LA ZONA D’INTERESSE
Dopo essere stato insignito del Gran Prix della Giuria a Cannes 2023, il nuovo film di Jonathan Glazer La zona d’interesse arriva alla 18a Festa del Cinema di Roma, nella sezione Best Of. E lo fa portando con sé la sua indicibile carica d’inquietudine, quella di un orrore – il peggiore che la storia recente ricordi – giocato sul sottile filo del fuoricampo, ma ancora troppo drammaticamente vicino al vissuto contemporaneo.
Così lontano, troppo vicino
Già Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes 2023, con più di una polemica da parte di chi lo riteneva, a torto o ragione, meritevole di qualcosa di più, La zona d’interesse – primo film in lingua non inglese di Jonathan Glazer, ispirato al romanzo omonimo di Martin Amis – è approdato anche alla 18a Festa del Cinema di Roma, nella sezione Best Of. E lo ha fatto, il film di Glazer, portando con sé tutto il suo carico di problematicità, quello di una tematica – l’Olocausto, stavolta narrato dal punto di vista, pur filtrato e ostacolato da un muro di cinta, dei carnefici – che giustamente non può evitare di provocare discussioni e (inevitabilmente) divisioni. Questo è vero in misura ancor maggiore per un film come quello di Glazer, che non solo sceglie di narrare l’orrore attraverso l’ottica di uno dei suoi artefici – quella del comandante del campo di Auschwitz Rudolf Höss – ma asciuga il racconto fino a farne un resoconto (apparentemente) quasi asettico della vita dei carnefici, geometrico nella messa in scena, di un’eleganza che può facilmente prestarsi all’accusa di tendenza all’estetizzazione gratuita. Eppure, nel suo rappresentare non solo quella che siamo ormai soliti chiamare “la banalità del male”, ma anche nel mettere in scena (pur in modo indiretto) la follia da questa provocata, e nel richiamare nello spettatore il suo portato d’orrore, La zona d’interesse riesce a schivare qualsiasi rischio di compiacenza, segnalandosi come un’operazione giustificata sia tematicamente che cinematograficamente.
Ai margini della follia
Il punto di vista, come si diceva, è quello di Rudolf Höss, membro delle SS e comandante del campo di concentramento di Auschwitz, che durante il suo servizio visse nella cosiddetta “zona di interesse”, una grande area immersa nel verde che circondava il campo. Qui, il militare ha costruito per sé e la sua famiglia una sorta di Eden: una lussuosa villa circondata da un rigoglioso giardino, con annesse una serra e una piscina per bambini, che digrada nell’area in riva al fiume, frequente meta delle escursioni della famiglia nei giorni d’estate. Subito oltre la villa, c’è il muro di cinta del campo, dai cui confini arrivano le frequenti urla, le raffiche di fucile, i fumi dei forni crematori sempre attivi. Eppure, nulla – o quasi – sembra disturbare la mostruosa tranquillità borghese della famiglia del militare, con visite programmate di parenti che si preoccupano di ritirare le lenzuola quando le ceneri del campo vicino rischiano di sporcarle, e bambini che giocano alla guerra ed esaminano con morboso interesse i denti strappati ai prigionieri del campo. Solo la figlia più grande ha incubi misti a episodi di sonnambulismo, in cui vede il mondo in negativo, in un rovesciamento cromatico che suggerisce l’orrore di ciò che il mondo adulto vuole tenacemente mettere tra parentesi, bollandolo come irrilevante. O meglio, come parte fondamentale della costruzione di un futuro nel segno di un’imprecisata purezza.
Hanno cambiato faccia?
Ovviamente scuote e disturba, la visione di La zona d’interesse, saggio cinematografico che vede l’estro sperimentale di Glazer (regista proveniente dal videoclip e dagli eccessi barocchi di titoli come Under the Skin) mettersi al servizio di una vicenda che gioca col fuoricampo e con gli elementi che la messa in scena può solo suggerire – pur con notevole forza – anziché mostrare direttamente. C’è, palesemente, un indicibile sentore di sbagliato nel sogno borghese della famiglia Höss, anche laddove si fosse all’oscuro di ciò che accade dietro a quel muro di cinta, separazione fittizia di normalità e follia: quello che forse colpisce di più è l’equiparazione di quella perfetta, idilliaca visione di realizzazione familiare e lavorativa (che ignora il portato atroce della sua attuazione) col sogno borghese che in fondo ancora oggi, nelle società moderne, viene coltivato e incoraggiato a tutti i livelli. L’aspirazione alla normalità e a una struttura di vita in cui ogni casella sia al suo posto – ivi compreso il posto di lavoro a pochi metri dalla propria abitazione – non è in fondo, sempre, un sogno fittizio e tale da celare altro? Dietro a quel muro – che esso sia direttamente visibile o meno – non si cela in fondo, sempre, qualcosa che ci si rifiuta di vedere, o che si riesce ad affrontare solo (come la ragazza) nella dimensione trasfigurata del sogno/incubo? Il male, e la sua stessa banalità, non hanno in fondo solo cambiato faccia, mimetizzandosi meglio?
Le tracce dell’orrore
Non ci si fraintenda: La zona d’interesse non nega l’eccezionalità indicibile (e si spera irripetibile) di ciò che il suo svolgimento mostra e (perlopiù) sottende. Piuttosto, la riconduce al suo carattere drammaticamente umano, a noi ancor più vicino – psicologicamente prima che storicamente e politicamente – di quanto non ci piacerebbe pensare. Il male, oltre che banale, appare per larga parte del film persino desiderabile – a prescindere da quello che possa essere il suo costo – e questo è quello che probabilmente disturba di più: al punto che, quando per la famiglia si prospetta una separazione – col militare in procinto di essere spedito vicino alla capitale, il film indugia in una struggente scena di separazione tra moglie e marito. È in questo frangente che il protagonista – e lo stesso spettatore – hanno il sentore della fine imminente, del prossimo sfaldarsi di quella oscena utopia, parallelamente alla neve che copre il tutto: una consapevolezza che a tratti lascia emergere la follia latente, come nel dialogo telefonico in cui Höss spiega alla moglie come, durante un ricevimento di membri del partito, la sua mente fosse occupata a pensare come sarebbe stato “logisticamente complicato gasarli tutti”. I conati di vomito che vediamo cogliere l’ufficiale, poco dopo – che non a caso vanno a vuoto, non producendo fisicamente nulla – restano probabilmente un presagio di sconfitta, più che un’improbabile manifestazione di rimorso. Ma il collegamento col presente, mirabilmente reso, senza soluzione di continuità, nelle mute immagini odierne del museo e degli impiegati impegnati a ripulirne le stanze, resta lì implacabile. Perché, per evitare l’oblio, bisogna innanzitutto imparare a guardare in faccia le tracce superstiti dell’orrore.
Locandina
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Scheda
Titolo originale: The Zone of Interest
Regia: Jonathan Glazer
Paese/anno: Regno Unito, Stati Uniti, Polonia / 2023
Durata: 105’
Genere: Drammatico, Storico, Guerra
Cast: Sandra Hüller, Imogen Kogge, Christian Friedel, Anastazja Drobniak, Andrey Isaev, Cecylia Pekala, Christopher Manavi, Freya Kreutzkam, Johann Karthaus, Julia Polaczek, Kalman Wilson, Lilli Falk, Luis Noah Witte, Marie Rosa Tietjen, Martyna Poznanski, Max Beck, Medusa Knopf, Nele Ahrensmeier, Ralf Zillmann, Ralph Herforth, Sascha Maaz, Stephanie Petrowitz, Wolfgang Lampl, Zuzanna Kobiela
Sceneggiatura: Jonathan Glazer
Fotografia: Lukasz Zal
Montaggio: Paul Watts
Musiche: Mica Levi
Produttore: Bugs Hartley, Bartek Rainski, Ewa Puszczynska, James Wilson
Casa di Produzione: JW Films, A24, Film4, Access Entertainment, Extreme Emotions, House Productions, Polish Film Institute
Distribuzione: I Wonder Pictures, Unipol Biografilm Collection
Data di uscita: 22/02/2024