PADRE PIO
di Abel Ferrara
Oggetto di varie discussioni già da prima della sua uscita, il nuovo Padre Pio è un provocatorio (non) biopic, in cui il cinema di Abel Ferrara conferma la sua carnalità spietata così come la sua inquieta ricerca di trascendenza. Presentato alle Giornate degli Autori della 79a Mostra del Cinema di Venezia.
Un “santo” in una società in fiamme
Si è già discusso molto, da ben prima della sua presentazione ufficiale nelle Giornate degli Autori della 79a Mostra del Cinema di Venezia, su questo Padre Pio, biopic che Abel Ferrara ha voluto dedicare al cosiddetto santo di Pietrelcina; una figura iconica e tuttora discussa per molta cultura cattolica (e non solo) italiana. Si è speculato sulla rappresentazione cinematografica di un personaggio la cui figura ha incarnato quel misto di fervore religioso, devozione popolare e afflato mistico/superstizioso che tante critiche ha attirato anche negli ambienti cattolici “ufficiali”; si è ironizzato sul suo interprete Shia LaBeouf, sui guai giudiziari che lo hanno colpito prima di girare il film, e soprattutto sulla sua conversione successiva alle riprese, frutto di quella che sembra la più smaccata sovrapposizione interprete/personaggio. Una sovrapposizione che tuttavia, vedendo il film e analizzando la lettura che Ferrara offre del discusso mistico italiano, può risultare più comprensibile, se non addirittura giustificabile: il Francesco Forgione del film – quasi sempre chiamato semplicemente Pio – è una figura tormentata e obliqua, la cui aspirazione alla trascendenza trova un costante contrappasso in un misticismo venato di incubi e personificazioni di una coscienza inquieta, ma anche nel confronto con una realtà scossa e segnata come quella della San Giovanni Rotondo del primo dopoguerra. Un doppio binario, quello della trascendenza e della concretezza spietata del periodo storico preso in esame, che attraverserà tutto il film.
Due binari, una coscienza inquieta
Il film di Ferrara, dopo un prologo che mostra l’arrivo di Pio nel paese di San Giovanni Rotondo (datato storicamente al 1916) si articola in un periodo che va dalla fine del 1918 – col ritorno nel paese dei reduci vittoriosi della prima guerra mondiale – alla vittoria del Partito Socialista Italiano nelle elezioni comunali; evento, quest’ultimo, che culminò nel poco citato eccidio che vide perire 14 persone sotto il fuoco dei carabinieri, coadiuvati dalla milizia clerico-fascista degli “Arditi di Cristo”. Un evento nel quale è stato evocato più volte l’ipotetico coinvolgimento dello stesso frate, sul quale tuttavia il film non si sbilancia; al contrario, le due componenti del film – quella della descrizione della realtà del paese, segnata dalle miserie del dopoguerra e infiammata dalle lotte del biennio rosso, e quella della ricerca umana e spirituale del protagonista – seguono due binari paralleli, destinati a non incontrarsi se non sul terreno dell’immaginario e dell’associazione indiretta. I demoni del personaggio interpretato da LaBeouf, infatti, le violente personificazioni del suo inconscio (tra le quali spicca la figura, narrativamente concreta ma trasfigurata nelle fattezze, del personaggio interpretato da Asia Argento) restano fino all’ultimo separati da ciò che accade fuori; l’unico incontro possibile è quello della morte, del cadavere di un bracciante distrutto dalla fatica, su cui non si può più esercitare alcun potere taumaturgico, su cui non resta che versare una solitaria e impotente lacrima. Uno scollamento (apparente) dell’uomo dal contesto, che gli viene rimproverato fin dall’inizio del film, in una sequenza ai confini dell’horror in cui il frate fronteggia la figura di suo padre, personificazione fantastica di una coscienza sempre inquieta.
Una “croce” simbolica
Abel Ferrara ha dichiarato di non aver voluto rappresentare col suo Padre Pio tanto il santo, quanto l’uomo; ciò è vero laddove si comprenda la compenetrazione (tutta umana) della componente mistica del racconto con la dimensione personale dell’individuo, e la sua ostinazione a prendere su di se il “male” della comunità – quella del paese e quella, più generale, degli esseri umani – a un livello eminentemente simbolico. Il montaggio alternato della sequenza conclusiva, che illustra le immagini dell’eccidio del 1920 alternate alla solitaria risoluzione del sacerdote mentre si rivolge al papa, resta significativo; la morte e il sangue che infuriano fuori feriscono la psiche e l’anima del personaggio, che tuttavia ne assorbe l’orrore in modo solitario, muto, impenetrabile. Tutto il film si articola su questa alternanza di eventi e di registri narrativi, con un contrasto persino stridente tra il naturalismo delle sequenze ambientate nel paese (e il climax emotivo che culmina nella sequenza della strage) e l’impostazione fantastico/psicologica dei momenti che vedono in primo piano il frate; due binari il cui procedere indipendente risulta quasi (volutamente) frustrante, per lo spettatore, fino al punto di operare scelte di montaggio che spezzano momenti di forte tensione (la sequenza ambientata nella villa) per (ri)portare il racconto nel placido e inquieto mondo del protagonista.
L’anti-biopic
È facile immaginare che Padre Pio attirerà su di se critiche analoghe a quelle che colpirono Pasolini, col quale condivide il co-sceneggiatore (Maurizio Braucci, co-autore anche del copione di Martin Eden) e che analogamente ebbe come prima vetrina la Mostra del Cinema di Venezia. I due film risultano affini nel rifiuto della dimensione classica del biopic, e nel frustrare le attese di chiunque volesse una disamina letterale delle esistenze dei rispettivi soggetti. Così come il film del 2014 non raccontava l’uomo-Pasolini, ma un frammento della sua esistenza, calato nel contesto degli anni ‘70 italiani ma proiettato fantasticamente verso il futuro – e verso l’ipotetico film mai realizzato – così questo nuovo lavoro non vuole dire molto sull’icona-Pio, sul santo, sulla devozione o sulle critiche che la sua figura ha generato; le tanto attese e temute stimmate, è bene specificarlo, appaiono solo indirettamente in due sequenze, e non hanno praticamente alcun peso narrativo nella storia. Chi voglia approfondire la biografia del personaggio, e il suo impatto sulla realtà italiana del primo dopoguerra (e oltre) farebbe senz’altro bene a rivolgersi altrove: qui si racconta piuttosto un ritaglio della vita di un uomo, dando concretezza carnale alle sue visioni, e alternandole con quelle altrettanto cupe – ma drammaticamente più sanguigne – di una società che letteralmente prendeva fuoco intorno a lui. Nella provocatorietà dell’intento, ma anche nella sua capacità di spiazzare e colpire – positivamente – i nervi di chi guarda, l’esperimento può dirsi senz’altro riuscito.
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Scheda
Titolo originale: Padre Pio
Regia: Abel Ferrara
Paese/anno: Regno Unito, Germania, Italia / 2022
Durata: 104’
Genere: Drammatico, Biografico
Cast: Marco Leonardi, Roberta Mattei, Asia Argento, Ignazio Oliva, Alessandro Cremona, Federico Majorana, Luca Lionello, Michelangelo Dalisi, Salvatore Ruocco, Shia LaBeouf, Cristina Chiriac, Stella Mastrantonio, Vincenzo Crea, Alessio Montagnani, Brando Pacitto, Ermanno De Biagi, Martina Gatti
Sceneggiatura: Abel Ferrara, Maurizio Braucci
Fotografia: Alessandro Abate
Montaggio: Leonardo Daniel Bianchi
Musiche: Joe Delia
Produttore: Philipp Kreuzer, Diana Phillips, Maurizio Antonini
Casa di Produzione: Carte Blanche, Interlinea Films, Maze Pictures, Rimsky Productions
Distribuzione: RS Productions
Data di uscita: 18/07/2024