IL RITORNO
Presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma 2024, Il ritorno mette in scena gli ultimi canti dell’Odissea, presentandoci un Ulisse dolente e mentalmente spezzato (col volto rugoso di Ralph Fiennes) in cerca di ricostruzione personale più che di riconquista del suo regno e del suo ruolo. Con un’asciuttezza narrativa non priva di coraggio.
Il re spezzato
Se è vero che cinema e televisione hanno già abbondantemente sviscerato, esplorato e reinterpretato un’opera come L’Odissea – poema omerico che potrebbe essere forse definito (con tutte le cautele del caso) come il primo “sequel” della storia della letteratura – questo non è comunque un buon motivo per guardare con sufficienza a un film come questo Il ritorno. Ciò principalmente perché Uberto Pasolini (vecchia conoscenza del nostro cinema, soprattutto nelle vesti di produttore e attore, ma molto parco nelle sue regie) sceglie in questa produzione italo-britannica di concentrarsi solo sugli ultimi canti dell’opera di Omero, elidendo quindi del tutto la descrizione fantastica e avventurosa del viaggio dell’eroe Ulisse; la sceneggiatura, scritta a sei mani dal regista insieme agli autori John Colee ed Edward Bond, pone quindi il suo sguardo principalmente sulla drammatica resa dei conti che opporrà lo stesso Ulisse (qui chiamato col nome di Odisseo) e i Proci, spietati e cinici pretendenti al trono e alla mano di una regina Penelope non ancora del tutto rassegnata. Questa netta scelta di campo permette a Pasolini di lasciare del tutto fuori dalla storia qualsiasi, pur minimo elemento sovrannaturale – quelli di cui i poemi omerici, e la mitologia classica in generale, sono ovviamente imbevuti: la storia narrata in Il ritorno è semplicemente quella di un uomo spezzato, un re senza più corona tornato da una guerra che lo ha cambiato per sempre, non riconosciuto dai suoi familiari e dai suoi vecchi sudditi, e che stenta lui stesso a riconoscersi.
Non agli dèi
Presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma 2024 (dopo una prima mondiale, al Festival di Toronto, che aveva fatto registrare reazioni abbastanza positive), Il ritorno riscrive le regole del peplum preservandone l’epica attraverso un taglio di racconto inusitatamente asciutto, quasi anti-spettacolare. Una scelta di “posizionamento autoriale” molto chiara, quella di Uberto Pasolini, già visibile nella scelta del formato 1.85:1, atto a imprigionare volti e corpi, più che a preparare il climax di una battaglia (tutta concentrata negli ultimi minuti) di cui conosciamo già l’esito. E allora, ci si può concentrare sul dramma del protagonista – che ha il volto rugoso e la corporeità ben poco muscolare di un convincente Ralph Fiennes – che finisce lui stesso per ascoltare le storie del leggendario re Odisseo come qualcosa di lontano ed estraneo, comunque altro da sé; ciò mentre i suoi ricordi sono invece quelli di un orrendo conflitto, in cui lui stesso si è macchiato di crimini spaventosi. Il ricordo di un bagno di sangue, quello di amici e nemici, soldati e civili, che ha lasciato in vita – probabilmente non per opera degli dèi, ma per quella di un beffardo caso – un uomo piegato nel corpo, quanto apparentemente spezzato nella mente. Un (anti)eroe che di sangue ne ha già visto e versato fin troppo, e che tuttavia si trova costretto a compiere, suo malgrado, una nuova strage: ma ancora una volta non è il capriccio di una divinità a imporglielo, ma la pressione dei suoi riscoperti doveri sociali e familiari.
Il nuovo sangue
Proprio la descrizione dei rapporti tra Odisseo e Telemaco (che qui ha il volto perennemente ombroso di Charlie Plummer) segna uno dei punti di rilettura più originali e personali del poema omerico, con l’introduzione di un confronto generazionale – e di un muto atto di accusa da parte della generazione più giovane, non ancora scontratasi con la brutale realtà della guerra – che carica la storia di un interessante portato di modernità. Una modernità che ritroviamo anche nello sguardo tutt’altro che semplicistico – ma anzi adeguatamente problematizzato – sul tema stesso della guerra: un “grande assente” (che dovrà tuttavia, nella parte finale, fare di nuovo irruzione nella vita dell’eroe, con tutta la sua tragica concretezza) sempre evocato ma poi realmente conosciuto, e quindi odiato, solo dallo stesso protagonista. Guerra che viene contrapposta concettualmente al riparo del focolare domestico, a un ristoro ideale – e idealizzato – che la figura di Penelope (una Juliette Binoche che caratterizza il suo personaggio prevalentemente giocando di sottrazione) incarna con tutta la sua irragionevole ostinazione; ma il dolente Odisseo interpretato da Fiennes dovrà farsi carico di quell’orrore per un’ulteriore (ultima?) volta; prima che quel letto simbolicamente nascosto dalla donna – simbolo qui di un futuro in cui sperare nonostante tutto, piuttosto che di un passato da ricordare – possa accoglierli nuovamente entrambi.
Riconoscersi e ricostruirsi
Dall’incedere dilatato e avvolgente, così lontano da quello del mainstream storico/avventuroso di ieri e di oggi – ma tuttavia capace di conservare tutta l’epica della storia originale – Il ritorno asciuga gli eventi e finanche i dialoghi, concentra l’”azione” (nella misura del minimo indispensabile) nella sua parte conclusiva, e sposta intelligentemente, in modo quasi impercettibile ma decisivo, l’accento concettuale della vicenda originale: non più l’ansia dell’eroe di essere riconosciuto, nella sua fisicità e nel suo ruolo, dai suoi familiari e dai suoi sudditi – solo il riconoscimento da parte di Telemaco, in questo senso, è caricato del necessario valore emotivo; ma piuttosto il suo viaggio – questo appena iniziato – per ri-conoscersi lui stesso come individuo, per reimmaginarsi e ripensare la sua identità, tanto quella privata e familiare quanto quella pubblica. Uno sguardo, quello di Pasolini, che laddove scava a fondo nei conflitti interiori dell’eroe, non risparmia la descrizione naturalistica della miseria dell’ambiente che lo circonda, con uno sguardo che in un certo senso accosta il regista a quello che rese celebre – specie nelle sue incursioni nel genere storico – il suo più noto omonimo Pier Paolo. E, laddove si tenga conto delle coordinate concettuali dell’operazione, e della singolarità (in sé coraggiosa) dell’approccio al genere da parte del regista, Il ritorno può rivelarsi senz’altro una visione preziosa.
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Scheda
Titolo originale: The Return
Regia: Uberto Pasolini
Paese/anno: Regno Unito, Italia / 2024
Durata: 116’
Genere: Drammatico
Cast: Ralph Fiennes, Claudio Santamaria, Juliette Binoche, Marwan Kenzari, Charlie Plummer, Ángela Molina, Cosimo Desii, Giorgio Antonini, Roberto Serpi, Tom Rhys Harries, Aaron Cobham, Amesh Edireweera, Amir Wilson, Ayman Al Aboud, Fabius De Vivo, Francesco Dwight Bianchi, Handrinou Ileana, Jamie Andrew Cutler, Jaz Hutchins, Kaiti Manolidaki, Karandish Hanie, Magaajyia Silberfeld, Matthew T. Reynolds, Maxim Gallozzi, Moe Bar-El, Nicolas Exequiel Retrivi Mora, Pavlos Iordanopoulos, Raul Eduardo Salzano, Stefano Santomauro
Sceneggiatura: Uberto Pasolini, John Collee, Edward Bond
Fotografia: Marius Panduru
Montaggio: David Charap
Musiche: Rachel Portman
Produttore: Vivien Aslanian, James Clayton, Romain Le Grand, Miranda King, Marco Pacchioni, Stéphane Moatti, Ceri Hughes, Uberto Pasolini, Konstantinos Kontovrakis, Roberto Sessa
Casa di Produzione: Picomedia, Rai Cinema, Kabo Films, Redwave Films, Ithaca Films, Heretic, Marvelous Productions
Distribuzione: 01 Distribution