GREEN BOOK
Protagonista dell’edizione 2019 degli Oscar, allontanamento per Peter Farrelly dal suo consueto approccio “politically incorrect”, Green Book è un road buddy movie che non osa niente sul piano espressivo, offrendo con efficacia l’intrattenimento “impegnato” (ma altresì facile) che il suo soggetto prometteva.
Hit the Road, Tony & Don
Cambia nettamente genere e tono, il cinema di Peter Farrelly con questo Green Book, segnando inoltre il distacco (momentaneo?) del regista americano dalla collaborazione col fratello Bobby, insieme al quale aveva diretto gran parte delle sue opere passate. Abbandonato il politically incorrect delle commedie degli anni ‘90 e 2000 – Scemo & più scemo, Tutti pazzi per Mary, Io, me & Irene solo per citare i titoli più noti – e andando a pescare all’interno della storia recente degli Stati Uniti, Farrelly racconta qui la vicenda reale dell’amicizia tra il pianista afroamericano Don Shirley e il buttafuori italoamericano Tony Lip (all’anagrafe Frank Anthony Vallelonga); un’amicizia nata negli anni ‘60 durante un memorabile tour del musicista, e che si sarebbe poi protratta negli anni e decenni a venire. Un progetto, quello di Green Book, che nasce da un copione scritto originariamente da Nick Vallelonga, figlio dell’ex buttafuori – scomparso nel 2013, stesso anno della morte dell’amico Don Shirley – di concerto con la famiglia Shirley e con la loro fondazione.
Viaggio nel profondo Sud
Nel plot del film di Farrelly siamo nel 1962, anno di passaggio per la storia degli Stati Uniti: la versione più democratica e inclusiva del Sogno Americano è ancora in vita, coi Kennedy al potere – John come presidente e Bob quale procuratore generale – ma il pieno riconoscimento dei diritti civili per gli afroamericani e le altre minoranze è ancora tutto da conquistare. In questo contesto troviamo Tony, irascibile buttafuori del locale Copacabana, momentaneamente senza lavoro a causa della chiusura del locale per ristrutturazione; l’uomo, sposato e con una famiglia da mantenere, accetta un lavoro di autista e tuttofare per il pianista Don Shirley, che sta per intraprendere un tour col suo trio nel profondo sud degli Stati Uniti. Shirley è un uomo rigido, dalle forti convinzioni morali e apparentemente fiero del suo attuale status alto borghese; l’esatto contrario di Tony, irruento e spontaneo, che non fa niente per nascondere le sue origini popolari. Dopo le prime incomprensioni, in un viaggio che si rivelerà unico, i due scopriranno di avere bisogno l’uno dell’altro.
Un road movie da manuale
Fu protagonista nell’edizione 2019 degli Academy Awards, Green Book, ottenendo le statuette per miglior film, miglior attore non protagonista (Mahershala Ali) e miglior sceneggiatura originale. Guardandolo o riguardandolo oggi, non è difficile capire come il film di Farrelly abbia conquistato i giurati dell’Academy, in un periodo più generale, per gli Oscar, che sembra proprio premiare quel mix di progressismo tematico e conservatorismo estetico che il film incarna. Ci spieghiamo meglio. Dal punto di vista tematico, il film di Peter Farrelly si rifà a una lunga tradizione americana di commedie “impegnate” – da Indovina chi viene a cena? in poi – che cercavano di rovesciare l’attitudine velatamente razzista della Hollywood degli anni precedenti, utilizzando lo strumento della commedia di costume per puntare il dito sulle storture del sistema e sulle persistenti discriminazioni. In questo senso, Green Book ha a suo modo un plot “da manuale”, che rovescia convenzioni e stereotipi – un bianco proletario e a sua volta oggetto di discriminazione per la sua etnia, con un afroamericano dell’alta borghesia – e ben descrive il clima del Sud degli Stati Uniti nel periodo. Un compito che viene portato a termine usando però il modello di messa in scena più classico, quello del road movie basato su un’amicizia, attentissimo a seguire per filo e per segno tutte le convenzioni del genere.
Il piacere del riconoscimento
Va in effetti dritto al suo obiettivo, Green Book, seguendo da vicino il viaggio dei suoi protagonisti e descrivendone in modo puntuale le tappe, tutte piuttosto prevedibili e non per questo meno piacevoli da assimilare: l’iniziale ritrosia dei due protagonisti a legare, a causa di background e caratteri diametralmente opposti; il loro progressivo avvicinamento, con la scoperta del piacere della compagnia reciproca; i momenti di crisi, in cui le diverse origini e il diverso approccio alle esperienze finisce per mettere in discussione l’amicizia ed evidenziare le differenze. Green Book, il cui titolo racconta di un libro (quello dei locali del Sud considerati “sicuri” per gli afroamericani) sembra seguire a sua volta un manuale, attentissimo a non fare nessuna deviazione dal percorso tracciato. Ogni snodo narrativo, ivi compresa una conclusione che corona il tragitto compiuto dai due nel modo più emotivamente forte, viene praticamente annunciato dalla trama; il film di Farrelly sembra ricercare – e trovare – quel piacere del riconoscimento di cui parlò Umberto Eco in un suo saggio sulla narrativa, quello che soddisfa il lettore/spettatore per la sua capacità di prevedere gli eventi, e lo fa nel contempo sentire a casa.
La giusta miscela
Non rischia in nulla, Green Book, aggiungendo al suo cocktail tematico/visivo una buona valorizzazione del paesaggio – quello, visivamente attraente quanto ostile per certi suoi visitatori, del Sud degli Statees – una retorica da buddy movie che mette insieme una coppia tanto improbabile quanto in realtà ben assortita, e una buona dose di canzoni d’epoca, a facilitare l’immersione in una descrizione semplificata, ma in fondo efficace, di un periodo-chiave per la storia recente degli States. Il film di Peter Farrelly sceglie persino di lasciare sfumato e non approfondito il tema dell’omosessualità del personaggio di Don Shirley, in un periodo in cui alle minoranze sessuali veniva riservato un trattamento forse ancor peggiore di quello di cui erano oggetto quelle etniche. Privo di sostanziali scossoni com’è – e tuttavia efficace per lo scopo che si proponeva – Green Book si affida (anche) all’abilità dei suoi due interpreti principali, con un Viggo Mortensen ingrassato e abbrutito appositamente per il ruolo, e un Mahershala Ali abile nel delineare l’arco narrativo compiuto dal suo personaggio nella storia. Mancano le nuances, mancano i caratteri che non si possano facilmente incasellare in un ruolo predeterminato; mancano le sorprese, ma in fondo il film non ne aveva promesse (o sì?). Il suo lavoro, Green Book, lo svolge complessivamente bene, puntando sul sicuro ed evitando “pericolosi” guizzi personali.
Scheda
Titolo originale: Green Book
Regia: Peter Farrelly
Paese/anno: Stati Uniti, Cina / 2018
Durata: 130’
Genere: Commedia, Drammatico, Biografico
Cast: Linda Cardellini, P.J. Byrne, Mahershala Ali, Don DiPetta, Don Stark, Sebastian Maniscalco, Anthony Mangano, Dimiter D. Marinov, Frank Vallelonga, Gavin Lyle Foley, Hudson Galloway, Jenna Laurenzo, Joe Cortese, Jon Sortland, Louis Venere, Maggie Nixon, Mike Hatton, Mortensen, Paul Sloan, Quinn Duffy, Rodolfo Vallelonga, Seth Hurwitz, Von Lewis
Sceneggiatura: Peter Farrelly, Brian Hayes Currie, Nick Vallelonga
Fotografia: Sean Porter
Montaggio: Patrick J. Don Vito
Musiche: Kris Bowers
Produttore: Ted Virtue, Charles B. Wessler, Jim Burke, Brian Hayes Currie, Peter Farrelly, J.B. Rogers, Nick Vallelonga
Casa di Produzione: Wessler Entertainment, Participant, Alibaba Pictures, Dreamworks Pictures, Innisfree Pictures, Cinetic Media, Louisiana Entertainment
Distribuzione: Eagle Pictures
Data di uscita: 31/01/2019