FERRARI
di Michael Mann
L’atteso ritorno al cinema di Michael Mann si traduce in un film solo apparentemente più dialogato e sobrio, nella messa in scena, rispetto ai precedenti lavori del regista: in Ferrari, in realtà, si ritrova intatto l’afflato umanista del cinema di Mann, insieme a un cupo, sotterraneo sentore di morte che lo rende in realtà molto coerente col resto della filmografia del regista. In concorso a Venezia 80.
Racing in the Street
Il ritorno dei grandi porta sempre con se un certo hype. Ancor più se, come nel caso di questo Ferrari – nuovo lavoro di un maestro come Michael Mann, arrivato a otto anni dal precedente Blackhat – il palcoscenico è quello della Mostra del Cinema di Venezia, e il tema scelto è apparentemente lontano da quelli usuali dell’autore in questione. Dopo il film di otto anni fa, bello quanto sottovalutato, Mann qui sembra infatti cambiare tono e registro, allontanandosi dai territori del noir e abbracciando il biopic classico, che nello specifico diventa anche period drama; l’ottica scelta, per narrare un pezzo di vita e di carriera imprenditoriale di Enzo Ferrari, è quella contenuta nel libro biografico Enzo Ferrari: The Man and the Machine, scritto dal giornalista Brock Yates; un’ottica in cui la descrizione del microcosmo che si muove intorno al personaggio (la Modena che l’ha eletto a simbolo, ma non solo) è importante almeno quanto i fatti narrati. Fatti che, nello specifico, muovono dalla realtà del 1957, in cui il predominio del cavallino rampante nella Formula 1 è messo in crisi dall’ingaggio di un nuovo, blasonato pilota da parte dei rivali della Maserati, mentre lo stesso Ferrari, da par suo, sta attraversando un difficile momento personale e familiare. Sullo sfondo, i preparativi per l’imminente Mille Miglia, su cui il “Drake” decide di puntare con tutte le sue forze per tornare in cima al mondo dell’automobilismo.
Un film funereo
Il genere automobilistico ha conosciuto, negli ultimi dieci anni, una certa fiammata di interesse da parte di produttori hollywoodiani e pubblico, specie grazie a un paio di classici moderni (nello specifico Rush, diretto da Ron Howard, e il più recente Le Mans ‘66 – La grande sfida di James Mangold) che hanno stabilito un inevitabile standard per tutti i prodotti a venire. Bastano le prime sequenze di Ferrari, tuttavia, per capire che il film di Michael Mann – pur non tralasciando l’importanza della resa visiva (qui anche metaforica) delle gare – sceglie di muoversi prevalentemente su altri territori. Il carattere profondamente intimo delle prime sequenze del film – anche negli episodi più parossistici, come il confronto tra il protagonista col volto di Adam Driver e la moglie Laura interpretata da Penélope Cruz – dà un’idea precisa di quali saranno atmosfera e temi dell’opera: il motivo della morte, della sfida a essa lanciata e della sua esorcizzazione, del flirt con essa che la pratica automobilistica da sempre evoca, ha nella storia un posto centrale. Ferrari innanzitutto è un film funereo, e proprio in questo senso è più vicino ai precedenti lavori di Mann che ai due titoli del filone sopra citati: soprattutto, mentre questi ultimi vedevano in primo piano il rapporto del pilota stesso con l’idea della morte, qui è il personaggio del patron a caricarsi della possibilità di essere, col suo stesso lavoro, latore di morte per i suoi piloti.
Un (anti)eroe del quotidiano
Vediamo in effetti evocare l’idea della morte, in Ferrari, sin dalle prime sequenze: sin da quel colpo di pistola sparato da una spiritata Penélope Cruz verso colui che ormai è soltanto un (mal digerito) socio in affari, passando per l’amarezza della madre del protagonista, che con disarmante franchezza, parlando della perdita dell’altro figlio, afferma che “è morto il fratello sbagliato”; fino al dialogo dello stesso Enzo davanti alla tomba dell’amato figlio Dino, la cui scomparsa la stessa Laura non riesce a perdonargli. C’è un senso di dolente predestinazione, in tutto il film di Mann, un funereo presagio di ciò che accadrà, che la spavalderia e la freddezza esibita del personaggio non riescono a cancellare. Proprio nel dar vita alla figura di Enzo Ferrari, con una maschera impassibile che solo a tratti mostra increspature – per cadere del tutto durante i dialoghi coi suoi due figli, quello morto e quello (segreto) nascosto nella casa dell’amante col volto di Shailene Woodley – Adam Driver riesce a modulare al meglio la sua recitazione; una recitazione che dà consistenza a una figura di cui viene costantemente relegata in secondo piano la dimensione mitica (imprigionata nel bianco e nero delle immagini – esplicite nel loro carattere fittizio – che ritraggono il protagonista in televisione), per farne una sorta di (anti)eroe del quotidiano.
Un cinema che smuove mondi
Concentrato sul tormento dell’icona e sulla messa a nudo della sua fragilità – resi anche attraverso il parco e intelligente uso dei flashback – Ferrari è un film solo apparentemente più di scrittura e recitazione rispetto agli altri lavori di Michael Mann: al contrario, la sovrabbondanza di dialoghi del film permette al regista di sfruttare al meglio, come da sempre sa fare, primi e primissimi piani sui volti degli attori, cogliendo quelle minuscole modificazioni dell’espressività facciale capaci di smuovere, letteralmente, mondi interni ed esterni, cambiando e stravolgendo la direzione del racconto. La solitudine dell’uomo si riflette al meglio nella descrizione puntuale e credibile di una comunità che, dopo averlo eletto a eroe locale, è pronta a voltargli le spalle bollandolo senza tema come assassino; la cinica resistenza del personaggio interpretato da Cruz, in questo senso, più che una scelta dettata dalla disillusione si rivela una dolorosa necessità. Proprio nei differenti atteggiamenti dei due personaggi nei confronti dell’azienda si evidenziano, anche, le due facce di un capitalismo italiano che proprio allora stava prendendo forma nelle sue contraddizioni: pratico e realistico da un lato, cinicamente naif e sognatore dall’altro. La resa visiva della Mille Miglia incornicia al meglio l’ultima parte del film, in un climax in cui il senso di ineluttabilità e presagio di cui si diceva in apertura si fa sempre più presente, fino a esplodere letteralmente nella frazione finale. Un’esplosione visiva (ed emotiva) che lascia senza fiato anche lo spettatore che conosca gli eventi, ricordando a tutti a quale straordinario regista siamo di fronte. Speriamo che questo film possa (ri)aprirgli la strada di un cinema americano mainstream che per troppo tempo l’aveva ingiustificatamente tenuto in disparte.
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Scheda
Titolo originale: Ferrari
Regia: Michael Mann
Paese/anno: Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Cina / 2023
Durata: 130’
Genere: Drammatico, Biografico
Cast: Adam Driver, Lino Musella, Penélope Cruz, Valentina Bellè, Andrea Bruschi, Massi Furlan, Daniela Piperno, Giuseppe Russo, Giuseppe Bonifati, Patrick Dempsey, Peter Arpesella, Sarah Gadon, Tommaso Basili, Alex Tonti, Andrea Dolente, Brett Smrz, Erik Haugen, Gabriel Leone, Gianfilippo Grasso, Jack O'Connell, Leonardo Caimi, Luca Della Valle, Michele Savoia, Samuel Hubinette, Shailene Woodley, Wyatt Carnel
Sceneggiatura: Michael Mann, Troy Kennedy-Martin
Fotografia: Erik Messerschmidt
Montaggio: Pietro Scalia
Musiche: Daniel Pemberton
Produttore: Andrea Iervolino, Thorsten Schumacher, Maggie Chieffo, Lars Sylvest, Noémie Nakai, Thomas Hayslip, Helen Medrano, John Lesher, Michael Mann, Laura Rister, P.J. van Sandwijk, Gareth West, Monika Bacardi
Casa di Produzione: Iervolino & Lady Bacardi Entertainment, Moto Productions, Storyteller Productions, Grisbi Productions, Rocket Science, Forward Pass, Bliss Media, Esme Grace Media/COIL
Distribuzione: Lucky Red
Data di uscita: 14/12/2023