MONTEDORO
Partendo da una storia in parte biografica, Antonello Faretta dirige con Montedoro un’opera ricca di fascino, carica della forza misterica di un luogo abbandonato e delle sue suggestioni; i limiti del suo film risiedono tuttavia nel non essersi smarcato abbastanza da una forma narrativa che, evidentemente, gli va stretta.
Il tempo sospeso
Una donna americana di mezza età giunge in una impervia, sperduta località della Basilicata, arrampicata sulle colline. La donna, dopo la morte dei suoi genitori, ha scoperto che la sua vera madre è originaria del paese, e ha deciso così di mettersi in viaggio alla ricerca delle sue radici. Appena giunta nella cittadina di Montedoro, tuttavia, il paesaggio che le si presenta è apocalittico: il paese è stato infatti evacuato decenni fa a seguito di una frana, e ora per le sue vie si vedono solo rovine. Ma la donna non si dà per vinta: con l’aiuto della gestrice di un albergo sito poco distante, e di alcuni misteriose persone rimaste a vivere nei dintorni del paese, si imbarca in un lungo viaggio nel tempo e nella memoria: quella sua personale, di bambina strappata in tenerissima età alla sua terra natale, e quella di un’intera comunità, sradicata da un disastro naturale e dall’avanzata dell’industrializzazione, ma ostinatamente decisa a non far perdere traccia di sé.
Quella di Montedoro, esordio nel lungometraggio del regista di Potenza Antonello Faretta (classe 1973) è una genesi del tutto particolare. Lo stesso Faretta, infatti, ha dichiarato che lo spunto per il film gli fu dato dall’incontro con una donna che cercava sua madre in un paese fantasma, evacuato anni prima a causa di una frana. Quella stessa donna, Pia Marie Mann, è diventata poi protagonista del film di Faretta, opera a metà tra la fiction e il racconto biografico; e la storia del suo paese natale (Craco) si è identificata con quella dell’immaginaria comunità di Montedoro. Accanto alla Mann, un cast composto in gran parte da attori non professionisti, identificati con gli abitanti di ciò che resta della comunità di Craco.
L’opera prima del regista lucano si configura come un prodotto di difficile classificazione, sospeso tra i paletti e le convenzioni del cinema narrativo (la “cornice” dell’arrivo e del pernottamento della protagonista in paese) e un impianto visivo che gradualmente sembra volersene liberare. La progressione del racconto prende forma ben presto in una struttura non convenzionale, in cui diversi livelli temporali (e di realtà) si fondono e si intersecano, e in cui la ricostruzione si alterna, senza soluzioni di continuità, alla documentazione filmata. Il tutto allo scopo di comporre un viaggio nella memoria personale e collettiva, alla ricerca del genius loci di una terra che continua a proiettare, attraverso i decenni, il senso delle storie biografiche di cui si è intessuta.
Film lontanissimo dalle logiche del cinema industriale (anche per la strategia distributiva che ha adottato) Montedoro è un’opera affascinante ancorché imperfetta, intessuta di immagini e suggestioni pregne di un’innegabile malìa. Faretta mostra uno sguardo assolutamente personale, e originale, sugli ambienti e sull’ecologia umana che li popola, sui segni della natura e su quelli della cultura, su un paesaggio che si fa testimonianza e memoria, ancora vivo e palpitante nell’urgenza di raccontare le sue storie. Un paesaggio che, nella visione del film, assurge a vero protagonista del racconto, innervato dalla magia di uno sguardo che sembra raggiungere una vera e propria simbiosi con gli oggetti rappresentati. Proprio in questa capacità di trasfigurare, nella dimensione dello schermo, luoghi consunti dal tempo (ma carichi di storia), nel magnetismo a tratti irresistibile che le sue immagini esercitano sull’occhio e sull’emotività di chi guarda, sta il fascino e la forza principale di quest’opera prima.
Pur nel suo fascino visivo, e nell’indubbia forza suggestiva delle sue immagini, Montedoro è tuttavia un’opera narrativamente difettosa, che sconta la sua scelta di restare legata (nella sua cornice) al cinema di fiction. Nella scelta di adottare il punto di vista della protagonista, lo script non si preoccupa di generare, in chi guarda, un vero coinvolgimento empatico, dato invece per scontato; la sequenza iniziale, quella dell’arrivo della donna nel paese in taxi, rivela tutta i limiti della costruzione di un personaggio involuto, narrativamente oscuro, cinematograficamente poco efficace. Alcuni (perdonabili) difetti di recitazione si sommano a una concezione del racconto che, laddove continua ad adottare (formalmente) le convenzioni del cinema narrativo, si mostra poi insofferente ai loro paletti, quasi costretta in un recinto evidentemente troppo stretto. Alcune discutibili scelte di montaggio, che rendono la narrazione poco chiara anche laddove la progressione degli eventi richiamerebbe invece la logica (vedi il primo pernottamento della protagonista in albergo) confermano tutti i limiti di concezione e realizzazione del progetto. In bilico tra narrazione classica e pura astrazione, il film di Faretta resta a metà tra i due territori, in una sorta di terra di mezzo che non gli consente di esplicare appieno le sue (notevoli) potenzialità.
Scheda
Titolo originale: Montedoro
Regia: Antonello Faretta
Paese/anno: Italia / 2015
Durata: 90’
Genere: Drammatico
Cast: Giovanni Capalbo, Anna di Dio, Caterina Pontrandolfo, Domenico Brancale, Luciana Paolicelli, Mario Duca, Pia Marie Mann
Sceneggiatura: Antonello Faretta
Fotografia: Giovanni Troilo
Montaggio: Maria Fantastica Valmori
Musiche: Valdemar ‘Vadeco’ Schettini
Produttore: Ram Devineni, Antonello Faretta, Adriana Bruno
Casa di Produzione: Rattapallax
Distribuzione: Noeltan
Data di uscita: 15/04/2016