EILEEN
Dopo l'interessante esordio di otto anni fa con Lady Macbeth, William Oldroyd porta su grande schermo l’omonimo romanzo d’esordio dell'autrice americana Ottessa Moshfegh. Eileen racconta una storia di formazione e di scoperta di sé stessi credibile e inquietante, grazie anche alle performance ottimali del suo cast. Quando però la pellicola cambia di tono virando verso il thriller, si indebolisce e suscita, più che l’ambiguità, la sensazione di aver lasciato troppi elementi non pienamente sviluppati. Presentato in anteprima all'ultimo Sundance Film Festival.
Non è oro tutto ciò che è biondo
Tutto è brutto nella vita di Eileen (Thomasin McKenzie). Vive con il padre alcolizzato e violento (Shea Whigham) occupandosi di quest’ultimo quando non lavora come segretaria in un carcere minorile nel Massachusetts. Ma quando una nuova dottoressa di nome Rebecca (Anne Hathaway) entra nella sua vita, per Eileen sembra essere il momento di vedere un po’ di luce nella sua esistenza… ma da quale punto di vista? Il regista londinese William Oldroyd continua con Eileen sulla falsariga del suo film d’esordito, Lady Macbeth (2016): entrambe le pellicole sono infatti un ritratto spinoso di giovani donne la cui repressione porta a circostanze imprevedibili quanto tragiche, e sono inoltre adattamenti letterari. In questo caso a essere portato su schermo è l’omonimo libro, prontamente ristampato da Mondadori recentissimamente, di Ottessa Moshfegh, qui alla sceneggiatura insieme al marito Luke Goebel dopo Causeway (2022) di Lila Neugebauer.
Storia della bruttezza
Tutto è brutto nella precaria esistenza di Eileen, scrivevamo poc’anzi. La vita nella sua piccola città del Massachusetts è piuttosto squallida, fatta di disagio e routine, così come la casa in cui vive con il padre veterano della Seconda Guerra Mondiale. La relazione con quest’ultimo è senza ombra di dubbio tossica ma non in senso unidirezionale: perché, se è vero che la giovane Eileen viene costantemente denigrata da quest’ultimo (tra le accuse più soft c’è quella di non avere obiettivi o scopi e di non essere all’altezza della sorella), è anche vero che è lei stessa ad alimentare l’alcolismo del genitore. La fotografia del film, curata da Ari Wegner, accentua ulteriormente tutta questa bruttezza e cattiveria: gli esterni sono infatti caratterizzati da colori freddi, alludenti all’atmosfera depressiva in cui si immerge Eileen, mentre gli ambienti interni hanno pochi colori che riescono a malapena a riflettere la sensazione di casa (e in effetti di calore familiare e domestico c’è poco o nulla).
Anche le scelte registiche di isolare spesso e volentieri la protagonista nell’inquadratura rafforzano tutto questo. La sua unica via d’uscita da questa esistenza soffocante è rappresentata da piccoli gesti, come nascondere i guadagni in una scatola di dolci in soffitta (ma per fare realmente cosa, in fondo?) e soprattutto morbose fantasie, sessuali e non: Eileen spesso fantastica di uccidere sé stessa o suo padre o di fare sesso nell’ufficio della sua prigione con una delle guardie (Owen Teague). Il racconto in prima persona del testo di partenza lascia infatti spazio a improvvisi sogni a occhi aperti che mostrano ulteriormente il mondo interiore della protagonista: scelta, questa, sicuramente molto più d’effetto rispetto ad altri possibili espedienti narrativi. Di fronte a queste immagini ci possiamo davvero sentire dispiaciuti per la condizione in cui Eileen vive? Quel che è certo è che sono le prime avvisaglie di una evoluzione che troverà via via maggior spazio. In mezzo c’è però l’improvviso arrivo della dottoressa Rebecca St. John (Anne Hathaway).
Osmosi
Ma la bellezza non ha davvero posto nell’esistenza della giovane Eileen? Rebecca St. John viene infatti assunta come nuova psicologa del carcere e sembra, fin dalla sua apparizione su una Mustang rossa, la sua antitesi: vestita alla moda, bionda, bella e sensuale, piena di charme. Ed è proprio all’interno di questo contrasto che la protagonista cerca la sua vera identità rubando e/o imitando alcuni aspetti di Rebecca, figura così idealizzata da far venire il dubbio di essere frutto anch’essa della sua immaginazione. Eileen è infatti una pellicola che parla di una relazione dai confini pericolosamente sfumati, in cui le due attrici, Hathaway e McKenzie, interpretano il loro rapporto in modo convincente grazie alle performance contrastanti che mettono in mostra: la relazione tra le due si sviluppa in modo ponderato e credibile, portandoci a desiderare a questo punto una vita migliore per Eileen, tanto quanto desideriamo che la passione esploda mentre ballano in un bar frequentato da soli maschi, in cui gli eventi che avvengono mettono ancor di più in risalto la modernità femminile di Rebecca. La sera della Vigilia di Natale che fa da sfondo all’atto finale della pellicola segna un momento di natività anche per Eileen, forse mai così viva e capace anche di sovrastare il cardigan sciatto con cui viene accolta da Rebecca. L’osmosi tra le due non solo si è così completata ma viene addirittura rovesciata. Limitarsi solo alle figure di Eileen e Rebecca sarebbe però riduttivo, dato che uno dei punti di forza del film è rappresentato dal triangolo che le due formano con Rita Polk (Marin Ireland): un triangolo tutto al femminile fatto di manipolazioni e tradimenti, che vengono racchiusi e riuniti nel ristretto spazio di un seminterrato.
Déjà-vu o forse no
Osservando la pellicola non si può certamente biasimare del tutto chi ha ritenuto Eileen seguire per molti aspetti Carol di Todd Haynes: due pellicole che raccontano dinamiche relazionali simili tra le protagoniste ambientandole in un passato repressivo anche a livello sessuale, con il periodo natalizio a far da sfondo. L’amore è al centro della storia, che si tratti della relazione tra Eileen e suo padre, o dell’ammirazione che la donna inizia a provare nei confronti di Rebecca. Tuttavia, Eileen si alleggerisce della tensione sessuale tra i suoi personaggi perché interessato a raccontare un percorso di crescita che ruota attorno a una figura solo apparentemente molto lontana da un mondo duro e squallido. Il busillis sta però nel suo passaggio a thriller psicologico noir, quando la trama comincia a ruotare sempre di più attorno al mistero di un detenuto, Lee Polk (Sam Nivola), incarcerato per aver ucciso suo padre. L’intera vicenda si fa a quel punto troppo confusa per capire realmente la reale posta in gioco dei personaggi chiamati in causa, e soprattutto cosa stia succedendo dentro Eileen. Il film di Oldroyd sembra essere una di quelle pellicole che tentano di sfidare la classificazione in un genere specifico, raccontando storie spaventosamente reali la cui atmosfera cattura l’attenzione dal principio; pellicola che tuttavia, alla fine dei giochi, rischiano di lasciare lo spettatore con la sensazione che manchi ancora qualcosa da dire. Un tradimento emotivo che si aggiunge a quelli raccontati nella vicenda ma che potrebbe accompagnare l’uscita della sala anche oltre i 97’ di visione.
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Scheda
Titolo originale: Eileen
Regia: William Oldroyd
Paese/anno: Corea del Sud, Regno Unito, Stati Uniti / 2023
Durata: 97’
Genere: Giallo, Drammatico, Thriller
Cast: Anne Hathaway, Shea Whigham, Marin Ireland, Thomasin McKenzie, Owen Teague, Peter McRobbie, Sam Nivola, Brendan Burke, Jefferson White, Siobhan Fallon Hogan, William Hill, Alexander Jameson, Gavin K. Barfield, Mark Havlis, Mason Pettograsso, Patrick Noonan, Patrick Ryan Wood, Peter Von Berg, Spencer Barnes, Tonye Patano
Sceneggiatura: Ottessa Moshfegh, Luke Goebel
Fotografia: Ari Wegner
Montaggio: Nick Emerson
Musiche: Richard Reed Parry
Produttore: Peter Cron, Stefanie Azpiazu, Luke Goebel, Anthony Bregman, Johnny Holland, William Oldroyd, Ottessa Moshfegh
Casa di Produzione: Likely Story, Lost Winds Entertainment, Omniscient Productions, Fifth Season, Film4
Distribuzione: Lucky Red
Data di uscita: 30/05/2024