GODZILLA
Dovendo dare nuovo vigore a un’icona immarcescibile, cancellando al contempo il ricordo della versione di Roland Emmerich, Gareth Edwards dirige con questo nuovo Godzilla un solido blockbuster; un film con un impeto naïf capace di emergere sotto la consapevole patina da prodotto per il grande pubblico.
Il ritorno di un'icona
Non era facile, il compito a cui si dev’essersi trovato di fronte Gareth Edwards in questo suo secondo lavoro da regista, ovvero quello di rifare nel 2014 un classico come Godzilla. Il mostro della Toho, infatti, è forse – tra le creature che sono assurte al rango di babau “classici” del grande schermo – quello dalla valenza più simbolica, più esplicitamente legata al suo contesto di realizzazione (il Giappone del secondo dopoguerra) e alle inquietudini che vi erano legate. Un simbolo, quello di Godzilla, che dopo il primo film di Ishiro Honda del 1954 è stato ripreso e riutilizzato un’infinità di volte, in alcuni casi mantenendo la carica di cupo monito per la società industriale di tutte le latitudini (pur sotto la patina dello spettacolo e dell’intrattenimento), altre volte finendo trasformato, semplicemente, in veicolo di un’estetica da blockbuster plastificata, lontana dalla carica naïf ed eversiva del capostipite. Un processo che ha fatto segnare un’esemplificativa tappa col film del 1998 di Roland Emmerich, esempio di appropriazione culturale di un simbolo – e suo ipertrofico, tonitruante depotenziamento – che esplicitava perfettamente un certo periodo (gli anni ‘90 hollywoodiani) e la sua distanza col contesto di creazione del mostro della Toho. Una “macchia” che questo nuovo film targato Warner Bros., a tutti gli effetti un reboot, doveva incaricarsi di cancellare; compito in cui, a coadiuvare Edwards (già regista dell’interessante Monsters) troviamo nomi importanti del cinema fantastico degli ultimi anni quali David S. Goyer e Frank Darabont.
Il dio titano
Già dalla locandina di questo nuovo Godzilla, dai suoi cupi toni cromatici e dalla distruzione che vi è ritratta, appare chiaro lo scopo del film e l’atmosfera perseguita dal regista. L’inquietudine su larga scala che Gareth Edwads e gli sceneggiatori si proponevano di raggiungere va tuttavia a scontrarsi (o meglio a misurarsi) con la mitologia di un personaggio che ha cambiato faccia e tratti più volte, anche laddove è rimasto legato al suo originario contesto di realizzazione (il Giappone degli anni ‘50, e dei decenni successivi): Godzilla, infatti, in alcune fasi della sua storia si è trasformato in una sorta di (anti)eroe, in un difensore della Terra che di volta in volta si misurava con nemici ben più temibili (e spesso più direttamente legati all’azione umana). Questa nuova versione sceglie di non ignorare questa lettura del personaggio, facendo del mostro una figura mitica, intimamente legata all’ansia di dominio – spesso ossessiva – dell’uomo sulla natura; una forza primordiale, mossa dallo scopo di ristabilire un’ordine che la razza umana ha violato. Non a caso lo scienziato Ichiro Serizawa, interpretato da Ken Watanabe, definisce Godzilla una divinità; di un dio antico, la creatura ha infatti la potenza e l’inevitabile spietatezza, come l’attitudine a operare secondo logiche difficili da ricondurre ai concetti umani di bene e male. Una divinità che si troverà a confrontarsi, come da tradizione dei kaiju eiga, con due cosiddetti M.U.T.O. (Massive Unidentified Terrestrial Organism), parassiti anch’essi provenienti da tempi antichissimi, e nutriti dalla scellerata azione dell’uomo.
Filosofia da b-movie, estetica da blockbuster
In una progressione narrativa che si articola tra le location del Giappone, dell’entroterra americano e della località hawaiiana di Honolulu, questo Godzilla in versione 2014 stupisce per il riuscito mix tra il sapore retrò della vicenda – che resta legata all’ingenuità delle prime incarnazioni del personaggio, e alla semplicità un po’ anarchica delle sue storie – e il consapevole utilizzo dei mezzi di un blockbuster. Per quanto la definizione possa apparire azzardata – e noi stessi invitiamo a prenderla con le dovute cautele – questo reboot appare come un b-movie portato nel cinema di serie A: lo sfoggio di mezzi tecnici, che comunque non sovrasta quasi mai il racconto, non cancella la carica semplice ed eversiva della tradizione dei kaiju, il carattere fosco e simbolico delle immagini di distruzione, le angosciose metafore politiche celate dietro la spettacolarità delle sequenze da disaster movie. Una spettacolarità che qui, a differenza di quanto accaduto in passato, viene filtrata dallo sguardo intelligente del regista, che riesce a tenere a bada la naturale tendenza all’ipertrofia del soggetto: per tutta la prima parte del film, infatti, Edwards punta forte sull’accumulo della tensione e sull’attenzione ai dettagli, visivi e non, preparando il campo alla successiva, catartica esplosione di distruzione e morte in digitale. Un’esplosione che, al di là dell’uso di un 3D qui non strettamente necessario, funziona sia a livello visivo che di impatto emotivo: non si sorride praticamente mai, infatti, durante la seconda metà del film, ma piuttosto si empatizza coi personaggi, tenendo gli occhi incollati allo schermo. Un raggiungimento ottimale, e ormai sempre più raro, di quella che viene comunemente chiamata sospensione dell’incredulità.
L’importanza dei personaggi
Semplice come dev’essere un buon prodotto di genere, ma non per questo semplicistico, Godzilla riesce a rendere interessante la sua movimentata seconda frazione grazie a un’adeguata preparazione narrativa, e a una gestione efficace e funzionale dei personaggi: personaggi che puntellano una vicenda che assume i più classici contorni della cospirazione politica, dalla fuga di radiazioni del prologo – con la morte della moglie dello scienziato interpretato da Bryan Cranston – alla tenace, instancabile ricerca di verità da parte di quest’ultimo, dal percorso di crescita e presa di coscienza del di lui figlio (che ha il volto di Aaron Taylor-Johnson) al travaglio etico del personaggio interpretato da Watanabe, che ha ben presente l’incubo nucleare. La scelta della sceneggiatura è quella di mostrare – e ben caratterizzare – individui comuni alle prese con eventi potenzialmente apocalittici, spingendo forte sui legami familiari e sulla preservazione degli affetti, così come sul tema dell’elaborazione del lutto. Una resa psicologica dei caratteri, funzionale nella sua semplicità, che favorisce l’empatia e rende più credibili finanche le gesta eroiche, preparando abilmente il terreno per la frazione del film più strettamente improntata all’action. Probabilmente, quel carattere mitico e da semi-divinità che la sceneggiatura si proponeva di dare alla creatura poteva essere approfondito ancor meglio, specie visto il modo in cui lo scienziato interpretato da Watanabe lo evoca a più riprese. Una premessa solo in parte sviluppata, che forse ci si propone di rimandare a eventuali sequel; una “mancanza” che comunque non intacca la godibilità del film, blockbuster che riesce a rinvigorire, con rispetto, un’icona per sua natura immarcescibile.
Scheda
Titolo originale: Godzilla
Regia: Gareth Edwards
Paese/anno: Stati Uniti, Giappone / 2014
Durata: 123’
Genere: Avventura, Fantascienza, Fantastico, Thriller
Cast: Bryan Cranston, Juliette Binoche, Sally Hawkins, Ken Watanabe, Aaron Taylor-Johnson, David Strathairn, Elizabeth Olsen, Jared Keeso, Patrick Sabongui, Richard T. Jones, Victor Rasuk, CJ Adams, Carson Bolde, Eric Keenleyside, Garry Chalk, Hiro Kanagawa, James Pizzinato, Ken Yamamura, Luc Roderique
Sceneggiatura: Max Borenstein, Frank Darabont, David S. Goyer
Fotografia: Seamus McGarvey
Montaggio: Bob Ducsay
Musiche: Alexandre Desplat
Produttore: Shannon Triplett, Brian Rogers, Mary Parent, Jon Jashni, Thomas Tull, Martin Cohen, Bob Ducsay, Jim Rowe, Leeann Stonebreaker
Casa di Produzione: Warner Bros., Disruption Entertainment, Dune Entertainment, Legendary Entertainment, Toho Company
Distribuzione: Warner Bros.
Data di uscita: 15/05/2014