BARBIE

BARBIE

Blockbuster d’autore, preceduto da un attento lancio promozionale, Barbie è rutilante, godibile, pieno di verve e inventiva; il film di Greta Gerwig mostra sprazzi della cattiveria della regista, ma non graffia abbastanza nel momento in cui prova a farsi (anche) satira di costume e sociale.

I’m (not just) a Barbie girl

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Era sicuramente, insieme a Oppenheimer, il film più atteso dell’estate. Un hype dovuto innanzitutto al carattere del tutto particolare del soggetto – e alla sua apparente “intraducibilità” sullo schermo – e in secondo luogo alle personalità coinvolte: i protagonisti Margot Robbie e Ryan Gosling, indubbiamente, ma anche una regista dall’estetica e dai temi riconoscibili (e mai banali) come Greta Gerwig. E probabilmente, per Gerwig, questo Barbie rappresenta davvero l’ingresso nel cinema blockbuster, sia per le dimensioni produttive del progetto, sia per l’estetica e il taglio narrativo scelto. In più, l’attesa e la curiosità per questo nuovo lavoro della coppia Gerwig/Baumbach (il marito della regista è qui co-sceneggiatore) è stata sapientemente stimolata dalla produzione, da una campagna di marketing attenta che, laddove ha riempito il web di trailer, clip e character poster, ha lasciato poi trapelare solo pochi (e in parte fuorvianti) dettagli sulla trama del film. Al punto che le sinossi circolate in rete finora si sono rivelate sostanzialmente errate. Ma vediamo di andare con ordine, e di capire cos’è, di fatto, questa prima incursione di Greta Gerwig nel blockbuster d’autore.

Da Barbieland a Real World

Barbie, Ryan Gosling, Simu Liu, Margot Robbie, Emma Mackey, Kingsley Ben-Adir in una sequenza del film
Barbie, Ryan Gosling, Simu Liu, Margot Robbie, Emma Mackey, Kingsley Ben-Adir in una sequenza del film di Greta Gerwig

Com’è stato abbondantemente anticipato, al centro della trama c’è il paese di Barbieland, abitato da tutte le Barbie possibili e immaginabili (dall’avvocata alla medica fino alla dirigente d’azienda) e dai loro omologhi Ken, in posizione subalterna. I Ken, anche loro estremamente vari quanto a fisico ed etnia, vivono solo in funzione del modello di Barbie cui sono naturalmente accoppiati. Tra le tante Barbie presenti in questo (letteralmente) roseo universo c’è la Barbie-stereotipo: la prima, quella che incarna l’ideale di perfezione femminile e il modello estetico originale della bambola. A un tratto, tuttavia, qualcosa nell’eterna, plasticosa gioia di Barbieland – ripetizione perenne di un giorno sempre perfetto – sembra incrinarsi: durante il consueto party serale con le sue compagne, la Barbie-stereotipo inizia ad avere pensieri di morte. Un’anomalia che nei giorni successivi si fa sempre più presente, iniziando a portare con sé manifestazioni fisiche prima impensabili (come l’insorgere di cellulite). La risposta è presto data: Barbie-stereotipo ha captato dei pensieri della sua proprietaria umana, aprendo un portale tra il mondo reale e quello delle bambole. Un portale che solo lei potrà richiudere, attraversando il varco tra i due mondi.

Plastic pop

Barbie, Margot Robbie in una sequenza danzante del film
Barbie, Margot Robbie in una sequenza danzante del film di Greta Gerwig

È folgorante e gustoso, l’inizio di Barbie, con l’esplicita citazione da 2001: Odissea nello spazio (con tanto di voce narrante, in originale appartenente a Helen Mirren) a rivelare l’impronta dell’estetica del film, ma anche il suo registro narrativo: quello di Gerwig è un lavoro pop e citazionista, che vuole fare una riflessione giocosa su un prodotto della cultura di massa e sulla sua storia. La sequenza con le bambine che distruggono le bambole tradizionali, con la Barbie di Margot Robbie a stagliarsi tra di loro come il celeberrimo monolite kubrickiano, dà conto del passaggio epocale che rappresentò l’introduzione del personaggio, e la “rivoluzione” (in senso lato) che incarnò. Una rivoluzione che si è evoluta e trasformata nei decenni, intercettando mode e sensibilità nuove, ma mantenendosi nella sostanza coerente con se stessa: come il mondo di Barbieland, il concept della bambola Mattel resta sempre uguale e monoliticamente coerente, inevitabilmente figlio del periodo che l’ha generato. Un periodo in cui il patriarcato – richiamato più volte nel film come concetto slegato dal contesto, quasi un ingrediente da usare a proprio piacimento – era dichiarato ed esplicito, e in cui l’introduzione di un apparente simbolo di bellezza femminile (inevitabilmente stereotipico) andava in realtà a rafforzare l’idea di donna-oggetto. Una donna a cui affidare un regno di plastica, per (non) compensare l’oppressione subita nel mondo reale.

Il livello successivo

Barbie, Margot Robbie e Barbie-monolite
Barbie, Margot Robbie e la sua Barbie-monolite

Sta proprio in questa allegoria sociale, realizzata tramite gli strumenti della fiaba pop, colorata e adatta a tutta la famiglia, il punto di forza principale di Barbie. Il film di Gerwig ha un tono giocoso e lieve (forse anche troppo) con trovate visive continue – in cui la dominante rosa non toglie nulla alla cura scenografica di un mondo cui non era facile dare credibilità –, un gran numero di jokes e dialoghi serrati, e un andamento programmaticamente “frizzante” che lo rende particolarmente adatto al pubblico più giovane. Poi, però, c’è la lettura del livello successivo, quello del confronto tra l’universo di plastica delle bambole e quello reale, il rovesciamento della prospettiva e la presa di coscienza dell’inganno (una via di mezzo tra The Truman Show e Matrix, pure esplicitamente richiamati) a cui gli abitanti di Barbieland sono sottoposti. Ed è qui che il film acquista consistenza parallelamente coi suoi due protagonisti; protagonisti che evolvono da figurine (letteralmente) di plastica a personaggi a tutto tondo, cui Margot Robbie e Ryan Gosling riescono a dare spessore con la giusta gradualità e tramite l’esplorazione di tutte le possibili nuances. I due personaggi prendono contatto con la contraddittorietà e la difficile leggibilità della società umana, con la complessità dei sentimenti e la loro difficile gestione, ivi compresi i propri. Proprio in questa fase, Barbie assume da un lato i toni della ficcaante (seppur apparentemente bonaria) satira sociale, dall’altro quelli della favola malinconica, giocata sul doppio binario del rapporto tra Barbie e Ken, e di quello tra la bambola stessa e la sua vecchia proprietaria umana.

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Ma l’occasione, in parte, è mancata

Barbie, Ryan Gosling è Ken in una scena del film
Barbie, Ryan Gosling è Ken in una scena del film di Greta Gerwig

Proprio quando sceglie di farsi satira sociale – andando in questo ad allinearsi al cuore tematico dei lavori della coppia Gerwig/Baumbach – Barbie non riesce tuttavia (o più probabilmente non vuole) affondare davvero il coltello, creando un contrasto effettivo e drammaturgicamente forte tra i due mondi. In particolare, il film si rivela fin troppo bonario quando l’azione si sposta nella sede della Mattel, presentando la figura di un CEO (col volto di Will Ferrell) delineato superficialmente e dalla scarsa statura narrativa. A partire dalla seconda metà del film, si ha l’impressione che il personaggio di Ferrell debba diventare il vero villain, salvo poi passare in secondo piano in favore del contrasto – più facilmente gestibile, a livello tematico – interno al mondo di Barbie. Così, l’elemento potenzialmente più forte del film – quello di due mondi che collidono, contaminandosi a vicenda – perde una delle sue basi: quello che doveva essere il burattinaio, in fondo, non è poi così cattivo, e il suo ruolo si riduce progressivamente a una macchietta di scarsa rilevanza. Si rimpiange, specie nella seconda parte del film, la Greta Gerwig davvero acida di Lady Bird, ma anche quella che aveva adattato, con la sua personale sensibilità, Piccole donne: qui la regista si mette comodamente al servizio della sinergia Warner/Mattel, confezionando il suo blockbuster d’autore con tanti tocchi personali, ma rinunciando perlopiù a graffiare. Resta comunque, Barbie, un film che farà felici larghe fasce di pubblico, un esempio di cinema popolare che non annulla del tutto – come troppe volte è successo recentemente a Hollywood – visione e personalità della sua autrice; resta il rimpianto per un’operazione che ha scelto – con ogni probabilità volutamente – di non osare abbastanza, ma in fondo ci si può accontentare.

Locandina

Barbie, la locandina italiana del film

Gallery

Scheda

Titolo originale: Barbie
Regia: Greta Gerwig
Paese/anno: Regno Unito, Stati Uniti / 2023
Durata: 114’
Genere: Commedia, Avventura, Sentimentale, Fantastico
Cast: Helen Mirren, Margot Robbie, John Cena, Ariana Greenblatt, Kate McKinnon, Ritu Arya, Ryan Gosling, Alexandra Shipp, Jamie Demetriou, Rhea Perlman, Will Ferrell, Dua Lipa, Emma Mackey, Issa Rae, Kingsley Ben-Adir, Nicola Coughlan, Sharon Rooney, America Ferrera, Ana Cruz Kayne, Caroline Wilde, Connor Swindells, Emerald Fennell, Hari Nef, Marisa Abela, Michael Cera, Ncuti Gatwa, Scott Evans, Simu Liu
Sceneggiatura: Noah Baumbach, Greta Gerwig
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Nick Houy
Musiche: Mark Ronson, Andrew Wyatt
Produttore: Robbie Brenner, David Heyman, Christine Crais, Tom Ackerley, Margot Robbie
Casa di Produzione: Mattel, Heyday Films, Warner Bros., LuckyChap Entertainment, Mattel Films
Distribuzione: Warner Bros.

Data di uscita: 20/07/2023

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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