RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME

RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME

Premio per la miglior sceneggiatura a Cannes, ultimo lavoro di una cineasta originale come Céline Sciamma, Ritratto della giovane in fiamme riflette sull'amore, sulla creazione e sulla carica di solitudine e sofferenza che questa porta con sé, trattando (anche) il gesto artistico e la sua capacità di risonanza emotiva col vero.

Brucia e diventa memoria

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È un lavoro difficile da incasellare in un percorso o in un filone preciso, l’ultimo di Céline Sciamma. Apparentemente immobilizzato in una location claustrofobica, per buona metà della sua durata giocato su un non detto (l’attrazione impensabile tra due donne alla fine del diciottesimo secolo) che successivamente esplode in passione, questo Ritratto della giovane in fiamme è un film che, prima di ogni altra cosa, nasce libero. Libero, innanzitutto dalle regole del melò classico, che vorrebbero un conflitto e degli antagonisti chiari e riconoscibili: qui invece, nella storia tra Héloïse e Marianne, la prima appena richiamata dal convento dopo la morte di sua sorella, la seconda pittrice incaricata segretamente di farle un ritratto, le cose sono insieme più semplici e più complesse: più semplici perché le due, prosaicamente, si scrutano, si studiano, diventano amiche, confidenti e poi amanti; più complesse perché l’antagonista non è tanto la madre interpretata da Valeria Golino (anche lei più vittima degli eventi che soggetto attivo) quanto il tempo e le convenzioni sociali. Convenzioni che fin dall’inizio delineano il perimetro della storia e ne prevedono gli esiti: quella tra le due giovani donne è una storia a tempo, di cui si prefigura l’esaurimento una volta finito il ritratto di Héloïse. Quello vero, quello “in fiamme”. Il problema, semmai, è farla bruciare più intensamente possibile.

Il fuoco e il tempo

Ritratto della giovane in fiamme recensione

Nel film di Céline Sciamma, regista capace di estendere il suo sguardo oltre il recinto delle tematiche LGBTQ+, il tempo è avversario delle due protagoniste (due notevolissime Adèle Haenel e Noémie Merlant) in una doppia accezione: il tempo storico vissuto e abitato dalle due da una parte, le lancette dell’orologio che scorrono, scandendo i giorni e le notti trascorsi insieme, dall’altra. L’uno influenza l’altro, in fondo: se il tempo storico riconoscesse alla donna l’autodeterminazione, la capacità di essere indifferentemente suora, artista, madre, moglie o amante, secondo la sua personale inclinazione, le due protagoniste avrebbero avuto più tempo da dedicare l’una all’altra. Ne avrebbero impiegato meno, probabilmente, a sintonizzarsi reciprocamente, a verificare che sì, quelle convenzioni sociali che ostacolano il fuoco che vive negli sguardi e nelle movenze di ognuna, sparano in realtà proiettili a salve. Ma l’influenza del tempo stringe una morsa sulle due, costringendole a bruciare in fretta una passione da trasformare presto in memoria. Una memoria insieme bellissima e malinconica. Il punto di svolta, il momento di trasformazione, è tutto racchiuso nella misterica scena del ballo intorno al fuoco, momento di liberazione femminile carico di suggestioni magiche, culminato in un ipnotico canto che accompagna la liberazione definitiva di Héloïse dai legacci della sua condizione di sposa promessa. Quel fuoco che le brucia i vestiti si lega, in uno stacco di montaggio tanto brusco quanto a suo modo armonico, a quello che la unisce alla nuova compagna. Un fuoco che, impossibile da soffocare, brucerà fino alla sua fine naturale.

Poesia e memoria

Ritratto della giovane in fiamme recensione

Il rigore della messa in scena di Ritratto della giovane in fiamme tiene in quadro le due donne e la location che fa da sfondo al loro rapporto, si concede pochissime digressioni, e fa sempre che queste siano funzionali a delineare una vicenda di cui le due rappresentano il vero centro. Persino i ripetuti tentativi di aborto della domestica Sophie, amica e complice muta, restano nel solco di un dramma che vuole descrivere la condizione femminile partendo dal concreto, dalla realtà di ciò che la morale vuole manifesto (un matrimonio combinato) e di ciò che al contrario viene lasciato a covare sotto la cenere. Non c’è il dramma della malattia, ad accompagnare l’aborto clandestino di Sophie, come (di nuovo) le regole del melò imporrebbero; solo l’abbraccio di un bambino, in un contrappasso crudele quanto consolatorio, ad alleviare il dolore, e un disegno della nuova amica a renderlo poesia e memoria. Proprio il rapporto tra realtà vissuta, sua fissazione in una forma artistica (quale che essa sia) e sua trasfigurazione lirica nel ricordo, è un altro dei temi cardine del film di Céline Sciamma: un tema che parte dal racconto classico di Orfeo ed Euridice, da quello sguardo dietro le spalle da parte dell’uomo che forse sceglie (consapevolmente) di sostituire il vissuto concreto, materiale, dell’amore, con la sua fissazione e perpetuazione nella memoria. Lo sguardo del poeta, piuttosto che quello dell’amante, come ipotizza la stessa Marianne; quello sguardo che lei stessa scoprirà di possedere (con tutto il carico di dolore che questo porta con sé), anticipato dalle visioni di quella figura in bianco nei corridoi della tenuta, poi concretizzatesi successivamente. Uno sguardo che, opposto e complementare a quello più “umano” – e legato al qui e ora – di Héloïse, tornerà anche in modo esplicito nel finale.

Brucia, arde e si consuma, il racconto di Ritratto della giovane in fiamme, analogamente al rapporto tra le due protagoniste, in modo tanto apparentemente lento e maestoso quanto in realtà rapido e crudelmente efficiente, capace di lasciare dietro di sé cenere e lacrime e ferite impossibili da rimarginare. Ma anche tracce e memoria, appunto. L’esplorazione di questa love story sui generis, che ha ottenuto il premio per la Miglior Sceneggiatura oltre alla Queer Palm all’ultimo Festival di Cannes, si sovrappone in modo quasi metacinematografico al soggetto che ritrae, riflettendo sulla creazione – e sul suo rapporto con l’amore – nel momento stesso in cui racconta (e crea essa stessa) una storia d’amore. Trasfigurando la realtà coi suoi colori (il rosso, il verde e il blu degli abiti delle protagoniste, dalla consistenza “spessa” quanto i loro tessuti) e con una regia che scruta ogni muscolo facciale delle due attrici, la rappresentazione coglie il cuore del vero e ne provoca l’identica risonanza emotiva. Materia rara, nel cinema odierno.

Ritratto della giovane in fiamme poster locandina

Scheda

Titolo originale: Portrait de la jeune fille en feu
Regia: Céline Sciamma
Paese/anno: Francia / 2019
Durata: 121’
Genere: Drammatico, Sentimentale
Cast: Valeria Golino, Adèle Haenel, Luàna Bajrami, Noémie Merlant, Armande Boulanger, Christel Baras, Clément Bouyssou, Cécile Morel, Guy Delamarche, Michèle Clément
Sceneggiatura: Céline Sciamma
Fotografia: Claire Mathon
Montaggio: Julien Lacheray
Musiche: Jean-Baptiste de Laubier, Arthur Simonini
Produttore: Olivier Père, Rémi Burah, Véronique Cayla, Bénédicte Couvreur
Casa di Produzione: Centre National de la Cinématographie (CNC), Cinécap 2, Arte France Cinéma, Lilies Films, Canal+, Hold Up Films, Ciné+, ARTE
Distribuzione: Lucky Red

Data di uscita: 19/12/2019

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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