SUZUME
Il nuovo lavoro di Makoto Shinkai conferma ancora una volta la maestria del regista giapponese, così come il suo sguardo personale – e fortemente lirico – su temi da sempre al centro della riflessione dell’animazione nipponica: Suzume impone definitivamente Shinkai come il nome più importante nell’attuale panorama del genere, capace di sviluppare un suo autonomo percorso, piuttosto che puntare a raccogliere improbabili e pesanti eredità.
Anime ritrovate
Arrivato al suo sesto lungometraggio – escludendo dal computo il film del 2013 Il giardino delle parole, di soli 47 minuti – Makoto Shinkai si conferma più che mai come il cineasta da seguire per eccellenza della “nuova” animazione giapponese. Abbiamo volutamente virgolettato il termine “nuova” (vista l’ormai quasi ventennale carriera di Shinkai) semplicemente per indicare a grandissime linee una scena ormai smarcatasi – anche per mere ragioni anagrafiche – dall’influenza dei maestri storici, in primis i fondatori dello Studio Ghibli Hayao Miyazaki e Isao Takahata. Così, se il futuro del marchio Ghibli appare più che mai incerto – con l’atteso e più volte rimandato ritorno del maestro col nuovo How Do You Live?, e una “nuova ondata” che fatica a raccogliere l’eredità dei due fondatori – è lontano dai suoi confini, in particolare in quella CoMix Wave Films che finora ha avuto un rapporto prediletto proprio con Shinkai, che si concentrano le attuali proposte più interessanti. Proposte che coi recenti Your Name. (2016) e Weathering with You (2019) sembrano aver fatto il salto, artistico e commerciale, fondamentale, (ri)portando il mondo degli anime fuori dal ghetto degli otaku e all’attenzione del grande pubblico internazionale. Un compito che in passato era riuscito a Miyazaki e a pochi altri, e che qui viene confermato dalla selezione nel concorso della Berlinale 2023 di questo nuovo Suzume.
Non aprite quelle porte
Il plot di questo nuovo lavoro di Shinkai è incentrato sulla giovane Suzume, diciassettenne orfana, che vive con sua zia in un paesino della regione di Kyushu, nel sud del Giappone; un mattino la ragazza, sulla strada della scuola, si imbatte in Sota, un giovane sconosciuto che le chiede se in quella zona siano presenti antiche rovine. Dopo averlo indirizzato presso un vecchio villaggio termale abbandonato, Suzume, vinta dalla curiosità, si mette sulle tracce del misterioso visitatore; arrivata presso quella che ha l’apparenza di una vecchia porta, la giovane finisce per liberare accidentalmente una creatura sovrannaturale, una sorta di verme fatto di fumo, che si innalza minaccioso sulla città ma sembra essere visibile solo da lei e Sota. Ciò che Suzume ha involontariamente aperto pare essere una sorta di varco dimensionale – uno dei tanti presenti sul territorio giapponese –, ovvero una porta di passaggio per un’entità foriera di disastri; Suzume e Sota dovranno così mettersi in viaggio per trovare le rimanenti porte, prima che queste vengano a loro volta aperte, con conseguenze potenzialmente tragiche.
Strati che si svelano
Sembra semplice e lineare, nei primi minuti, il soggetto di Suzume, portando apparentemente il nuovo lavoro di Makoto Shinkai dalle parti del Miyazaki del pluripremiato La città incantata; ma si tratta solo del livello più superficiale di questo nuovo lavoro del cineasta nipponico, quello che sembra suggerito dai suoi primi minuti. Ancora una volta, Shinkai si conferma sì influenzato (e come potrebbe essere altrimenti?) dalle opere del più celebrato collega, ma anche deciso a perseguire una sua personale via al genere; una vita al tempo stesso più legata alla contemporaneità del Giappone – non a caso, senza fare spoiler, possiamo dire che il film tocca anche il tragico terremoto e tsunami del 2011 – e contemporaneamente più intimista, legata alla memoria personale (così come a quella sociale) e al potere del rimosso trasformato in sogno. La trama di Suzume si amplia e si problematizza nel corso della sua durata, rivelando livelli ulteriori e celati sotto la superficie di un racconto fantasy apparentemente convenzionale: non è tutto semplice come appare, nel film, così come non è sufficiente alla giovane protagonista passare attraverso la porta magica per approdare in quella dimensione altra (forse) da sempre sognata. Il film di Shinkai è insieme un coming of age e una love story sui generis, un lirico peana al potere della memoria e a quello del sogno (dimensioni intimamente legate, capaci di unire passato e presente) e una riflessione sul Giappone contemporaneo; con annesso monito contro un’atomizzazione dei rapporti che rischia di negare la necessaria solidarietà di fronte alle catastrofi, quelle che più volte il paese, nella sua storia recente, ha vissuto.
Una sintesi mirabile
Spicca, in Suzume, l’assenza di un vero villain, finanche di quelli sfaccettati e multidimensionali – spesso “villain per caso” più che per necessità – a cui lo stesso Miyazaki ci aveva abituati; qui, la forza che la ragazza ha scatenato viene descritta semplicemente come un’entità priva di volontà e progettualità, mentre lo stesso oggetto delle ricerche dei due protagonisti (il gatto/pietra che ha consentito l’apertura delle porte) è in realtà, a sua volta, un agente della necessaria crescita e maturazione della ragazza. La riuscita del film di Makoto Shinkai – ascrivibile soprattutto all’ottima sceneggiatura, e all’attenta gestione della tensione narrativa – sta proprio nel mantenere vivo l’afflato avventuroso, la tensione della quest, l’ansia di un’impresa dagli esiti più che mai incerti, per quella che in realtà, per la giovane protagonista, è una lotta tutta interiore; un viaggio a ritroso alla ricerca del rimosso, in una materia onirico/fantastica che testimonia di un passato – e di un lutto – mai realmente elaborati. L’abilità di Shinkai sta nel prendere per mano lo spettatore e guidarlo alla lenta scoperta, livello dopo livello, del cuore pulsante di un racconto che vibra in realtà di un potente umanesimo. Lo fa, il regista nipponico, inserendo nella storia massicce dosi di humour, tradotte in un “animismo” prosaico quanto irresistibile (quello di una piccola sedia che prende vita), fondendo ombra e luce nella figura di un innocuo gattino che forse è in realtà una divinità capricciosa; e facendo crescere lentamente l’anima melò della storia, così intimamente legata al romanzo di formazione della giovane protagonista. Dimensioni intrecciate e fuse in una sintesi ancora una volta mirabile, animata dai consueti, alti valori tecnici, ma soprattutto da una vena immaginifica profonda quanto personale. Siamo di fronte, se ancora ci fossero dubbi, a un grande autore.
Scheda
Titolo originale: Suzume no tojimari
Regia: Makoto Shinkai
Paese/anno: Giappone / 2022
Durata: 122’
Genere: Drammatico, Avventura, Animazione, Fantastico
Cast: Kana Hanazawa, Rosalie Chiang, Shôta Sometani, Akari Miura, Allegra Clark, Amanda Céline Miller, Ann Yamane, Bennett Hetrick, Cam Clarke, Eri Fukatsu, Hokuto Matsumura, Jennifer Sun Bell, Joe Zieja, Josh Keaton, Kotone Hanase, Lena Josephine Marano, Nanoka Hara, Nichole Sakura, Roger Craig Smith, Ryunosuke Kamiki, Sairi Itô
Sceneggiatura: Makoto Shinkai
Montaggio: Makoto Shinkai
Musiche: Kazuma Jinnouchi, Radwimps
Produttore: Genki Kawamura, Kôichirô Itô
Casa di Produzione: Kadokawa, Aniplex, CoMix Wave Films, Story (II), Toho Company, Voque Ting, East Japan Marketing & Communications Inc., Lawson Entertainment
Distribuzione: Warner Bros.
Data di uscita: 27/04/2023