GO WITH ME
Esordio in terra statunitense per Daniel Alfredson, thriller dalle risonanze nordeuropee, Go With Me getta alle ortiche gran parte del suo potenziale, principalmente a causa di una regia confusa e di uno script che non approfondisce le biografie dei personaggi.
La legge sono io
Lilian, giovane cameriera, è tornata da poco a vivere nella sua città natale, una piccola comunità di taglialegna ai margini della foresta. Appena arrivata sul luogo, la donna subisce la persecuzione di Blackway, ex poliziotto corrotto, divenuto ora un potente criminale. Quando si rivolge allo sceriffo per denunciare le molestie, a Lilian viene consigliato di lasciare la cittadina; tutti, in paese, sembrano temere Blackway, che opera al di sopra della legge, come il vero padrone della città. L’anziano Lester, tuttavia, che ha un conto in sospeso con l’ex poliziotto, si offre di aiutare Lilian a liberarsi della persecuzione; a spalleggiarlo, il giovane Nate, suo amico di famiglia e collaboratore. I tre si imbarcheranno così in una ricerca ardua e pericolosa, contro un nemico apparentemente inafferrabile, durante la quale si scontreranno contro il muro di paura ed omertà che la città sembra aver eretto intorno al criminale.
Circa un anno dopo il passaggio, fuori concorso, alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, il thriller Go With Me, tratto dall’omonimo romanzo (per ora inedito in Italia) di Castle Freeman, Jr., approda nelle sale italiane. Un film che segna l’esordio in terra americana per il regista svedese Daniel Alfredson, già noto per aver diretto gli ultimi due episodi della trilogia thriller Millennium, tratta dai romanzi di Stieg Larsson (più precisamente, La ragazza che giocava col fuoco e La regina dei castelli di carta, entrambi datati 2009). E c’è, in effetti, molto del mondo e del mood del thriller nordico, in questo nuovo lavoro di Alfredson, traslato nei gelidi paesaggi montuosi del Vermont rurale, riportato nei torbidi locali ed alberghi abitati da una comunità chiusa in se stessa, retta dal giogo di uno spietato criminale che antepone la sua legge a quella scritta.
Restando piuttosto contratto nel minutaggio (90 minuti), Alfredson mette in scena in Go With Me lo scontro con un male pervasivo, personificato nell’archetipica figura che dà il titolo al film (proprio Blackway in originale), tanto radicato da aver infettato, con la paura e la complicità, l’intera comunità. Uno scontro che, come in un western (altro genere occhieggiato dal film) si sposta gradualmente dai territori urbani e civilizzati a quelli della wilderness ai margini della città, allontanandosi sempre più (fisicamente e simbolicamente) da qualsiasi norma di convivenza, vestendosi del carattere dell’homo homini lupus e colorandosi di valenze mitiche e simboliche.
Sui due lati opposti della barricata, un Anthony Hopkins malinconico, nei panni di un personaggio senza più nulla da perdere, e un Ray Liotta quasi mefistofelico a dare il volto allo spietato criminale; in mezzo, la figura della protagonista interpretata da Julia Stiles, nei panni di un personaggio alla ricerca di un’impossibile normalità.
C’è un fascino immediato, che emana da Go With Me, quello dei paesaggi del Nord America, delle foreste incubatrici di mistero, della natura selvaggia che resiste strenuamente (e perennemente) alla civilizzazione. Un motivo, debitore al romanzo originale, che si traduce nella dialettica tutta interna alla storia, quella tra un’organizzazione sociale che non riesce, e forse neanche vuole, garantire la sicurezza e l’incolumità ai cittadini, e il richiamo di un anarchismo primordiale, di un individualismo che (come da tradizione del western) sembra essere unico argine alla pura legge della giungla. Questa tensione si traduce nel graduale, metaforico viaggio dei tre protagonisti (tra cui spicca un Hopkins sempre carismatico) che si spostano sempre più ai confini dello spazio urbano e civilizzato, verso quella Darkness On The Edge Of Town di springsteeniana memoria, in cui soltanto si può trovare il segreto, le radici della paura e (forse) una possibile redenzione.
Nonostante le sue buone premesse, Go With Me getta tuttavia alle ortiche gran parte del suo potenziale, complice una regia confusa e a tratti pretenziosa (il montaggio sfalsato, inutile sul piano narrativo, appesantisce oltremodo la leggibilità della storia) e una sceneggiatura che scivola su personaggi e biografie senza mai approfondirli realmente. Se pure Ray Liotta fa il suo per caratterizzare l’archetipica figura di Blackway (nelle intenzioni dello script, il male personificato) il suo personaggio non acquista mai la statura mitica che il soggetto vorrebbe conferirgli. Insufficiente, sul piano narrativo, anche lo sguardo sulla figura interpretata (comunque bene) da Hopkins, sui suoi motivi di rivalsa verso il nemico, e su uno scontro che lo script (complice la contrazione temporale della vicenda) non riesce a organizzare in un adeguato crescendo. Goffo e affrettato nella gestione del racconto, frammentato e diretto in modo svogliato, il film di Alfredson si rivela un’occasione sostanzialmente mancata, che sciupa malamente il buon potenziale del suo soggetto e della sua ambientazione.
Scheda
Titolo originale: Go With Me
Regia: Daniel Alfredson
Paese/anno: Stati Uniti, Canada, Svezia / 2015
Durata: 90’
Genere: Drammatico, Thriller
Cast: Anthony Hopkins, Aleks Paunovic, Alexander Ludwig, Ray Liotta, Aaron Pearl, Hal Holbrook, Julia Stiles, Lochlyn Munro, William Belleau, Audrey Smallman, Chris Gauthier, Dale Wilson, Glenn Beck, John Tierney, Kendra Hesketh, Linda Darlow, Sam Bob, Steve Bacic, Steven Cree Molison, Tara Arroyave, Travis MacDonald
Sceneggiatura: Joe Gangemi, Gregory Jacobs
Fotografia: Rasmus Videbæk
Montaggio: Håkan Karlsson
Musiche: Anders Niska, Klas Wahl
Produttore: Lindsay Williams, Gregory Jacobs, Rick Dugdale, Ellen Goldsmith-Vein, Anthony Hopkins
Casa di Produzione: Enderby Entertainment, Gotham Group
Distribuzione: Microcinema
Data di uscita: 13/10/2016