DUE FRATELLI
Il secondo lungometraggio della regista e sceneggiatrice Léonor Serraille, premiata con la Camera d’Or come miglior esordiente nel 2017 con Montparnasse – Femminile Singolare, ci racconta del tentativo di costruirsi una vita in Francia da parte di una madre ivoriana e dei suoi due figli. Tramite l'evoluzione di questo nucleo familiare nel corso del tempo, Due fratelli si pone dunque come un ambizioso dramma di formazione e immigrazione, che fatica però a lasciare un segno emotivo significativo nello spettatore. In concorso per la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2022.
Tre volti
Con Due fratelli seguiamo, a partire dal 1989, una famiglia di immigrati dalla Costa d’Avorio che si stabilisce in Francia, dapprima a Parigi e poi a Rouen. Va detto subito che il titolo italiano, come del resto quello originale (Un petit frère) e inglese (Mother and Son), risulta parziale in quanto non riesce a sintetizzare accuratamente la struttura triangolare scelta per la narrazione della vicenda. Il film è infatti suddiviso efficacemente in tre capitoli, dando così la possibilità di mostrare gli eventi familiari attraverso diverse prospettive che si susseguono lungo un arco cronologico di circa un ventennio. La prima parte, tramite il personaggio di Rose, mostra cosa significhi essere straniero in una terra altrui; la sezione centrale è invece incentrata sul figlio maggiore Jean (Stephane Bak), cresciuto e quindi divenuto responsabile del fratellino Ernest (Kenzo Sambini) mentre il terzo e ultimo capitolo si concentra su quest’ultimo personaggio divenuto adulto.
Feroce indipendenza
All’interno di questo trittico, le parti più riuscite sono quella iniziale e finale. Nella prima ci viene infatti offerto un buon ritratto di una donna in continuo contrasto con ciò che la circonda e con ciò che lei stessa stabilisce come regola per i suoi figli. Quello di Rose, grazie anche alla bellezza e all’espressività’ di Annabella Lengronne, è un personaggio imperfetto nella sua ipocrisia che, se da un lato si pone come una mamma affettuosa verso i suoi due bambini, non rinuncia comunque a portare avanti la propria indipendenza prima di tutto affettiva e sessuale, anche di fronte ai parenti più conservatori. Del resto, non ci viene mai svelato esattamente cosa l’abbia spinta a lasciare l’Africa e i figli maggiori lì rimasti; probabilmente un trauma che è alla base delle sue relazioni fallimentari con gli uomini. Due fratelli è, in questa prima sezione, non tanto una storia di maternità quanto di rapporti uomo/donna, molto simile peraltro a quanto visto in un’altra recente pellicola transalpina, Saint Omer di Alice Diop.
Il fratellino
La terza e ultima parte di Due fratelli mostra, tramite un Ernest divenuto professore di filosofia, come nel corso degli anni siano cambiate l’unità familiare e le dinamiche interne a essa. In questo segmento dal valore esistenziale, come evidenziato dalla frase di Pascal sulla quale il professore si sofferma con i suoi alunni, viene ribaltata completamente la prospettiva iniziale: Ernest è l’unico personaggio a progredire realmente, a differenza di chi rimane piuttosto costante (Rose) o regredisce (Jean). Non è un caso che la sua voce fuori campo faccia da fil rouge tra le tre sezioni del film e che la scena più bella sia quella della conversazione finale tra madre e figlio, fatta di primi piani, in cui si sente tutto il peso degli eventi e del trascorrere del tempo. Viene però lasciato intendere dalla regista che solo apparentemente l’uomo si è inserito appieno nella società: l’incontro colorato di venature razziste con la polizia francese sembra infatti collocarlo più che altro in una terra di mezzo tra il “bianco” e il “nero”.
(Non) eque prospettive
Laddove Due fratelli lascia molto, troppo, di inesplorato è nel capitolo centrale dedicato al figlio più grande, al suo rapporto con la madre, il patrigno e la sua ragazza bianca (relazione conflittuale con i primi, non meglio definita, a conti fatti, con quest’ultima). La frustrazione e la depressione di Jean vengono raccontate tramite troppe sfumature e sottigliezze, al punto che viene da chiedersi perché butti il personaggio via tutti gli impulsi, o sogni, avuti negli anni della giovinezza. L’elemento razziale, infatti, in questa parte viene solo vagamente e intuitivamente abbozzato e lo spettatore può quindi solo ipotizzare che tali rinunce o perdite siano dovute alle difficoltà di essere un immigrato africano nella società francese. Oppure che alla base del malessere ci siano le pressioni e le aspettative riposte in lui dalla madre, con le sue esortazioni a impegnarsi per avere successo e mostrarsi impeccabilmente forti. Questa risulta essere la sezione meno potente di tutto il film, nonostante una lunga sequenza in cui Jean si arrende al suo dolore mentre balla in una discoteca; tutto l’opposto del nightclub di Babel (2006, Inarritu), fonte di vita e di umanità per la sordomuta giapponese Chieko.
Con un po’ di forza in più
Due fratelli tende dunque a essere poco incisivo nel raccontare fino in fondo le interiorità dei protagonisti e nel trattare le spaccature generazionali che li allontanano, non riuscendo a creare complessivamente il giusto collante tra i tre capitoli, e quindi a generare la potenza emotiva nello spettatore. Resta senza dubbio lo sguardo sinceramente coinvolto della regista e sceneggiatrice Léonor Serraille (del resto la storia le è stata ispirata dal suo partner di origine africana e dalla sua recente maternità), che ci porta a riflettere sulle nostre identità, molto imposte dall’esterno, e sul nostro reale posto nel mondo.
Locandina
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Scheda
Titolo originale: Un petit frère
Regia: Léonor Serraille
Paese/anno: Francia / 2022
Durata: 116’
Genere: Drammatico
Cast: Pascal Rénéric, Stéphane Bak, Jean-Christophe Folly, Laetitia Dosch, Majd Mastoura, Manon Clavel, Thibaut Evrard, Aliocha Delmotte, Angelina Woreth, Annabelle Lengronne, Audrey Kouakou, Eric Garzena, Etienne Minoungou, Jacques Tellier, Kenzo Sambin, Manuel Le Lièvre, Maïmouna Bakari, Milan Doucansi, Naïma Kadri, Pierre Delaunay, Rafaël Rajabian, Saul Benchetrit, Sidy Fofana, Youna De Peretti
Sceneggiatura: Léonor Serraille
Fotografia: Hélène Louvart
Montaggio: Clémence Carré
Produttore: Sandra da Fonseca, Bertrand Gore, Nathalie Mesuret
Casa di Produzione: Palatine Étoile 18, Agence Nationale pr Cohésion des Territoires, France Télévisions, Cofinova 17, Canal+, Ciné+, France 3 Cinéma, Fonds Images de la Diversité, Blue Monday Productions
Distribuzione: Teodora Film
Data di uscita: 31/08/2023