A CLASSIC HORROR STORY
A Classic Horror Story sta già facendo molto parlare di sé, perché un horror italiano approdato sulla più importante piattaforma di streaming (Netflix) è già di per sé un risultato notevole. Ma il film di Roberto De Feo e Paolo Strippoli è in realtà molto di più: è uno dei migliori esempi di cinema di genere italiano degli ultimi decenni. Proviamo qui a spiegare perché, senza rovinarne la visione.
Una non-recensione
È molto difficile recensire un film come A Classic Horror Story, opera seconda di Roberto De Feo – qui coadiuvato in regia da Paolo Strippoli – senza rovinare almeno in parte il piacere della sua fruizione. La tipologia di film che De Feo e Strippoli hanno imbastito, e lo stesso modo in cui la sua storia si dipana, rendono potenzialmente dannoso (per lo spettatore) qualsiasi tentativo di analisi critica. Perché rivelare le stesse tematiche del film, andare a fare un’analisi su ciò che dice e su ciò che propone, significherebbe inevitabilmente fare dei sostanziali spoiler. Tuttavia, dobbiamo provarci lo stesso, perché un film come quello dei due registi italiani – opera assolutamente atipica per il nostro cinema, a molti livelli – non merita certo il silenzio. Il sostegno, senz’altro, ma non quello generico che può derivare dal semplice tam-tam sui social (che comunque non gli sta mancando). Per parlare di A Classic Horror Story, in qualche modo, dovremo per forza tradire il concetto stesso di recensione, fare una non-recensione. Ci proveremo, senza tuttavia garantire altro che la buona volontà per il risultato finale.
La classicità come punto di partenza
Il canovaccio di base di A Classic Horror Story è quello di un film che mantiene fede al suo titolo: cinque sconosciuti, Elisa, Fabrizio, Riccardo, Mark e Sofia, sono diretti verso una destinazione comune nel Sud Italia. Ognuno ha la sua provenienza, la sua storia e le sue personali gatte da pelare; i cinque partono col camper di Fabrizio, youtuber e aspirante filmmaker, in un’iniziale atmosfera di concordia. A un certo punto, il camper sbanda per evitare la carcassa di un animale sulla carreggiata, finendo contro un albero. Riavutisi dopo aver perso i sensi, i cinque scoprono di essere finiti parecchio lontani dalla strada; sono nel fitto di un bosco, vicino al quale c’è una casa di legno. Forse qualcuno lì può aiutarli, o forse nella casa si cela in realtà un pericolo mortale.
Non è davvero il caso di dire di più sul plot del film di De Feo e Strippoli, anzi, speriamo sinceramente di non aver già detto troppo. Ci limiteremo ad aggiungere che A Classic Horror Story è un film che funziona a strati, strati che si rivelano gradualmente durante la sua visione. L’horror è il punto di partenza e di arrivo, ma in mezzo c’è molto altro. “Altro” che tuttavia non tradisce mai, ma anzi valorizza, i canoni del genere.
Un film citazionista?
Anche su questo punto, è necessario usare estrema cautela. Chi scrive deve confessare di aver iniziato ad annotare mentalmente le tante citazioni e i rimandi presenti in A Classic Horror Story (non siamo soliti usare un blocco per gli appunti, normalmente, ma qui sarebbe forse tornato utile); arrivati a un certo punto, tuttavia, ci si rende conto che anche rivelare quali film vengano citati e quali omaggiati, più o meno esplicitamente, finirebbe per “dire” più di quello che vorremmo sul film. Alcuni dei rimandi più importanti sono evidenti già dalle foto, ma questo era inevitabile. Il film di Roberto De Feo e Paolo Strippoli va oltre il semplice citazionismo: le citazioni e i rimandi diventano al contrario parte integrante della sua struttura, oltre che della sua stessa ragion d’essere. Detto in questo modo, ci rendiamo conto che potrebbe sembrare un rilievo di scarsa personalità o di incapacità di creare qualcosa di nuovo; eppure è tutto il contrario. Da suggestioni già esistenti, amalgamate e giustificate in un certo modo, quello che fuoriesce è un risultato del tutto originale e personale. Qualche volta, l’insieme non è la mera somma delle sue parti. Dipende da come questo insieme viene assemblato, e perché. È decisamente il caso di questo film.
La fruizione e i fruitori
Apriamo un piccolo capitolo sul pubblico a cui è destinato questo film, e in particolare sui suoi fruitori “naturali”, ovvero gli appassionati di cinema horror. Nel corso degli anni, in un genere dove tanto si è già detto, visto e provato, e dove l’istanza primeva dello stesso genere (la paura) è di fatto sempre più lontana, l’appassionato di horror è diventato certamente più smaliziato. Forse, per molti versi, più annoiato, persino più cinico. E questo, parliamo per esperienza personale, non è positivo. Abbiamo finito per smettere di stupirci, non solo di spaventarci; abbiamo disimparato a lasciarci andare alla fascinazione delle immagini, a farci rapire e portare altrove. Finiamo a volte per liquidare tutto con un sorriso di sufficienza, o con due parole ben scelte (magari ben confezionate) su difetti e limiti che, ad andarli a cercare col lanternino, non risparmierebbero nessun film (classici compresi). Potremmo farlo anche nel caso di A Classic Horror Story, ma qui assolutamente ci asterremo. Perché il film di De Feo e Strippoli sembra una sveglia suonata nelle orecchie proprio a questo tipo di pubblico: un invito a scuotersi, a essere capaci ancora di riconoscere un’idea nuova laddove c’è. Qui, di idee nuove ce ne sono tante, e tutte valide. Il film ne è letteralmente una fucina. Non riconoscerlo sarebbe, semplicemente, segno di disonestà intellettuale.
Il canale distributivo
Dalla considerazione appena fatta sul pubblico ne nasce una seconda, collaterale, relativa alla destinazione del film e alla natura generalista della sua utenza. Quanto arriverà, quanto sta arrivando, dell’essenza di A Classic Horror Story, allo spettatore medio di Netflix? Dubbio legittimo, che però rischia di legittimare un altro tipo di cinismo: quello dei nemici “duri e puri” delle piattaforme, quello della superiorità un po’ sprezzante di chi, per difendere un’istanza sacrosanta (la sopravvivenza del cinema in sala), liquida il resto dell’universo audiovisivo come non degno di analisi e approfondimento. Magari liquidando anche il suo intero pubblico alla stregua di semplici, inconsapevoli consumatori – senza considerare che questa sotto-categoria è in realtà trasversale a tutti gli spettatori dell’audiovisivo. Noi non cadremo in questa trappola, consapevoli che la realtà del pubblico (di quello delle piattaforme così come di quello delle sale) è complessa e variegata. E che i rischi di una fruizione superficiale (se non di una “decodifica aberrante”, per citare Umberto Eco) sono presenti per qualsiasi opera che voglia confrontarsi col pubblico.
Il sospetto
No, non parliamo dell’immortale classico di Alfred Hitchcock (che, possiamo dirlo senza tema di rovinare alcunché, non rientra tra i film omaggiati da A Classic Horror Story). Parliamo piuttosto del precedente film di Roberto De Feo, il premiato e fortunato The Nest (Il nido). Qualcuno, forse, ricorderà la reazione fredda provocata in chi scrive dall’esordio del regista pugliese. Chi non se la ricordasse o l’avesse persa, può andarsela a recuperare. Nessuno intende nascondersi. Però, a questo punto, dopo aver assistito al fiume in piena di idee e talento che è A Classic Horror Story, dopo aver sperimentato un approccio tanto personale e profondo al genere, il beneficio del dubbio (e di una seconda visione) per l’opera prima dello stesso regista, va come minimo concesso. A volte, qualcosa di un film non arriva, o semplicemente non viene recepito bene. A volte, si hanno dei pregiudizi, o una visione instradata e condizionata da circostanze che col cinema c’entrano poco. A volte (e dire questo è un po’ doloroso, ma necessario) anche il cinismo di cui abbiamo parlato poco sopra può fare la sua parte. Una parte deleteria. Non diciamo che sia stato senz’altro così, ma non pretendiamo nemmeno di essere esenti da quello di cui abbiamo appena detto. Verificare non sarà difficile.
Siamo arrivati alla fine, e non abbiamo detto nulla sulle ottime prove dei cinque attori principali (li citiamo comunque, com’è giusto fare: Matilda Lutz, Francesco Russo, Peppino Mazzotta, Will Merrick e Yuliia Sobol). Prove che danno un’ottima resa dei personaggi, sia individuale che collettiva. E non abbiamo citato neanche la bella fotografia di Emanuele Pasquet, la cui cura è una qualità così rara in un horror italiano recente. D’altronde, questa non era una recensione. O sì?
Scheda
Titolo originale: A Classic Horror Story
Regia: Roberto De Feo, Paolo Strippoli
Paese/anno: Italia / 2021
Durata: 95’
Genere: Horror
Cast: Alida Baldari Calabria, Cristina Donadio, Francesco Russo, Justin Korovkin, Francesca Cavallin, Giuseppe Russo, Matilda Anna Ingrid Lutz, Peppino Mazzotta, Yuliia Sobol, Will Merrick
Sceneggiatura: Roberto De Feo, Paolo Strippoli, Milo Tissone, David Bellini, Lucio Besana
Fotografia: Emanuele Pasquet
Montaggio: Federico Palmerini
Musiche: Massimiliano Mechelli
Produttore: Maurizio Totti, Alessandro Usai, Iginio Straffi
Casa di Produzione: Colorado Film, Rainbow S.p.A.
Distribuzione: Netflix
Data di uscita: 14/07/2021