KILLERS OF THE FLOWER MOON
Monumentale nella durata, Killers of the Flower Moon rilegge criticamente l’epica del cinema di Martin Scorsese, mettendo in scena una vicenda di rapacità, sopraffazione e omicidi che si fa (ancora una volta) emblema dello sviluppo predatorio della nazione americana. Stavolta, tuttavia, il carattere respingente dei suoi protagonisti viene mostrato senza filtri, in una costruzione che svela l’illusorietà del sogno, costringendo una nazione a guardarsi senza lo scudo e lo specchio deformante del Mito.
In nome dell'oro nero sovrano
Dall’(anti)epica dei gangster a quella dei rapaci “predatori” delle terre Osage, dal potere delle pistole a quello più subdolo del petrolio, dalla riflessione di ampio respiro sul mito fondativo alla sua rinnovata immersione in una delle sue tante, dirette quanto contraddittorie manifestazioni. Il cinema di Martin Scorsese continua a muoversi più che mai libero, conscio di non dover più dimostrare nulla a nessuno; ma sempre, più che mai affamato di cose da dire e di storie da raccontare (quelle che, come il regista ha ricordato ancora una volta di recente, a suo avviso restano assenti da troppi blockbuster moderni, a partire dai famigerati cinecomic). A costo di essere bulimico, di travolgere lo spettatore con durate à la Lav Diaz (qui il minutaggio arriva a 206 minuti), di mettere a dura prova quei meccanismi dell’attenzione – e della capacità di immergersi continuativamente in una singola storia – che sono stati ormai destabilizzati dallo streaming. Paradosso dei paradossi, visto che Killers of the Flower Moon, come già il precedente The Irishman, è stato finanziato da una piattaforma (lì Netflix, qui Apple TV+) in previsione precipua di una fruizione per i suoi abbonati. Stavolta, però, la “vita” in sala del film sarà più lunga, a quanto pare: segno che una coesistenza tra i due mondi si può e si deve trovare. Specie nel caso di un cinema, come quello del maestro statunitense, che non solo richiama, ma in qualche modo celebra anche quell’immersione totalizzante nel racconto che può essere raggiunta, nella sua completezza, solo al buio di una sala cinematografica.
Con ogni mezzo necessario
La fonte di Killers of the Flower Moon è un romanzo (o meglio, un’opera di “non-fiction”, com’è stata definita in patria) intitolato Gli assassini della terra rossa, scritto da David Grann e ispirato a fatti realmente avvenuti nell’Oklahoma degli anni ‘20. Siamo nella Nazione Osage, in quel fazzoletto di terra concesso dal governo centrale all’omonima tribù di nativi, ormai in procinto di mettere da parte le tradizioni autoctone per piegarsi alla cultura dell’uomo bianco. Un processo che subisce un’accelerazione quando si scopre che, sotto i pochi chilometri quadrati del territorio Osage, è presente una quantità di petrolio tale da trasformare quell’arida fascia di terra in una delle zone più ricche dell’intero paese. Improvvisamente, i nativi diventano facoltosi borghesi, e l’uomo bianco è costretto a inseguirne le ricchezze, le concessioni e le terre, con mezzi legali e non. Questo lo sa bene William Hale (Robert De Niro), avido titolare di un’agenzia di trasporti locale, intenzionato a mettere le mani sulle ricchezze delle famiglie Osage che circondano la sua proprietà; proprio a questo scopo, Hale convince suo nipote Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio), appena tornato dal fronte, a sposare la ricca ma cagionevole Mollie (Lily Gladstone), prevedendo una sua imminente dipartita. Nel frattempo, intorno all’improvvisata famiglia, un numero sempre maggiore di individui Osage perdono la vita, alcuni stroncati da improvvise malattie, altri vittime di attentati invariabilmente rimasti senza colpevoli. Man mano, mentre la responsabilità di Hale negli eventi – con la complicità dello stesso Ernest – diventa sempre più evidente, la stessa Mollie capisce di essere in pericolo.
Due volti di un assassin(i)o
Inizia con un prologo dal carattere fortemente simbolico, Killers of the Flower Moon, che richiama da un lato la solennità del western (genere mai trattato direttamente, ma spesso adocchiato dalla filmografia di Scorsese), dall’altra l’anarchismo di quel gangster movie che il regista ha variamente declinato lungo tutta la sua carriera. C’è un contrappasso simbolico, nella sequenza in questione, tra il seppellimento della pipa degli Osage e il successivo, impetuoso getto di petrolio che inonda terre e individui: quei corpi bagnati di nero, abbandonatisi a un’improvvisata danza, fanno pensare a una sorta di primordiale, corrotta Woodstock ante-litteram (non a caso il regista fu tra quelli che documentarono lo storico evento nel film-concerto del 1970); ma rimandano anche idealmente ai rituali orgiastico-capitalistici del precedente The Wolf of Wall Street, dove gli yuppie si sostituivano agli hippie, e ad animare le danze c’era già un istrionico Leonardo DiCaprio. Qui, a dire il vero, l’ex ragazzo dal volto efebico di Titanic interpreta un personaggio di rara sgradevolezza: di Ernest Burkhart, quando sorride, vediamo plasticamente la meschinità, il fare viscido, quel misto di calcolo e paura che lo spinge ad agire in modo perennemente subalterno (quando non ossequioso) nei confronti del potente zio. Se la caratterizzazione del personaggio di Ernest offre un ulteriore saggio della versatilità attoriale di DiCaprio (da più parti è stato citato l’ultimo Brando) quella di Hale utilizza al meglio il volto scavato e l’intatto carisma di De Niro, sfruttandone al meglio il peso degli anni dopo le magie del deaging del film precedente. Un re decadente e un coyote, come viene definito il personaggio di DiCaprio dalla stessa Mollie: i due volti più riconoscibili di due fasi della carriera di Scorsese, qui per la prima volta riuniti sotto la sua direzione.
Il sogno demistificato
L’epica che ha permeato molto del cinema di Scorsese, e del cinema classico americano tout court – quell’epica che già in The Irishman era stata notevolmente asciugata – qui viene totalmente azzerata e ricondotta alla piccolezza dei personaggi che dovrebbero comporla: persino il “re” Hale (così si fa chiamare da suo nipote) è una figura in toto respingente, totalmente priva della statura delle grandi figure criminali che hanno animato il genere nei suoi esempi più fondanti; mentre il personaggio interpretato da DiCaprio, da par suo, ispira un misto di repulsione e pena, specie laddove si intuisce la genuinità del sentimento – di cui forse nemmeno lui è pienamente consapevole – che lo lega a quella moglie che sta consapevolmente, lentamente uccidendo. I codici morali del gangster movie, i rituali del mondo criminale, vengono volutamente virati in grottesco (si veda la scena della punizione inflitta a Ernest per aver tentato di frodare la famiglia) mentre la rapacità di una borghesia bianca che uccide e depreda, conscia della sua sostanziale impunità, diviene del tutto trasparente. Scorsese ce lo aveva detto già in Gangs of New York, ce lo aveva ribadito in altri termini nel già citato The Wolf of Wall Street, e spiegato in modo più sistematico in The Irishman: quella degli Stati Uniti, dalla fondazione fino a oggi, è una storia di sopraffazione, di corruzione e sangue, quella di una nazione che ha perpetuato se stessa – forte anche della narrazione dei suoi media, ivi compreso il cinema – sul sistematico azzeramento (fisico e culturale) delle culture con cui è venuta a contatto. Non risparmia nessuno, Scorsese, neanche gli stessi Osage che hanno seppellito troppo presto quella pipa che vediamo nel prologo, per abbracciare (ingenuamente) i rituali di vita dell’uomo bianco. Per votarsi a quella stessa, laica divinità del denaro che qui sostituisce del tutto l’afflato spirituale che avevamo trovato in titoli come Silence e, in parte, nello stesso The Irishman. Ma Scorsese, di questo, è pienamente consapevole, e come ultima provocazione inserisce in Killers of the Flower Moon un epilogo in cui la natura fittizia del cosiddetto sogno americano – e la sua riduzione a prosaico racconto di fiction – diviene del tutto manifesta. Siamo tornati sulla terra, insomma, e siamo stati costretti a guardarci, e ascoltarci, senza più filtri. Stavolta, uno dei maestri del cinema ce lo ha detto nel modo più diretto possibile.
Locandina
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Scheda
Titolo originale: Killers of the Flower Moon
Regia: Martin Scorsese
Paese/anno: Stati Uniti / 2023
Durata: 206’
Genere: Drammatico, Poliziesco, Storico
Cast: Jesse Plemons, Leonardo DiCaprio, John Lithgow, Robert De Niro, Scott Shepherd, Pat Healy, Gary Basaraba, Louis Cancelmi, Sturgill Simpson, Barry Corbin, Ben Hall, Brendan Fraser, Eric Parkinson, Michael Abbott Jr., Tantoo Cardinal, Tatanka Means, William Belleau, Cara Jade Myers, Jack White, Janae Collins, Jason Isbell, Jillian Dion, Larry Sellers, Lily Gladstone, Nick W. Nicholson, Norma Jean, Pete Yorn, Samuel French, Yancey Red Corn
Sceneggiatura: Martin Scorsese, Eric Roth
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Thelma Schoonmaker
Musiche: Robbie Robertson
Produttore: Martin Scorsese, Dan Friedkin, Bradley Thomas, Justine Conte, Daniel Lupi
Casa di Produzione: Appian Way, Apple Studios, Sikelia Productions, Apple TV+, Imperative Entertainment
Distribuzione: 01 Distribution, Apple TV+
Data di uscita: 19/10/2023