TRAP
Poco compreso oltreoceano, bollato da alcuni come mero esercizio di stile, Trap è a nostro modo di vedere, probabilmente, il miglior lavoro dell’”ultimo” M. Night Shyamalan, quello rientrato a pieno titolo nel circuito hollywoodiano più mainstream. Un thriller essenziale e raffinatissimo, oltre che una riflessione sullo sguardo (e sui meccanismi della tensione, cinematografica e non) di assoluto spessore.
“Well it seems like I’m caught up in your trap again
And it seems like I’ll be wearin’ the same ol’ chains
Good will conquer evil and the truth will set you free
Then I know someday I’ll find the key
Then I know somewhere I’ll find the key”
(“Trapped”, Bruce Springsteen)
Ogni nuovo film di M. Night Shyamalan è, a suo modo, un evento. Il mistero che ogni singola volta il regista de Il sesto senso costruisce scientemente intorno a ogni sua nuova opera, i dettagli attentamente centellinati sul plot, l’hype ricercato, la mistica (ormai superata… o no?) del plot twist finale, contribuiscono tutti in qualche modo a fare del cinema del regista di origini indiane un oggetto degno della massima attenzione – non solo a livello prettamente cinematografico – anche per chi non appartenga al novero dei suoi più strenui ammiratori. In più, il percorso cinematografico di Shyamalan, nell’ultimo quindicennio, ha seguito una traiettoria interessante, certo inusuale per molti registi hollywoodiani: dai trionfi e dai riconoscimenti critici degli anni ‘90 e 2000 alla crisi apparentemente irreversibile (iniziata col flop – ingiusto – di Lady in the Water e culminata con titoli su commissione come L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth) fino alla rinascita grazie al patrocinio della Blumhouse (The Visit, Split) e al successivo, pieno ritorno sotto i riflettori. Coi suoi ultimi lavori, in particolare, Shyamalan sembra aver trovato un pieno equilibrio tra la dimensione mainstream (quella che in passato era sembrata schiacciarlo) e una poetica sempre riconoscibilissima: una poetica capace ogni volta di asciugare il racconto e rendere sempre più pura e cristallina la tensione, grazie a una messa in scena all’insegna dell’essenzialità che non toglie nulla (ma anzi esalta) cura dei dettagli ed eleganza formale. Un processo, questo, già evidente nel precedente Bussano alla porta, e che ora viene portato a pieno compimento in questo Trap: un thriller che guarda contemporaneamente a Hitchcock e a De Palma, scarnificando all’estremo il racconto e “provocando” continuamente lo spettatore (a partire dall’ormai celebre “rivelazione” del supposto plot twist a inizio film).
Lo sguardo in trappola
Il plot di Trap, in effetti, mostra un’essenzialità dichiarata e quasi disarmante: un tranquillo padre di famiglia appartenente al corpo dei vigili del fuoco (un camaleontico Josh Hartnett) accompagna sua figlia dodicenne al concerto del suo idolo musicale (la fittizia popstar Lady Raven, interpretata dalla vera cantante Saleka, figlia del regista); poi, mentre seguiamo il protagonista in bagno, lo vediamo consultare il suo cellulare, e apprendiamo la sua vera identità: Cooper, questo il suo nome, è in realtà il “Macellaio”, il pericoloso serial killer che da giorni sta terrorizzando la città. Da par suo l’FBI – avendo in qualche modo saputo che sarebbe stato presente al concerto – ha organizzato un imponente schieramento di agenti per catturarlo.
Da qui, Shyamalan mette in scena un tesissimo gioco di gatto e topo, che affianca – senza sovrapporre del tutto – il nostro sguardo di spettatori a quello del protagonista braccato, mettendo quest’ultimo in costante rapporto dialettico da una parte con quello dell’ignara figlia (a sua volta “rapita” dalla lontana figura del suo idolo sul palco) e dall’altro con quelli, altrettanto inconsapevoli e quasi grottescamente fiduciosi, dei personaggi con cui di volta in volta viene a contatto. Questo semplice meccanismo – quasi quello di un thriller da camera, o di una pièce teatrale traslata su un palcoscenico più ampio, ma non meno claustrofobico – consente al regista di imbastire una riflessione teorica sul più ampio concetto di sguardo, operando (con la già citata “provocazione” iniziale, quella dello svelamento dell’identità del protagonista) un apparente rovesciamento che dà un inedito vantaggio allo spettatore rispetto a tutti gli altri soggetti: vantaggio posizionale rispetto allo stesso Cooper (in quanto il nostro sguardo si avvicina al suo, ma non vi coincide mai del tutto) ma soprattutto rispetto a coloro che lo braccano – guidati da una determinatissima profiler – oltre che ovviamente alla dodicenne Riley, “intrappolata” a sua volta (e impossibilitata a vedere) tanto dalla sua passione musicale, quanto dal suo ruolo di figlia. Ma, in fondo, il concetto dietro al titolo può essere esteso fino allo stesso spettatore, che gode di un vantaggio a ben vedere illusorio; la sua consapevolezza, infatti, non può sortire alcun effetto su quegli eventi la cui verità gli viene sapientemente (e un po’ sadicamente) rivelata, mentre lo stesso scorrere delle immagini, a sua volta, lo intrappola. Come una sorta di ostaggio muto, e impossibilitato a fuggire, dello stesso Cooper.
Slittamenti e rovesciamenti
Shyamalan, in questo modo, gioca coi nervi dello spettatore facendolo oscillare tra la fascinazione (così depalmiana) per lo sguardo e l’ottica del killer – quella che inevitabilmente porta a condividerne il sentore di animale braccato – e un punto di vista di livello appena superiore, più vicino all’occhio che direttamente guarda lo schermo eppure ancora dentro al film: quello dell’immaginario ostaggio di cui abbiamo detto sopra, tanto onnisciente quanto impotente. Un punto di vista che viene incessantemente spinto oltre e provocato, anche attraverso svolte di trama apparentemente poco credibili, in quel continuo, quasi sovrannaturale sfuggire del protagonista a ogni pericolo gli si pari davanti, favorito anche dall’innocente (quasi frustrante) cecità della stessa ragazza. Una riflessione sull’atto di guardare – e sulla stessa consistenza, in fondo fantasmatica, dello sguardo spettatoriale, che annulla lo stesso concetto di sospensione dell’incredulità – in un contenitore di genere che in fondo proprio sul relativismo dello sguardo, ma anche sulle sue possibili modificazioni, trova la sua base: anche la capacità di vedere di Riley evolve, si amplia, non a caso quando l’oggetto principale del suo sguardo (la star Lady Raven, fino ad allora sagoma lontana, “dea” incorporea, tradotta in semplice icona dotata di voce) viene in figura e diventa a sua volta soggetto capace di decisioni. In questo senso, anche l’ultima parte di Trap, quella che sembra avvicinare il film di Shyamalan a un thriller più classico, si rivela particolarmente originale per il modo in cui il rovesciamento viene operato: non solo lo slittamento del concetto di trappola, non solo l’abbandono dell’ambigua fascinazione per lo sguardo del killer, ma anche la venuta in primo piano (in carne, ossa e capacità di agire) di un personaggio fino ad allora ridotto a passivo accessorio narrativo. Un rovesciamento in cui il regista riesce persino a infilare un’intelligente riflessione sul meccanismo dei social media, per una volta messo in scena in modo realistico ed equilibrato: con la capacità mostrata da un mondo troppo spesso rappresentato, tuttora, come caricatura distorta della realtà, di agire in modo diretto (e in questo caso positivo) sulla stessa. Un richiamo, da un lato, alla responsabilità e dal potere posseduto in nuce da chiunque abbia visibilità su una qualsiasi piattaforma, dall’altro a cogliere la complessità, e i continui scambi con la cosiddetta real life, del mezzo stesso. Pillole di riflessione sociologica, quelle di Trap, ben incastonate in un contenitore di genere di rara compattezza ed eleganza, che conferma il suo regista come uno degli autori più rilevanti nel panorama del cinema d’intrattenimento (semplifichiamo) degli ultimi decenni. Un vero peccato che, oltreoceano, gran parte della critica non sembri averlo compreso.
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Scheda
Titolo originale: Trap
Regia: M. Night Shyamalan
Paese/anno: Regno Unito, Stati Uniti, Yemen / 2024
Durata: 105’
Genere: Thriller
Cast: Kid Cudi, M. Night Shyamalan, Alison Pill, Josh Hartnett, Marnie McPhail, Olivia Barrett, Vanessa Smythe, Allison Ference, Ariel Donoghue, David D’Lancy Wilson, Hailey Summer, Hayley Mills, James Gomez, Jonathan Langdon, Lochlan Miller, Marcia Bennett, Mark Bacolcol, Michael Brown, Nadine Hyatt, Russ, Saleka Shyamalan, Steve Boyle
Sceneggiatura: M. Night Shyamalan
Fotografia: Sayombhu Mukdeeprom
Montaggio: Noemi Katharina Preiswerk
Musiche: Herdís Stefánsdóttir
Produttore: Ashwin Rajan, Scott Friend, Jeff Robinson, Marc Bienstock, M. Night Shyamalan
Casa di Produzione: Blinding Edge Pictures
Distribuzione: Warner Bros.
Data di uscita: 07/08/2024