L’UOMO INVISIBILE
L’uomo invisibile è un romanzo di H.G. Wells, poi un film di James Whale e infine un reboot – remake – adattamento dell’australiano Leigh Whannell, con protagonista un’ottima Elisabeth Moss (Mad Men, The Handmaid’s Tale). Tra Me Too e suspense opprimente, qualche inciampo narrativo e una bella citazione hitchcockiana, un thriller solido e inquietante. Da non perdere.
Non c'è nessuno in questa stanza. Forse.
Quando guarderete L’uomo invisibile, ricordatevi questo. Non dovete chiamarlo amore. Cecilia (Elisabeth Moss) lo sa, ed è bene che prendiate nota. Adrian (Oliver Jackson-Cohen), l’uomo con cui ha allacciato una relazione dall’elevato grado di tossicità, è un milionario santo patrono della scienza ottica. Incidentalmente, anche uno psicotico manipolatore con velleità da carceriere sublimate nell’asettica modernità della sua mega villa a picco sul mare. Pareti di cristallo, problematiche recinzioni. Ciò non impedisce tuttavia a Cecilia di fuggire e con la complicità della sorella (Harriet Dyer) di scampare il pericolo rifugiandosi nell’anonimato suburbano dell’amico James (Aldis Hodge). Qui viene raggiunta dalla notizia che Adrian, morto di apparente suicidio, libera la lascia ed erede di una cospicua fortuna. Fine della storia? No, trenta minuti dall’inizio del film.
Cecilia sente puzza di bruciato già dal via, teme l’improbabile cospirazione-stalking ma è difficile. È difficile convincere il mondo che le cose non sono come sembrano, e che magari su quella sedia su cui non sembra esserci seduto nessuno, magari qualcuno c’è seduto veramente, con malevole intenzioni e niente da perdere. Solo che quel qualcuno non si vede, e il resto va da sé. Cecilia fiuta il trucco, e all’atto di svelarne la meccanica riceve in cambio amichevoli pacche sulle spalle e un’empatia di facciata, perché è così che si fa con i matti di solito. Fine della storia, dunque? No, metà viaggio più o meno. L’uomo invisibile ha abbastanza assi nella manica per tenere botta, nella sua seconda metà, al senso di oppressione crescente annusato nella prima parte del racconto. L’ esposizione è interessante, la risoluzione discreta, vacilla un po’ sul piano della logica ma nel complesso funziona.
Lunga è la strada. Che dall’originale letterario di H.G. Wells del 1897 e passando per il classico horror di James Whale del 1933 porta a questo adattamento-remake dei primi decenni del XI secolo, diretto dall’australiano Leigh Whannell. Molte cose sono successe nel frattempo, alcune continuano ad accadere. Ma ciò che ci interessa, all’atto di valutare il film e i suoi motivi di interesse, può essere ricondotto essenzialmente a due fronti caldi. Il primo è il tracollo critico e finanziario del reboot La mummia (2017), che stronca sul nascere l’ipotesi Dark Universe, il cinema espanso e reticolare della Universal modellato sul “mostruoso” repertorio dello studio, a (ovvia) immagine e somiglianza degli analoghi, ma ben più riusciti, tentativi della Marvel in questa direzione.
Libero dalla necessità di plasmare trama e atmosfera de L’uomo invisibile per mezzo di continui riferimenti a una realtà altra esterna e forse non del tutto compatibile con il racconto e i suoi motivi, Whannell può limitarsi a costruire la sua storia fissandone in piena indipendenza i punti cardinali. La doppia fonte, letteraria e cinematografica, gioca un ruolo fondamentale e questo è certo. Ma è soprattutto passando in rassegna l’attualità, in cerca di spunti e chiavi di lettura capaci di iniettare vitalità al reboot senza diluire l’originalità thriller-fantascientifica del lavoro di Wells, che il film trova la sua ragione. Ciò che ci conduce, inevitabilmente, al secondo fronte caldo. Perfettamente calibrato sui tempi, forse per questo un po’ calcolato. Comunque efficace. Stiamo parlando, ovviamente, del Me Too.
Se a questo punto della storia non avete ancora familiarità con Elisabeth Moss e il suo lavoro, c’è poco da fare per voi. Il percorso di questa attrice americana in perfetto controllo della sua performance, che nasconde più verità nei suoi occhi di quante ne sia dato di afferrare al povero recensore e che muove la sua interpretazione su un pendolo che oscilla fra gli estremi di una fisicità nervosa e un’interiorità feroce e resiliente, è un film dentro il film. Dalla televisione di qualità superiore (Mad Men, Top of The Lake, The Handmaid’s Tale) al cinema (difficile da recuperare da noi) di Alex Ross Perry (Her Smell) e dei più noti Jordan Peele (Noi), Ruben Östlund (The Square) e il prossimo Wes Anderson (The French Dispatch), il marchio d’autore è tipico di una femminilità e un femminismo agguerriti mai dogmatici. Grazie al cielo.
È questo filo conduttore, in fondo, a garantire per L’uomo invisibile e assicurargli, immaginiamo, uno spazio nelle conversazioni future. L’incontro fra la sensibilità della Moss e il gusto per la messa in scena di Whannell partorisce un thriller femminista che riesce a mantenere un sorprendente equilibrio nel dosaggio degli ingredienti. Certo c’è molto di più in questa storia, oltre il mistero di uno spazio vuoto che forse così vuoto non è. Più ogni altra cosa, è lo sguardo (di un uomo, della macchina da presa, di un regista) che svuota di umanità il suo inconsapevole destinatario. Ridotto allo stato di oggetto, la vita manipolata e reclamata nel nome di una criminale volontà di possesso tragicamente interpretata come amore. Ma non si tratta di amore. A valle di tutto questo, l’intuizione è di servire il calcio in bocca al patriarcato per mezzo dello shock fisico/emotivo di un racconto di genere. La spettacolarizzazione del trauma espone il film al rischio di superficialità, e non possiamo parlare di scampato pericolo in questo senso, ma fornisce comunque un surplus di tensione di cui non possiamo proprio lamentarci.
Scheda
Titolo originale: The Invisible Man
Regia: Leigh Whannell
Paese/anno: Stati Uniti, Australia / 2020
Durata: 110’
Genere: Fantastico, Horror, Thriller
Cast: Elisabeth Moss, Aldis Hodge, Storm Reid, Zara Michales, Amali Golden, Anthony Brandon Wong, Benedict Hardie, Dennis Kreusler, Oliver Jackson-Cohen, Bianca Pomponio, Harriet Dyer, Michael Dorman, Michael Knott, Nash Edgerton, Randolph Fields, Sam Smith, Serag Mohamed
Sceneggiatura: Leigh Whannell
Fotografia: Stefan Duscio
Montaggio: Andy Canny
Musiche: Benjamin Wallfisch
Produttore: Kylie Du Fresne, Jason Blum
Casa di Produzione: Blumhouse Productions, Goalpost Pictures, Dark Universe, Universal Pictures
Distribuzione: Universal Pictures
Data di uscita: 27/03/2020