.
L’episodio, ambientato in pieno post-reaganismo, mette a confronto un avido “mostro” umano – forse diventato tale suo malgrado – con mostruosità ultraterrene (di chiara matrice lovecraftiana) ben più insidiose; lo fa mostrando l’ironico contrappasso sperimentato dal protagonista, inflessibile nel pretendere il rispetto del “patto” per gli oggetti da lui acquistati, quando si trova di fronte a creature che avevano stipulato un patto ben più antico coi vecchi proprietari. Questo Lotto 36 gioca efficacemente con l’alternanza buio/luce nei corridoi del vecchio complesso, tradendo in questo il curriculum del regista, portando poi la sua storia sul terreno di un horror “morale” (e ironicamente spietato) di buon impatto visivo.
I ratti del cimitero
A qualcuno (probabilmente non molti) il titolo e il tema di questo secondo segmento risulteranno vagamente familiari; Graveyard Rats fu infatti il titolo di un vecchio racconto horror scritto da Henry Kuttner nel 1936, già adattato (liberamente) nell’omonimo segmento del film Trilogia del terrore II (datato 1996), diretto da Dan Curtis. Questo nuovo adattamento, firmato da Vincenzo Natali, segue più fedelmente la trama del racconto originale, recuperandone l’ambientazione nella città di Salem; al centro della storia c’è il personaggio di Masson, guardiano cimiteriale che arrotonda le sue entrate sottraendo ai cadaveri i beni con cui vengono sepolti. L’uomo, che è convinto che una colonia di ratti particolarmente aggressivi stia minacciando i suoi affari, sottraendo le salme con tutti i loro averi, intravede un grande guadagno quando un ricco politico viene sepolto nel suo cimitero; ma i suoi nemici roditori si riveleranno più veloci di lui.
In questo episodio, Natali recupera il gusto per la claustrofobia che ci aveva mostrato nel suo esordio Cube – Il cubo, spingendo anch’egli sul tema dell’avidità, e delineando un personaggio (interpretato da David Hewlett) quasi simpatico nella sua sgradevolezza sopra le righe; l’iniziale impronta da commedia grottesca – con qualche rimando al semidimenticato Ladri di cadaveri – Burke & Hare di John Landis – sconfina in un gustoso monster horror, con echi “poeiani” (nel tema della sepoltura prematura) ma soprattutto improntato a un divertito cinismo. 40 minuti scarsi di tensione e black humour, tra grottesche creature topoformi e qualche avido cadavere redivivo.
L’autopsia
In questo episodio, diretto da David Prior, la seroe sconfina nell’horror/sci-fi debitore (idealmente) al classico L’invasione degli ultracorpi. L’ispirazione, stavolta, è un racconto di Michael Shea, contenuto nella raccolta Polyphemus; al centro della trama c’è un anziano medico legale – interpretato da F. Murray Abraham – che viene incaricato di eseguire un’autopsia sui corpi di alcuni minatori deceduti in uno strano incidente sul lavoro. Il responsabile della strage sembra essere uno dei lavoratori, che avrebbe innescato un’esplosione attraverso un ordigno di cui, tuttavia, la polizia non è riuscita a rinvenire le tracce. Eseguendo l’autopsia, il medico scopre una verità sconcertante, legata alla presenza di quello che pare essere un letale parassita.
L’ambientazione nella provincia americana di questo L’autopsia fa da sfondo a una storia dolente, dai tratti quasi kinghiani, con protagonista un personaggio vicino al termine della sua vita, che sceglie di fronteggiare l’orrore faccia a faccia. Quella che sembra essere, dapprima, una storia di follia ben piantata negli umori di una piccola comunità, sconfina presto in un incubo di matrice fantascientifica, in cui il body horror – in alcune sequenze piuttosto esplicito – incontra la dimensione dello scontro psicologico tra l’anziano medico e la letale entità. La sceneggiatura dell’esperto David S. Goyer rende bene il personaggio del protagonista e quello del disincantato sceriffo che lo assume, trovando l’unico limite in una certa prevedibilità degli sviluppi (nonché dell’esito della vicenda).
L’apparenza
Basato anch’esso su una fonte esterna (qui un racconto breve della fumettista Emily Carroll) L’apparenza vede in regia Ana Lily Amirpour, cineasta britannica di origini iraniane, salita alla ribalta con l’horror del 2014 A Girl Walks Home Alone at Night. E sono, in effetti, tipicamente femminili sia l’ottica che le tematiche al centro di questa storia horror, sorta di versione virata in grottesco di Carrie – Lo sguardo di Satana ambientata nel mondo degli adulti. Protagonista della vicenda è Stacey, timida impiegata di banca insoddisfatta del suo aspetto, messa da parte dalle più avvenenti colleghe per il suo fare goffo e dimesso, e per la sua passione per la tassidermia. Quando la donna viene a conoscenza di una “miracolosa” crema che promette di far emergere “una nuova sé”, decide di dar fiducia allo spot televisivo che la pubblicizza; i risultati iniziali non sembrano incoraggianti, ma Stacey non demorde, convinta che la sua “guarigione” debba passare per un un periodo iniziale di sofferenza.
Calato in un’ambientazione natalizia che accentua il senso di solitudine della protagonista, L’apparenza sembra puntare il dito contro il mezzo televisivo, e contro un predominio dell’apparenza – e dell’edonismo – che gli conferisce un mood decisamente eigthies. D’altronde, l’ambientazione (non esplicitata) sembra rimandare decisamente a quel periodo, così come lo stile ricco di grandangoli e la fotografia con tonalità accese, a tratti volutamente kitsch. La requisitoria contro il mezzo televisivo – onnipresente, e tale da scandire tanto la vita familiare della protagonista quanto quella di suo marito – potrebbe apparire fuori tempo massimo, ma la sceneggiatura la porta avanti con gusto e la giusta dose di autoironia, non facendo mai scivolare nel patetismo la descrizione della diversità della protagonista. Il ragionamento non propriamente nuovo su apparenza e sostanza, e sullo spietato, competitivo ambiente di lavoro della donna, si affianca a un gradevole cinismo, e a un’ultima parte caricata di una deliziosa amoralità virata al gore. Certamente tra gli episodi più riusciti dell’intera serie, e più coerenti col suo progetto.
Il modello di Pickman
Questo quinto segmento, diretto da Keith Thomas (al suo attivo l’horror The Vigil e il recente adattamento da Stephen King Firestarter) è uno dei due di Cabinet of Curiosities a ispirarsi a un racconto di H.P. Lovecraft. Al centro della trama, che segue l’ambientazione di inizio ‘900 del racconto, c’è il giovane pittore Will Thurber, che durante la frequentazione della sua scuola d’arte alla Miskatonic University conosce l’inquietante Richard Upton Pickman, artista straordinariamente dotato che sembra avere una predilezione per i soggetti macabri e fantastici. Quando fa visita alla casa di Pickman, e vede alcune delle sue vecchie opere, Will capisce che forse i soggetti ritratti dal pittore non sono interamente frutto di fantasia.
Adattamento libero del racconto originale lovecraftiano, questo Il modello di Pickman risulta essere tra gli episodi, di fatto, più deboli dell’intera serie, con una progressione piuttosto prevedibile e una resa visiva molto lontana dagli orrori descritti dallo scrittore di Providence. Risaputo nel suo discorso sulla creazione artistica (e sulla sua pericolosità) l’episodio soffre di un’ellissi temporale un po’ pretestuosa (a metà della sua durata) non riuscendo a descrivere al meglio il rapporto di fascinazione – parallela alla repulsione – che lega il giovane protagonista all’apparentemente immortale Pickman; al di là dell’apparizione di una creatura smaccatamente grottesca, nella parte finale, l’episodio ha tra i suoi pochi pregi la buona interpretazione di Crispin Glover, un Pickman obliquo ed efficacemente disturbante.
I sogni nella casa stregata
Il sesto episodio della serie, diretto da Catherine Hardwicke, è il secondo a ispirarsi a un racconto di H.P. Lovecraft. Anche in questo caso si tratta di un’ispirazione piuttosto libera: intorno al tema originale del racconto, legato alla strega Kezia Mason, la sceneggiatura costruisce infatti la storia di un lutto familiare, che vede protagonista il personaggio di Walter Gilman interpretato da Rupert Grint (il Ron della saga di Harry Potter). L’uomo, non ancora ripresosi dalla morte della sorella gemella Epperley, avvenuta quando i due erano bambini, cerca disperatamente un modo per mettersi in contatto con l’aldilà e dare pace all’anima della ragazzina, che al momento della morte aveva visto sparire in un’oscura foresta. Le ricerche di Walter lo portano a un misterioso liquido, che permette a chi lo assume di entrare direttamente nel regno dei morti; determinato a riportare indietro Epperley, Walter tuttavia non si avvede che il fantasma di un’antica strega, accompagnata dal suo oscuro famiglio, preme a sua volta per tornare nel nostro mondo.
Il fascino gotico di questo episodio, accentuato dall’ottima fotografia, si accompagna a una buona tenuta narrativa fino a circa metà della sua durata; successivamente, quando il protagonista si trasferisce in quella che fu l’antica casa della strega (seguendo quanto narrato nel racconto originale) la messa in scena si fa tuttavia troppo esplicita, e l’originale senso di inquietudine viene sostituito a tratti da un grottesco non sempre giustificato. Se la descrizione del personaggio della ragazzina – anima tormentata, richiamata a forza nel mondo dei vivi – risulta essere abbastanza efficace, la regista non riesce a donare la dovuta inquietudine alla figura della strega (anche a causa di un digitale un po’ cheap), accompagnata da un topo-famiglio la cui resa resta poco in linea con l’atmosfera dell’episodio. L’ultima parte della storia pasticcia un po’ con la logica e la coerenza, sciupando in parte il buon potenziale della storia, e la valida intuizione di legare il soggetto lovecraftiano alla più classica delle ghost story.
La visita
Questa puntata, diretta da Panos Cosmatos (figlio del compianto regista italo-greco George Pan) è probabilmente quella visivamente più attraente dell’intera serie. Ne è protagonista il solitario milionario Lionel Lassiter (interpretato da Peter Weller, l’indimenticato RoboCop del film originale di Paul Verhoeven), che invita nella sua tenuta quattro personaggi per mostrar loro un prodigio: i quattro sono il musicista di successo Guy Landon, la scienziata Charlotte Xie, l’autore di bestseller Guy Landon e l’esperto di spiritismo Targ Reinhardt. Dopo aver fatto assumere ai quattro delle droghe, l’ospite li conduce una stanza segreta, dov’è contenuto un misterioso artefatto proveniente dallo spazio.
Partendo da una trama che mostra qualche reminiscenza del classico L’incubo di Hill House – nel motivo di un gruppo di personaggi diversi invitati a testimoniare un fenomeno straordinario – questo La visita fa mostra di un’accattivante fotografia, con una predominante arancione a illuminare interni da futurismo vintage; un’estetica molto in linea con lo stile pop in voga nel periodo in cui l’episodio è ambientato (siamo nel 1979). L’iniziale, algida atmosfera della storia, tesa a mettere in evidenza le differenze psicologiche tra i personaggi – e il loro diverso approccio al mistero che li attende – lascia il posto nella seconda parte a un palpitante incubo cronenberghiano; qui, la “meraviglia” messa in mostra dall’eccentrico milionario si ribella al suo carceriere, ribaltando coi suoi stessi strumenti il sogno capitalista del possesso e dell’ostentazione, attraverso la ridefinizione del corpo e il suo controllo. Un episodio, quello di Cosmatos, atipico nell’ambito della raccolta, affascinante nella sua estetica a dispetto di uno sviluppo magari non originalissimo.
Il brusio
La storia che chiude la serie vede in regia la Jennifer Kent di Babadook e The Nightingale, che adatta un soggetto originale scritto dallo stesso Guillermo Del Toro. Al centro della trama c’è la coppia di ornitologi formata da Nancy ed Edgar Bradley (rispettivamente Essie Davis e Andrew Lincoln, noto al grande pubblico come protagonista di The Walking Dead) non ancora riavutisi dalla recente perdita della figlioletta Ava. I due, che si stanno interessando alla specie dei piovanelli e ai loro affascinanti “mormorii”, si recano in un’isolata casa sul lago per proseguire sul campo i loro studi; qui all’intero della tenuta, la donna inizia a percepire rumori e voci notturne, e a sperimentare strane visioni, legate in particolare a una figura infantile. Gli uccelli, inoltre, sembrano inspiegabilmente attratti dal tetto della casa. Mentre la crisi coniugale tra i due, originata dalla perdita della figlia, sembra aggravarsi, la donna si convince che l’anima della misteriosa donna che abitava la villa aleggi ancora sul posto, e che la casa abbia trattenuto tra le sue pareti gli echi di un terribile fatto di sangue.
Il soggetto di questo Il brusio unisce il tema degli uccelli visti come “psicopompi”, ovvero traghettatori di anime nell’aldilà (un tema che già Stephen King aveva esplorato nel suo La metà oscura) al più classico motivo della casa infestata, antica custode di segreti. A muovere la narrazione c’è il tema del lutto, insieme a quello di un personaggio capace di entrare in connessione col dolore che aleggia nel luogo (qui la donna, a confermare lo sguardo specificamente femminile che la regista ha voluto dare alla vicenda); un personaggio che progressivamente si spoglia della sua mentalità scientifica per accogliere la capacità di sentire e intuire, oltre al confronto sempre rimandato con le sue stesse sensazioni. Confermando quanto già aveva mostrato in Babadook, Jennifer Kent rivela un gusto evidente per le ghost story classiche, esaltato dalle architetture dell’antica villa coloniale, dalla sua imponente facciata, e dal taglio delle soluzioni di regia adottate – con una preponderanza di apparizioni in penombra e inquadrature fisse sugli interni della magione. L’episodio, visivamente affascinante, ha la buona intuizione di unire il risaputo tema della casa infestata (qui espresso da una storia di abbandono e conseguente follia) al meno battuto motivo degli uccelli come tramiti per il sovrannaturale. La semplicità della trama è controbilanciata dalla convincente recitazione dei due attori, e dal taglio malinconico del racconto, ben bilanciato con la sua componente sovrannaturale; un taglio che a tratti sfiora il melò, a dare sostanza a una storia che probabilmente, in altre mani, si sarebbe tradotta in un prodotto più convenzionale e di routine.
Scheda
Titolo originale: Guillermo del Toro's Cabinet of Curiosities
Creata da: Guillermo del Toro
Regia: Guillermo Navarro, Ana Lily Amirpour, Keith Thomas, Vincenzo Natali, Catherine Hardwicke, David Prior, Jennifer Kent, Panos Cosmatos
Paese/anno: Stati Uniti, Messico / 2022
Genere: Horror, Drammatico, Thriller, Fantastico
Cast: F. Murray Abraham, Tim Blake Nelson, Dan Stevens, Martin Starr, David Hewlett, Glynn Turman, Brigitte Robinson, Dan Beirne, Elpidia Carrillo, Kevin Keppy, Luke Roberts, Sebastian Roché, Alexander Eling, Cory Bertrand, Demetrius Grosse, Ish Morris, Kate Micucci, Kylee Evans, Lize Johnston, Martha Burns
Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Aaron Stewart-Ahn, Emily Carroll, David S. Goyer, Haley Z. Boston, Jennifer Kent, Regina Corrado, Lee Patterson, Panos Cosmatos, Mika Watkins
Fotografia: Colin Hoult, Anastas N. Michos, Jeremy Benning, Michael Ragen
Montaggio: Cam McLauchlin, Ben Wilkinson, Marc Roussel
Musiche: Michael Yezerski, Christopher Young, Jed Kurzel, Tim Davies, Anne Chmelewsky, Daniel Lopatin, Daniele Luppi, Jeff Danna
Produttore: Guillermo del Toro, J. Miles Dale, Jeff J.J. Authors, Gary Ungar
Casa di Produzione: Netflix, Double Dare You (DDY), Exile Entertainment
Distribuzione: Netflix
Data di uscita: 25/10/2022