LUBO
In Lubo i fitti boschi della Svizzera, ma anche l’Italia settentrionale degli anni Cinquanta, con lussuosi alberghi e modesti negozietti di articoli sportivi, fanno da perfette location per un lungometraggio che si distingue innanzitutto per una messa in scena complessivamente lineare e priva di inutili fronzoli, “colpevole” soltanto di qualche lungaggine di troppo e di un approccio che sembrerebbe quasi ricordare un prodotto pensato esclusivamente per il piccolo schermo. In concorso all’80esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Tutto per la propria famiglia
Essere considerati una minoranza e venire perseguitati fin da quando si è bambini. Il regista Giorgio Diritti ha spesso mostrato interesse per chi, in un modo o nell’altro, è stato spesso considerato una sorta di “outsider”. Basti pensare, giusto per fare un esempio, al recente Volevo nascondermi (2020), in cui veniva approfondita la vita del celebre pittore Antonio Ligabue. In Lubo (il suo ultimo lungometraggio, presentato in anteprima mondiale, in concorso, all’80a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia), invece, il tema dell’emarginazione, e soprattutto del razzismo e delle relative persecuzioni, viene approfondito facendo luce su eventi ancora al giorno d’oggi sconosciuti ai più, sebbene abbiano avuto luogo proprio durante la Seconda Guerra Mondiale.
Inquietanti programmi di rieducazione
Tratto dal romanzo Il seminatore di Mario Cavatore, il film ci racconta la storia di Lubo (impersonato da un sempre ottimo Franz Rogowski), artista di strada che vive in una roulotte insieme alla sua famiglia e che nel 1939 viene chiamato ad arruolarsi nell’esercito elvetico, al fine di difendere i confini nazionali da possibili invasioni da parte della Germania nazista. Una volta lontano, tuttavia, egli scoprirà che sua moglie è morta nel tentativo di evitare che i suoi tre bambini le fossero portati via, dal momento che, in quanto Jenisch, avrebbero dovuto essere affidati a determinati istituti secondo il programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada, l’Hilfswerk für die Kinder der Landstrasse; un programma atto a far sì che la tradizione dei nomadi potesse finire per sempre. Lubo, dunque, sarà disposto a fare di tutto per poter riavere i suoi figli. Persino a rubare l’identità di qualcun altro.
Dinamiche che si ripetono
Un episodio ancora sconosciuto ai più, dunque, per un lungometraggio imponente e importante, soprattutto in riferimento alla sua durata. E insieme alla storia di Lubo, di fatto, ci vengono raccontati da Giorgio Diritti circa vent’anni di storia della Svizzera (e non solo) in cui comprendiamo come il razzismo, l’emarginazione e, più in generale, il male non conoscano confini e possano presentarsi, di volta in volta, in ogni possibile declinazione. E così, dunque, il passato trova anche in questo caso numerose attinenze col presente, facendo in modo che l’intero lungometraggio assuma immediatamente connotazioni universali. Ognuno di noi ha importanti colpe da espiare. Nessuno, alla fine dei giochi, può dirsi realmente innocente.
Cinema o televisione?
In Lubo, dunque, i fitti boschi della Svizzera, ma anche l’Italia settentrionale degli anni Cinquanta – minuziosamente ricostruita fin nel minimo dettaglio – con lussuosi alberghi e modesti negozietti di articoli sportivi, fanno da perfette location per un lungometraggio che si distingue innanzitutto per una messa in scena complessivamente lineare e priva di inutili fronzoli, “colpevole” soltanto di qualche lungaggine di troppo e di un approccio che sembrerebbe quasi ricordare un prodotto pensato per il piccolo schermo (e che, di conseguenza, risulta poco appropriato se lo si considera nell’ambito di un festival come la Mostra del Cinema di Venezia).
Il potere dell’Arte
Detto ciò, il presente Lubo nel complesso convince. E lo fa soprattutto grazie (anche) alla presenza del suo magnetico protagonista, che dalla Germania è diventato ormai una star internazionale e che già aveva fatto una sua prima incursione nel cinema italiano nel 2021 in Freaks Out di Gabriele Mainetti. Il suo Lubo è un personaggio non privo di macchia, in grado persino di uccidere, pur di ricongiungersi con la sua amata famiglia; ma anche – e soprattutto – un’artista sensibile e sognatore, che anche nella tragedia riesce a trovare una propria serenità rifugiandosi, grazie alla musica, nei suoi ricordi più belli. La scena in cui suona la fisarmonica senza emettere alcun suono all’interno di un freddo carcere parla semplicemente da sé.
Locandina
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Scheda
Titolo originale: Lubo
Regia: Giorgio Diritti
Paese/anno: Italia, Svizzera / 2023
Durata: 175’
Genere: Drammatico
Cast: Valentina Bellè, Franz Rogowski, Joel Basman, Christian Bianco, Noémi Besedes, Oliver Ewy, Philippe Graber, Alessandro Zappella, Anina Sara Baumgartner, Cecilia Steiner, Christophe Sermet, Filippo Giulini, Francesco Limenta
Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Fredo Valla
Fotografia: Benjamin Maier
Montaggio: Paolo Cottignola
Musiche: Marco Biscarini
Produttore: Daniel Campos Pavoncelli, Fabrizio Donvito, Benedetto Habib, Marco Cohen
Casa di Produzione: Rai Cinema, Indiana Production, Aranciafilm, Proxima Milano, Hugo Film
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: 09/11/2023