JUDAS AND THE BLACK MESSIAH
di Shaka King
C’è Daniel Kaluuya, leader delle Pantere Nere. E poi c’è Lakeith Stanfield, ladruncolo aspirante rivoluzionario e informatore FBI al soldo del padrone bianco (Jesse Plemons e Martin Sheen). Judas and the Black Messiah, candidato a 6 Premi Oscar, è un dramma storico che mescola il gusto per il thriller all’esplorazione intima. L’ottima regia di Shaka King lega la storia americana a dilemmi morali universali, il passato al presente tormentato. Kaluuya e Stanfield su livelli notevolissimi. Dal 9 aprile sulle principali piattaforme streaming.
Una storia americana
Basterà la neanche troppo velata (eufemismo) allusione biblica racchiusa nel titolo a porre l’accento sul versante spirituale della faccenda. Ma va aggiunto qualcosa. Perchè Judas and the Black Messiah, dal 9 aprile disponibile per l’acquisto e il noleggio sulle principali piattaforme streaming, è un curioso e perlopiù riuscito ibrido di generi. C’è qualcosa di molto interessante nel senso delle proporzioni del regista Shaka King, che co-sceneggia anche. Il suo film ha la scorza dura e senza fronzoli del thriller poliziesco, è una saporita ricostruzione storica, musicalmente raffinato, mette il dito nella piaga morale, gioca con la forma (materiali di repertorio etc.). Ancorato da due interpretazioni torreggianti: un imponente Daniel Kaluuya nella parte di Freddie Hampton, chairman (presidente) della sezione Illinois (la s non si legge) delle Pantere Nere; e un altrettanto notevole Lakeith Stanfield, infiltrato FBI e “periscopio” del grand’uomo, in perenne oscillazione tra contraddittorie fedeltà e impellenti bisogni. Candidato a sei premi Oscar.
Il Vangelo secondo Giuda
Lo spettro morale di Judas and the Black Messiah è definito con asciutta precisione. I buoni da una parte, i cattivi dall’altra, Stanfield al centro; arbitro mediatore e angelo caduto. Questo è il Vangelo di Giuda, nel senso che l’esperienza del tradimento è utilizzata da King come avamposto narrativo e morale per raccontare qualcosa di molto interessante sullo scandaloso cuore razzista della società americana, sulla persecuzione istituzionale organizzata e su un sogno, un’utopia folle di giustizia e uguaglianza trasversale. Il sogno di Freddie Hampton, il film è palesemente dalla sua parte, lo mette in grossi guai.
Hampton vs Hoover
Tratto da una storia vera. L’ambizione di Hampton è di saldare il bisogno di giustizia sociale e piena emancipazione degli afroamericani alle necessità di gruppi apparentemente lontani sul piano ideologico. Il suo fronte è cosmopolita, americano nel senso più nobile della parola. Retaggio della mentalità inclusiva e maledettamente sognatrice dei tardi anni ’60 per cui ogni oppresso, indipendentemente da età, sesso e convinzioni politiche, quindi anche un bianco oppresso – qui sta il punto – può essere artefice della rivoluzione. Quasi superfluo aggiungere che J. Edgar Hoover, un pesantemente truccato Martin Sheen, non la prende niente bene.
E sguinzaglia il galoppino Jesse Plemons, cui affida il compito di mettere in moto Giuda/Stanfield, ladruncolo da quattro soldi plasmato dalla minaccia della galera e dalla promessa del riscatto economico. Judas and the Black Messiah incastra i piani di lettura, mattoncino dopo mattoncino. Un guardie e ladri d’epoca ma tarato sull’oggi, costruito sul dilemma morale di un uomo preso tra due fuochi. Lo sporco lavoro dell’infiltrato e la seduzione di un’ideologia rivoluzionaria, che forse o forse no potrà fare a meno della violenza. L’esito di questo conflitto, la storia di Hoover, di Hampton, di William O’Neal – questo il nome della talpa – dell’America tutta, è consegnata ai libri di storia.
Bianco e nero
C’è molto, di irrisolto, nella relazione tra Jesse Plemons e Lakeith Stanfield. Il razzismo nemmeno troppo latente del primo, la sudditanza strisciante del secondo nei confronti dell’istinto manipolatore del grande burattinaio bianco; il film non coltiva a sufficienza questa parentesi ed è un peccato, ma il cuore e l’attenzione di Shaka King sono rivolti altrove. Il bianco, qui, sbiadisce nel bozzetto, la caricatura sterile. Meritava più spazio e attenzione la brava Dominique Fishback (The Deuce), Deborah Johnson compagna di vita e di lotta di Hampton.
Passo a due
Ma proprio qui sta il punto. Judas and the Black Messiah è un passo a due, il riflesso di traiettorie esistenziali opposte. La purezza di un ideale e la malinconia del tradimento. Il film sceglie la sua trincea e da lì combatte. Ma il furore partigiano è bilanciato dall’integrità del punto di vista complessivo, l’onestà delle intenzioni. Daniel Kaluuya infonde al suo Hampton magnetismo, istinto da seduttore e una fisicità importante. Lakeith Stanfield modula l’inquietudine e qualche exploit sopra le righe della sua talpa con una performance trattenuta e tormentata. Nel percorso di questi due uomini, il retaggio di una storia più grande. Antefatti, riflessioni e ipotesi su una pagina di storia americana ben lontana dall’agognato traguardo, la parola fine.
Scheda
Titolo originale: Judas and the Black Messiah
Regia: Shaka King
Paese/anno: Stati Uniti / 2021
Durata: 126’
Genere: Drammatico
Cast: Jesse Plemons, Daniel Kaluuya, Lil Rel Howery, Lakeith Stanfield, Darrell Britt-Gibson, Ashton Sanders, Robert Longstreet, Dominique Thorne, Martin Sheen, Algee Smith, Amari Cheatom, Caleb Eberhardt, Dominique Fishback, Ian Duff, Khris Davis
Sceneggiatura: Shaka King, Will Berson
Fotografia: Sean Bobbitt
Montaggio: Kristan Sprague
Musiche: Mark Isham, Craig Harris
Produttore: Will Berson, Charles D. King, Ryan Coogler, Shaka King, Kenneth Lucas, Keith Lucas
Casa di Produzione: Participant, Bron Creative, Proximity, BRON Studios, MACRO
Distribuzione: Warner Bros.
Data di uscita: 09/04/2021